Anno 2011, Italia, più precisamente Ora (BZ) : di certo non viene in mente questo posto ascoltando D.O.C. , l’ultimo album dei Red Wine Serenaders, pubblicato dall’etichetta indipendente Totally Unnecessary Records e registrato in presa diretta proprio nella vecchia stazione del suggestivo paese del Sud Tirolo.
Il disco in questione parla la lingua del blues, rileggendo la tradizione della roots music americana degli anni ’20 e ’30, passando dal rag time al country folk, alla jug band music. Tredici tracce in cui i musicisti non mancano di far trasparire il loro stile, senza però dimenticare la storia di ogni pezzo che porta con sé il sapore di un tempo passato, l’atmosfera di luoghi lontani e la passione di chi il blues lo sente davvero addosso.
Il primo blues in senso stretto si incontra solo però con la terza traccia “I’d rather drink Muddy Water”, in cui la voce roca di Mauro Ferrarese crea un originale contrasto con gli squillanti soli di chitarra.
La particolarità di quest’album rispetto ai due precedenti ( “Aint’ nothing in ramblin’” del 2007 e l’omonimo “Veronica & the Red Wine Serenaders” del 2009) in realtà si nota già dalla prima traccia: Veronica Sbergia (voce, ukulele, washboard, kazoo), fino a ora unica voce solista del gruppo, cede infatti il microfono ai suoi compagni e il risultato è senza dubbio di forte impatto. Sia Alessandra Cecala (contrabbasso) che i due chitarristi Max De Bernardi (chitarre acustiche e resofoniche, ukulele, mandolino) e Mauro Ferrarese (chitarra acustica 12 corde, chitarra resofonica, banjo) hanno innegabilmente timbri vocali particolari, sfruttati al meglio grazie a un’accurata scelta dei pezzi e degli arrangiamenti, come sempre rifiniti in maniera attenta, ma mai forzata e senza inutili virtuosismi.
In quella che il famoso etnomusicologo Alan Lomax ha chiamato per primo “la terra del Blues” i Red Wine Serenaders non stonerebbero affatto: con innegabile stile sanno far rivivere al meglio il clima creato nei concerti live country folk e old time ad esempio della Memphis Jug Band, passando poi al gospel e ai classici della tradizione. Si respirano echi del passato in modo particolare proprio nell’ultima traccia di D.O.C. “Linin’ track”, brano tradizionale portato al successo da Leadbelly, virtuoso della dodici corde, protagonista della scena musicale del Delta del Mississippi negli anni ’20 e ’30.
L’ascolto dell’intero album può essere fatto ad occhi chiusi, lasciandosi trasportare dai suoni nei luoghi che hanno fatto la storia del blues e della musica nera: così si può facilmente passare dall’apparente spensieratezza dei primi due pezzi, per poi farsi cullare da ballate struggenti, come “When it’s darkness on the Delta”, in cui la voce di Veronica Sbergia con toni dolci quasi disegna un quadro del paesaggio attorno al Mississippi. Un omaggio a una delle poche “Signore del Blues” è interpretato in maniera eccelsa dalla voce di Veronica e dai suoi menestrelli, che propongono una versione fedele all’originale ma molto ben curata di “In my girlish day” di Memphis Minnie.
Il Blues è un genere di musica che, pur avendo avuto le sue naturali evoluzioni, più di altri è rimasto legato ai luoghi in cui è nato.
Il Blues è legato alla terra, alla storia della gente che viveva attorno al Mississippi: forse per questa concretezza riesce a creare forti emozioni.
Non è scontato trovare oggi musicisti che sappiano proporre il Blues e la roots music con lo spirito, la competenza e lo stile con cui lo sanno fare i Red Wine Serenaders (in quest’album con la partecipazione di Marcus Tondo all’armonica), il disco è sicuramente ottimo per chi si appresta a scoprire un genere ancora nuovo e, cosa non da meno, sa stupire e coinvolgere chi il Blues già lo conosce e se lo sente addosso.
Testo di Claudia Ferrari
Informazioni: Sito dei Red Wine Serenaders; Totally unnecessary Records
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