In Castiglia, tra i briganti dei Montes de Oca

Quando apriamo la porta dell’albergue di Villafranca proviamo un senso di disagio. Forse è una suggestione data dalla giornata grigia, ma quel posto ha tutti gli elementi per farci sentire all’inizio di un film horror. È quella scena in cui lo spettatore guarda i due protagonisti e pensa: ma perché restano lì? È così evidente che sono circondati da presagi negativi.

Poco prima di entrare a Villafranca Montes de Oca, all’inizio della Castiglia, intorno a noi era calato il silenzio e la luce del sole si era smorzata sino a diventare simile a un crepuscolo confuso. La strada si era svuotata. Di fronte alle Ruinas de San Felices quel clima grottesco ci si era fatto chiaro: da quanti chilometri non vedevamo non solo pellegrini, ma una qualunque figura umana oltre a noi? E ora? Cos’era quel rudere buio che avevamo davanti? Un monastero medievale, abbandonato da secoli, con un cartello che spiegava che da qualche parte, là sotto, doveva esserci la tomba del conte Diego Porcelos, il fondatore di Burgos e che aveva ucciso molti arabi nell’IX secolo.

Monastero San Juan Ortega

Così, adesso, trovando l’abergue di Villafranca in queste condizioni, non possiamo che ammettere che siamo circondati da un sentore che ci rende nervosi. Aperta la porta non abbiamo visto nessun hospitalero, solo delle scale che portano al primo piano. Le percorriamo, sino a trovarci di fronte a un corridoio desolato. L’albergue è grosso, fornito di tutto quello che serve, ma non c’è essere umano al suo interno. C’è un tavolo, accanto a un lavandino, sopra il quale sono messe a disposizione delle tazze, dei piatti, dei bicchieri, delle pentole… Di fronte si apre l’ingresso di una camerata immensa, lo varchiamo. Ci sono una ventina di letti a castello, con i materassi nudi e privi di lenzuola. Ci guardiamo confusi: ma possiamo stare qui? Decidiamo di uscire, per chiedere in paese se quello è l’albergue per pellegrini, ma tutto si fa ancora più grottesco. Il bar è chiuso. In tutto il paese non troviamo un’anima che possa rispondere alle nostre domande. Sono io a buttare giù le carte: riusciamo a camminare fino al prossimo paese? No, che non riusciamo. Sono ormai le quattro e il problema non è tanto il prossimo paese, quanto quello che c’è in mezzo: l’Alto de la Pedraja e intorno a questo i temuti Montes de Oca.

È paradossale, ma il posto da cui vogliamo fuggire è l’ultimo riparo prima di una tappa che nel passato faceva tremare i pellegrini. I Montes de Oca erano il luogo più angosciosi del Camino: infestati di lupi e di briganti. I pellegrini uscivano da Villafranca mettendo in bella vista la conchiglia, perché fosse evidente ai tagliagola che l’uomo che stava percorrendo il sentiero sui monti era un mistico, uno straccione senza averi. I dodici chilometri che separano Villafranca da San Juan de Ortega valicano i Montes a 1.135 metri. Non possiamo percorrerli adesso.

Così rientriamo nell’abergue e speriamo di incontrare qualcuno prima della notte. Trascorriamo in quest’attesa solitaria tutto il pomeriggio, a tratti addormentandoci sui materassi spogli della camerata, finché, mentre stiamo mangiando qualcosa, sentiamo dei passi percorrere le scale. Alziamo la testa. Sul fondo del corridoio c’è un uomo stagno, olivastro, il cui labbro è deformato da una ferita.

Capitelli romanici

Avanza, e quando è a un passo da me, apre la bocca e con una voce gutturale, mi dice qualcosa in spagnolo. Non capisco cosa, ma mi è chiaro che la frase si è conclusa con un suono simile a:” …acassa de tu madre” . Sono frastornato, lui mi fissa. Ripete la stessa frase, con lo stesso finale, e questa volta noto che sbircia la mano in cui impugno il coltello.

Balbetto che non capisco lo spagnolo. Lui ci prova in italiano: “si vede che vivvi ancorra en la casa de tu madre”, e sorride. Ora capisco. Si riferiva al modo impacciato con cui tagliavo la pesca. E io ho appena scambiato un pellegrino per un tagliagole del medioevo. Di colpo ci sentiamo più allegri. Prima di spegnere la luce ci chiede scusa, perché ha l’abitudine di russare. Poi ci racconta che la notte prima ha dormito all’addiaccio ed è stato svegliato da un cinghiale. Quando la mattina ci svegliamo, lui è già partito. Ripensiamo alla vicenda e ridiamo, mentre valichiamo i Montes de Oca, immersi nelle distese di erica che, non appena la foschia si alza, vengono bagnate dal sole di montagna, ai piedi della Cruz de los Caidos.

Testo di Elia Rossi | Foto web RIPRODUZIONE RISERVATA © LATITUDESLIFE.COM

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