ISRAELE – ENJOY TEL AVIV

Compie 100 anni Tel Aviv, la giovane città israeliana nata con un preciso intento: spazzare via il dolore infinito della Shoah, il dolore stratificato dei pogrom, il dolore millenario della diaspora. C’è un’idea dietro e sotto questa città giovane; un’idea di libertà e di gioia che si è concretizzata tra le dune di sabbia del Mediterraneo orientale. E’il sogno della città ebraica.

Giochi sulla spiaggia di Tel Aviv
Giochi sulla spiaggia di Tel Aviv

Ovunque andiate qui a Tel Aviv, vi capiterà di vedere una vecchia foto in bianco e nero, leggermente seppiata dove si scorgono un gruppo di persone su di una spiaggia tra alte dune. Il mare nemmeno si affaccia, solo sabbia e sabbia. Sembra un raduno qualunque ma è il momento della nascita della città. Era l’11 aprile del 1909 quando si tenne la  lotteria-delle-conchiglie, evento già diventato mito cittadino. Sulla spiaggia di quella che sarà Tel Aviv,  si trovarono i fondatori della città ancora senza nome, scrissero i numeri dei lotti sulle conchiglie e poi procedettero all’estrazione. La lotteria appunto. Sono passati solo 100 anni da quel religioso momento e ora, dove c’erano solo dune, si è allargata una città che minaccia di essere infinita, bella, bianca, ariosa e libera.

Lo dice benissimo Elena Loewental nel suo libro ‘Tel Aviv’: la sabbia che era dovunque è stata sostituita dal primo agglomerato ebraico, dalla prima città ebraica, senza il pesante fardello della Storia, diversa da Gerusalemme con i suoi Templi distrutti e le cacciate degli ebrei. Qui nulla di tutto ciò, un colpo di spugna sul passato e un mondo nuovo davanti, dove il popolo ebraico poteva rinascere e aspirare ad una patria. Dove si parlava ebraico, dove le scuole insegnavano l’ebraico. Ecco allora Tel Aviv, “la Collina della Primavera”. Per godere Tel Aviv bisogna sapere, capire lo spirito da cui è nata la città più libera e laica di Israele, sicuramente la più viva, la più rumorosa, la più giovane e divertente. Il sottotitolo del suo nome è: “la città che non dorme mai”.

In bicicletta in centro
In bicicletta in centro

Non è uno slogan per turisti: qui da mattina a notte fondissima si vive, e si vive benissimo. Locali, ristoranti, teatri, cinema, chioschi, bar, osterie: tutti aperti, tutti pieni di gente che mangia e beve senza sosta. Nei negozi di Neve Tzedek, vecchio quartiere dai tetti rossi infilato tra i grattacieli, si trovano magliette e cartoline con la scritta: Enjoy Tel Aviv, scritto con il logo coca-cola. E tutti i camerieri della città posando l’ordinazione esclamano allegri “enjoy!” Un corale invito della città e dei suoi abitanti a vivere bene e a godere del suo cielo, di questo Mediterraneo soave, delle spiagge infinite, del cibo e della vita in generale. Una città giovane, piena di giovani. Belli abbronzati ed atletici, ragazzi e ragazze sembrano scoppiare di salute. Qualcuno dice che tutta questa forma si deve al continuo scendere e salire dai carri armati durante i lunghi anni di leva. Chissà. Un mondo diverso e complesso.

Se parlate con gli adulti vi sentirete dire che in Israele si vive in stato di guerra, circondati da nemici. E dunque è necessario difendersi. I ragazzi sono più moderati e parlano di convivenza possibile. Anche questo è un altro sogno che si infrange fuori da questa specie di enclave che è Tel Aviv, davanti alle zone Palestinesi con il filo spinato, davanti ai confini di Gaza e ogni volta che ci sono tensioni con gli stati vicini. Ma è un sogno che qui invece sembra possibile. Tutti insieme, arabi, ebrei, cristiani. Tutti al mare a godersi lo Shabbath, il riposo del Sabato ebraico. Il venerdì sera, al tramonto, sulla spiaggia sciamano intere famiglie arabe che arrostiscono e cucinano vista mare, e gli ebrei smettono ogni attività per celebrare la festività.

Sembra possibile. Non si avvertono (apparentemente) tensioni. Non a caso Tel Aviv è anche la città gay, dove l’omosessualità vive pure lei allegra e spudorata alla faccia dei dettami religiosi. Una città dalla bellezza non immediata. Scesi all’aeroporto si è accolti da una periferia disordinata, da molti fallimenti edilizi. Il primo impatto comunica sporcizia e disordine. Ma poi capisci che è un modo di essere, allegro, anti-svizzero. Non che le cose non funzionino, non che manchino quartieri residenziali e ben tenuti, ma è come se ci fosse un rifiuto per la perfezione. Un vezzo il disordine, l’angolo con l’immondizia dietro il muro del grande grattacielo di vetro. Magari è colpa del clima: tutto invecchia in fretta  al caldo e con la salsedine incombente.

La passeggiata a mare
La passeggiata a mare

Ma questo ‘carattere’ cittadino dopo un po’ non disturba più. Lo si accetta e basta. E si comincia invece a mettere a fuoco la bellezza vivace e fiera della città più giovane del medio oriente. In primo luogo il mare. Un mare da vacanze, pulito, azzurro, dall’onda lunga e spumosa con in più una infinita spiaggia boro talcosa che tutti i cittadini amano follemente e che si godono a piedi, in costume, in bici, con il surf. Sempre piena la spiaggia, di giorno e di notte quando gli stabilimenti balneari si trasformano in locali notturni vista mare. Tutto folk e alla mano; la spocchia è bandita.

Per noi avventori di mari nazionali carissimi e difficili da godere, è un vero shock pagare un ombrellone 2 euro e soprattutto farsi portare il pranzo direttamente sul lettino da amabili giovani camerieri che accolgono gli ordini dalle 11.30 del mattino senza requie. E  ad una cifra con cui a Forte dei Marmi o a Rimini mangi al massimo un toast farcito. Il mare è il polmone di Tel Aviv e anche il punto di riferimento per non perdersi. Alle spalle delle spiagge c’è la città. La parte più vecchia è a nord, ai piedi di Jaffa, l’antica cittadina araba, bellissima e ocra che chiude come un confine naturale le spiagge. Il quartiere  si chiama Neve Tsedek, ovvero ‘pascolo di giustizia’ e funziona come una calamita naturale per il visitatore.

E’ la zona più antica che già viveva di vita propria nel 1909; un quartierino di case basse, dai tetti di tegole rosse, indice di distinzione. Buganvillee, eucalipti, grandi sicomori fronzuti e vicoli di ciottoli silenziosi e vuoti quasi tutto il giorno. Ricorda certi villaggi greci, arsi dal sole e sempre quieti fino a sera. Qui oggi è in corso un recupero supersonico che ha già trasformato il sonnacchioso quartiere in zona modaiola. Ma ancora per un po’ questa dolce nostalgia resisterà coabitando con il nuovo che avanza. La strada più ricca è Shalom Shabazi, vicolo un po’ più largo degli altri su cui infuriano designer, orefici, boutique. Il luogo più charmant è al n° 9, si chiama Suzana ed è un ristorante. Ma il vocabolo è riduttivo. Sotto un pergolato fatto di grandi rami si mangia, si beve, si pranza , si cena, si beve il caffè senza interruzione dalle 10 del mattino. Vi si sta d’incanto ed è un’esperienza sociologica. Per entrare si fa la fila smistati da giovani efebi di grande bellezza: ragazzi biondi e delicati, adolescenti dagli occhi vellutati vestiti come delle Urì, ragazze bellissime che sembrano profetesse bibliche. I cittadini dicono che da Suzana il menu è uguale da decenni: mentre mangiate i migliori falafel della terra, ringraziate il vostro dio che sia così.

Proseguendo verso nord tra stradine scalcinate e grattacieli inverosimili, si arriva all’intrico del Carmel market, grande bazaar all’orientale, mercato colorato e rumoroso di alimentari e paccottiglie divertenti. Vivacissimo, ma ancor più bello al tramonto quando smontano i baracchini e si intravedono le viuzze colme di piccoli negozi polverosi e antichi, bar anni 20, edifici Bauhuas, che nel caos del mercato sono invisibili. La strada più bella è indubbiamente Nahalat Binyamin, fremente di giorno, dolcemente triste alla sera. Binyamin sfocia naturalmente su una delle arterie più frenetiche e vive, la Allenby, una infinita teoria di bar, ristoranti, caffè, negozi popolari; una strada tra le prime che ebbe la città, una tra le prime tracciate dopo la lotteria. In queste grandi arterie si legge la storia di Tel Aviv. Altre due si dipartono dalla Allenby, parallele tra loro e dolcemente in salita, la Rothschild e la Hamalekh George.

Negozio di spezie
Negozio di spezie

La prima, chiamata con rispetto e orgoglio boulevard Rothschild, è grande, molto bella, con filari di alberi dai fiori vermigli che smorzano il gran caldo estivo. Un vento marinaro la percorre di continuo e ad ogni passo si incontrano superbi chioschi con frutta e verdura di ogni foggia pronta a farsi frullato, succo, centrifuga. I negozi sono più eleganti; non mancano orafi e designer israeliani. Hamalekh George è più piccola e anche lei sale sulla collina della primavera. Qui l’aria è più raccolta e ogni piccola strada che si incrocia propone meraviglie: piccoli negozi di classe, case bianche in odore di Bauhaus, palazzine veramente ecclettiche. Entrambe le strade salgono verso il rarefatto universo che sarà la splendida Diezengoff, strada che onora la memoria di Meir Diezengoff, primo sindaco di Tel Aviv, uno dei padri della patria.La Diezengoff sale ancora e più sale e più si fa elegante fino a toccare punte considerevoli  verso la Frischmann. Qui il panorama è decisamente residenziale: il verde abbonda, le case sono molto belle, tra negozi chic di vintage europeo e brasserie alla parigina. Uno dei punti caldi è la bella piazza Dizengoff su cui affaccia l’Hotel Cinema, specie di transatlantico bianco, puro Bauhaus anno 1930,  tutto dedicato al cinema e che fu uno dei primi cinematografi, il famoso cinema Ester da vedere senz’altro. Un omaggio è obbligatorio: qui vicino venne assassinato Yitzhak Rabin, sulla scalinata del municipio. Basta imboccare la via Frischmann e vi si arriva; qui in quella che oggi si chiama Piazza Rabin, c’è un memoriale che ricorda l’attentato del novembre 1995. Tra l’altro, questa zona un po’ distante dal centro è bellissima e piena di negozi di moda creata da stilisti israeliani con gusto raffinato ed europeo.

Testi di Lucia Giglio, foto: Alessandro Gandolfi www.parallelozero.it

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