Highway to Khan in viaggio verso la Mongolia: il primo report dall’Anatolia

Anatolia

 

16 mila chilometri da percorrere con un’auto del tutto inappropriata. Senza percorsi prefissati, senza tappe obbligatorie, senza nessuna assistenza lungo il percorso. Solo loro, tre amici tra 24 e 29 anni insieme alla loro Volkswagen Polo di piccola cilindrata, su strade e sterrati. Dovranno superare montagne, solcare deserti e

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pianure, assumendosi tutti gli eventuali rischi, fino ad arrivare in Mongolia. Francesco Barbieri, Federico Maccagni e Francesco Fanelli formano il team HIGHWAY TO KHAN, uno dei team italiani che quest’anno parteciperà alla 7° edizione del Mongol Rally. Partenza il 24 luglio da Praga. Il viaggio non è soltanto una sfida alla guida avventurosa. Il Mongol Rally ha anche una componente umanitaria: ogni squadra deve raccogliere fondi da devolversi ad associazioni di volontariato che operino nei Paesi attraversati dalla corsa. La somma non potrà essere inferiore a 1.000 euro. E senza, non si parte. HIGHWAY TO KHAN ha deciso di raccogliere i fondi per due organizzazioni umanitarie: la Christina Noble Children’s Foundation ed Emergency. Per entrambe le associazioni è possibile donare attraverso JustGiving.com, piattaforma di Crowdfunding, direttamente on-line.

In ogni avventura, vera a presunta che sia, arriva un momento in cui l’entusiasmo iniziale si esaurisce e bisogna trovare nuovi stimoli. E’ però normale che ciò accada già dopo due settimane, quando s’è lasciata l’Europa solo da qualche chilometro?

Safranbolu

Evidentemente, non conoscere nulla di ciò che incontreremo di qui alla fine ci fa un po’ paura. Ed è certamente ammissibile che un avventuriero possa avere paura, senza la quale non esiterebbe alcuna impresa, piccola o grande che sia.

Ci fa paura, ad esempio, l’impressionate complesso industriale che a Karabuk costeggiamo per qualche chilometro: tubi, rampe, ciminiere a perdita d’occhio; un puzzo malsano rende l’aria pesante e la città è coperta da un velo di polvere rossa. Ovunque, in Turchia, le ruspe sono in azione per sventrare le montagne e dalle cave è un via vai di rimorchi. Le prime parole di turco che impariamo sono ciment e beton, e questo può rendere l’idea.

Appena dopo Karabuk arriva la nostra meta, Safranbolu: le antiche architetture ottomane sono effettivamente suggestive. C’è il marchio Unesco, letteralmente, all’ingresso della città, ma non sono riusciti a far sparire quell’odore, così poco invitante. Non soddisfatti, al risveglio decidiamo di puntare al mar Nero, che è addirittura più nero di quello delle nostre fantasie.

Safranbolu

Arriviamo al tramonto alla costa, la cui vocazione pare decisamente più industriale che turistica, ed infatti l’Hotel Ankara, ad Unye, è semi-deserto e le luci della terrazza con vista sono spente. Sono così sorpresi di vederci che dobbiamo aspettare che arrivi un altro inserviente, e poi un altro: alla fine sono in quattro e ci guardano come alieni. La comunicazione passa attraverso il traduttore automatico di Google, che ad un certo punto, dopo un çai di cortesia, reciterà in un inglese robotico “have sex wherever you go?”. Che strane idee si fanno di noi, vedendoci scendere, tre ragazzi, italiani, da quella Polo decisamente appariscente; hai voglia a spiegar loro che no, abbiamo tre splendide Penelopi ad aspettarci a casa e no, non è proprio quello lo spirito del nostro viaggio, e soprattutto che se così fosse ci saremmo tenuti decisamente più a nord.

Unye sul Mar Nero

La mattina seguente riprendiamo per un tratto la strada costiera. Passiamo a Trebisonda, dove alcuni ralliers stanno per imbarcarsi per Sochi, e pensiamo che la costa turca del Mar Nero riesce nell’improbabile impresa di far sembrare un traghetto per la Cecenia una prospettiva allettante. Dedichiamo una deviazione al monastero di Sumela, scavato nella roccia di una montagna che scaliamo con le ciabatte, perché anche i veri avventurieri talvolta si fanno cogliere impreparati. L’arrivo ci toglie il fiato, almeno quello che ci è rimasto. Poi di nuovo in macchina, verso sud, e la vegetazione lussureggiante, umida e soffocante d’un tratto sparisce ed emerge la roccia. L’Anatolia ti fa fischiare le gomme in curva e borbottare il motore per la pendenza, ma regala scenari impagabili.

La nostra meta è Tunceli, e ci arriviamo dopo una giornata estenuante e cento chilometri bui e stellati lungo la valle più blindata di Turchia.

Testo e foto di Francesco Fanelli in viaggio per la Mongolia insieme ai suoi amici di Highway To Khan

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