tra il mare di messaggi di tutti i tipi che giornalmente ci bombardano – qualcosa che rivesta particolare interesse è davvero esercizio difficile. Cosa privilegiare?

Leggere, sentire o vedere
Le notizie edificanti o quelle sconfortanti? In tempo di pandemia le seconde prevalgono, questo è certo; però, volendo, qualcosa di interessante si trova sempre. In questi giorni mi hanno colpito le notizie che provengono dal Giappone che vedono le autorità ostinatamente determinate a dar corso alla XXXII edizione delle Olimpiadi dei tempi moderni (iniziate ad Atene nel 1896) programmate per il 2020 che il Covid-19 ha mandato a carte quarantotto.
A dire il vero, molti sudditi del Sol Levante non vorrebbero più saperne di vedere arrivare da ogni parte del mondo una nuova possibile collezione di bacilli contagiosi. Ma il Giappone che comanda tiene duro e intende ripercorrere i sentieri già praticati dai Greci molti secoli fa, quando per disputare i Giochi Olimpici si interrompevano addirittura le guerre; le tregue così sancite riunivano ad Olimpia, nella regione dell’Elide, atleti di varie discipline sportive per disputarsi la palma della vittoria.
Questo accadeva nell’anno 776 avanti Cristo quando l’unica gara in programma (la corsa) vide trionfare Corebo, un atleta di casa, dal pié veloce come Achille.
Olimpia del Peloponneso
Area abitata sin dal Neolitico, il Peloponneso è una penisola caratterizzata da quattro dita di terra che si insinuano nel Mediterraneo; prende il nome da Pelope, figlio del re di Lidia Tantalo a sua volta conquistatore della regione; Peloponneso è per molti nome familiare sin dai tempi della scuola, perché ci ricorda Sparta con i suoi rigidi e combattivi abitanti, in perenne contrasto con gli ateniesi.

La zona di Olimpia, che ospita le rovine dell’antico insediamento (X secolo a.C.) sede delle prime Olimpiadi della storia, nel corso dei secoli successivi aveva visto l’insorgere di molti edifici religiosi e di altri dediti ai giochi sportivi.
Fra quelli religiosi, spiccavano i templi di Zeus e di Era; il Pelópion, presunta tomba dell’eroe Pelope, re dell’Elide e iniziatore delle gare sportive; il Metróon o tempio di Cibele e il Philippéion, tempio votivo iniziato dal re macedone Filippo II dopo la vittoria di Cheronea sui Greci (338 a.C.) e ultimato da suo figlio, Alessandro il Grande.
Diversi per misura, costruzione e destinazione d’uso erano le strutture riservate agli sport; una vera cittadella olimpica molto ben organizzata.

Fra i luoghi e terreni di gara anzitutto lo Stadio, che lo storico Pausania così descrive: “…lo stadio è costituito da un terrapieno, nel quale è edificato un seggio per gli organizzatori della gara. Di fronte ai giudici c’è un altare di marmo bianco: seduta su questo altare una donna sposata, la sacerdotessa Demetra Chamyne, assiste ai giochi olimpici: è un onore che gli Elei conferiscono ogni volta a una donna diversa, ma non impediscono alle fanciulle di assistere alle gare”.
C’era poi un Ippodromo, in seguito scomparso per le inondazioni del fiume Alfeo; altre gare (péntathlon e corsa) avvenivano nello spazio del Ginnasio. Non mancavano i locali per accogliere atleti e ospiti: il Pritaneo, che custodiva anche la fiaccola olimpica; il Leonidàion, albergo per personaggi di riguardo, comprensivo questo di Terme; la Palestra per gli allenamenti; quindi locande varie, il teatro.
Capo cinto di benda rossa e ramo di palma per i vincitori
Il perfetto atleta (da áthlon, premio) possiede disposizione naturale, disciplina, bellezza, intelligenza, abilità e moderazione nel successo; tutte virtù che il popolo osannante riconosce all’olimpionico, decretandone il trionfo. Dopo la prima e unica gara di corsa vinta da Corebo, aumentano le discipline sportive e il numero dei contendenti che arrivano da ogni parte della Grecia, della Sicilia e dell’Asia minore.

Nell’anno 393 d.C. i cinque giorni di contese contemplano ben diciotto tipi di gare; queste le più affascinanti: corsa, con la competizione per eccellenza (stádion) su un percorso di circa 190 metri; pugilato (pygmé) con incontri che durano ore, con la resa di uno dei due avversari; pancrazio (pankrátion) misto di lotta e pugilato in terreno fangoso e senza esclusione di colpi, eccettuati morsi e dita negli occhi; ippica, con quadrighe (téthrippon) e cavalli montati a pelo.
Non mancavano infine le gare di salto in lungo, lancio del disco, del giavellotto, la lotta greco-romana. I grandi scrittori e poeti del passato hanno descritto le gare olimpiche e gli eroi vincitori, come ha fatto Omero nell’illustrare la gara di lotta fra Ulisse e Aiace: “…e al polpaccio riuscì a colpirlo da dietro, gli sciolse le gambe; cadde all’indietro Aiace e anche Odisseo sul petto gli cadde (Iliade, XXIII, 710-728)”.
Libertas Dicendi n°299 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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