PICCOLEITALIE
Un’anima notoriamente allusiva
Come scatti ravvicinati in una moviola immaginaria, Fortunato mette insieme con grazia e pudore estremo, molti luoghi in uno: Sabina, suo hortus conclusus in alternativa armonica e duettante con Prenzlauer Berg, quartiere di Berlino, diversamente bello e intrigante, dove vive per metà dell’anno. Ma Sabina, i suoi lettori lo sanno, è luogo amato al punto di sceglierlo non solo come luogo d’elezione quando le tonalità dei colori diventano più calde, ma anche quale fulcro mobile della propria geografia sentimentale nei suoi romanzi: I giorni innocenti della guerra e Allegra Street (Bompiani), oltre che per il saggio in prossima uscia ad aprile 2013: L’Italia degli altri (Neri Pozza), dove un’intera parte è dedicata appunto al paesaggio della Sabina.
A me – se posso permettermi di far la critica letteraria con un (anche) critico letterario – oltre naturalmente che scrittore di lungo corso, di questo luminoso pezzo che ha voluto regalarci per Latitudes, è piaciuta soprattutto «l’entelechia», nel senso datogli da Ernst Bernhard, grazie a cui il luogo pare racchiudere e riflettere il progetto intero di un’esistenza, la sua.
Il numero del nuovo anno, uscirà proprio il giorno della nascita (2 gennaio) di Giulio Einaudi, stesso compleanno di un altro grande Editore: Luciano Foà. Mi piace ricordarli qui entrambi e ringrazio Fortunato che me ne ha dato indirettamente l’opportunità, perché sempre più spesso mi capita di chiedermi cosa avrebbero detto loro, che l’Editoria l’hanno saputa disegnare con mano così straordinaria, oggi del nostro piccolo mondo editoriale agonizzante. Si sarebbero forse sentiti anche loro «stranieri» come l’autore in Italia? Chissà.
In Sabina
Dal 2004 passo almeno una metà dell’anno in Sabina, in una casa di campagna nei pressi di Collevecchio (milleottocento anime). Prima di allora vivevo stabilmente a Londra. Il passaggio fu notevole. Tuttavia scoprii che, al pari di una vera metropoli, la campagna muta incessantemente. Cosa che non potrei affermare per una città come Roma, dove ho vissuto a lungo in anni ormai remoti e che infatti non è una metropoli e forse neppure una città, ma un luogo terzo fra l’estetica e l’umiliazione.
La Sabina è un’area a nord est della Capitale, incuneata dentro l’Umbria, regione molto più sinistra e ritrosa. E’ celebre per via del famoso Ratto compiuto dagli antichi romani e perché produce un olio eccellente. Forse a causa di quella remota azione da teppisti, la Sabina coltiva un discreto scetticismo verso Roma – scetticismo che del resto condivido. E infatti, malgrado una certa prossimità territoriale, i rapporti fra città e campagna sono piuttosto distaccati: cosa che ha preservato l’area, almeno finora, da eccessi edilizi e da tentazioni modaiole.
La Sabina è un’area convintamente, felicemente rurale. I suoi borghi sono ben tenuti senza essere leziosi. Molti stranieri – incluso il sottoscritto – la abitano senza scocciare gli altri con la pretesa di avere scoperto l’angolo più bello del mondo, né di essere i soliti happy few viziati e antipatici. In Sabina si lavora molto. E’ una regione costruttiva, concreta, e bellissima perché non pretende affatto di esserlo. La sua bellezza è incarnata dal Monte Soratte, una montagna quieta e distante con un’anima notoriamente allusiva.
Purtroppo, i treni che collegano la Sabina all’aeroporto di Fiumicino e alla Capitale, benché frequenti, non sono altrettanto quieti né costruttivi. Detto in una parola, sono vergognosi. Il servizio è pessimo. Onestamente la grande quantità di pendolari che li usa ogni giorno meriterebbe qualcosa di meno incivile. Personalmente mi chiedo sempre che cosa trattenga tutta quella gente da una rivolta aperta. Sarà l’antica reticenza nei confronti dei romani?
Nel 1999, a chiusura di un millennio, Giulio Einaudi, il mio vecchio editore, si è preso la briga di venire in Sabina e di morirci, a pochi passi da casa mia. Poiché Giulio è stato, oltre che uno dei più grandi editori del Novecento, anche un uomo dal fiuto estetico assoluto, credo che nel suo gesto si nascondesse una valutazione di tipo ontologico. Se è già importante scegliere dove abitare, figurarsi dove morire.
Per quanto mi riguarda, al momento non azzardo previsioni. Anzi, per evitare di cadere in tentazione, per ora alterno la primavera-estate in Sabina con l’autunno-inverno a Berlino. Mi piace il modo in cui metropoli e campagna cambiano di continuo. Solo noi non cambiamo mai.
Testo di Mario Fortunato