Un guado tra vita e morte, per fame e per amore. In Kenya milioni di animali ogni anno attraversano il Mara. Sfidando correnti e fauci di coccodrilli per riaffermare il disegno della natura.

Non c’è niente di simile al mondo. L’ultima prova di forza della natura, la più grande migrazione di animali selvaggi si materializza nelle pianure di terra rossa del Kenya, là dove il fiume Mara fa ribollire le sue acque scure e dove il cielo africano proietta l’ombra delle nuvole sulla savana. Un richiamo muto porta più di tre milioni di erbivori dalla Tanzania alle praterie della Riserva Masai Mara: è la più imponente concentrazione d’animali africani mai vista. La fame, l’istinto di conservazione e

l’ancestrale bisogno di trasmettere ai figli il proprio patrimonio genetico, sono le molle che spingono una mandria sterminata, che ha il confine dell’orizzonte, a rischiare la vita, attraversare il Mara e cercare sulla sponda keniota della speranza, pascoli e luoghi sicuri dove il miracolo dell’esistenza si possa ripetere con la sua cadenza naturale. Da Agosto a Ottobre, ogni anno, questo immenso movimento di animali segue una rotta mai scritta, ma fissata nei cromosomi di ogni essere della savana. L’istinto di sopravvivenza è più forte della paura, e spinge migliaia di gnu, di gazzelle di Thomson, di damalischi e di zebre, al grande salto e alla traversata delle acque turbinose del Mara, confine liquido tra vita e morte, dove il destino e la fatalità – sotto le acuminate spoglie delle fauci dei coccodrilli che infestano il fiume – possono fare di ogni animale un sopravvissuto o un crudele pasto in un’alba africana. Alle prime luci del mattino i turisti aspettano nelle loro jeep,

posizionati sul bordo del fiume, nei punti strategici dove si gode una vista panoramica e le auto non intralciano il passaggio degli animali. Spesso è una lunga attesa fatta di ore che passano lente, come lento è l’aggregarsi di poche decine di gnu che arrivano, con passo stanco, vicino alla sponda. Si avvicinano all’acqua con ritrosia e con un terrore panico che si legge negli occhi spiritati di questi animali. Arrivano altri branchi, da ogni direzione, e si compie un miracolo africano di unione, di numero, dal nulla compaiono migliaia di gazzelle, di gnu, di zebre e, nella tremula luce del mattino, la savana diviene un Eden di vita. Il numero è forza, ed essere in migliaia infonde negli animali quella sicurezza e quel coraggio che fanno del branco una falange, un corpo solo di un’ Idra africana dalle mille teste. Senza preavviso, d’istinto, si tuffano a decine e disegnano sulle acque del Mara tragitti irregolari dettati dalla corrente vorticosa del fiume e dalla presenza di coccodrilli che seminano il panico nel gruppo, azzannando ferocemente al collo gli gnu che si sono tuffati per primi. Sotto gli occhi sbarrati dei turisti si svolge una delle scene di compulsione e di delirio animale più toccanti della savana. In un dantesco ribollire di schiuma le vittime si lasciano andare a un ultimo muggito acuto, strette nella morsa senza scampo dei coccodrilli. I superstiti nuotano freneticamente, con la velocità innescata dal terrore, toccano la riva seguiti da tutto il gruppo, si scrollano l’acqua dal mantello e dalla criniera con un sussulto vibrante che sa di liberazione e di

vittoria. Essere spettatori di questa imponente migrazione ha la doppia valenza di farci comprendere che non c’è niente in Africa che abbia contorni sfumati: tutto è forte, marcato, tragico, e che il “mal d’Africa”, quella profonda e antica saudade per questi spazi nasce anche dal sopito ricordo di essere stati, qualche millennio fa, un minuscolo anello di questo mondo primordiale e spietato. Un volo in mongolfiera, sorvolando la savana, offre un cambio repentino d’angolo di visione. Si scorgono le cicatrici serpiginose della Rift Valley, si vede il fiume Mara che, nella sua placida lontananza, non sembra il teatro di quell’Odissea animale che si è svolta poche ore prima. Sotto l’ombra delle rade acacie Tortilis, gruppi di gnu cercano un mite refrigerio e non si spostano minimamente al passare silenzioso del pallone aerostatico. Ma la loro è una tranquillità effimera. I grandi felini attendono gli esausti superstiti del crossing (il passaggio del fiume Mara), e saranno i loro artigli a scrivere la parola fine nella primitiva e inesorabile selezione della natura africana.
Testo di Nico Tondini – Foto di Sergio Pitamitz www.pitamitz.com
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