Dal nord est brasiliano fino al caribe colombiano, passando dal Rio de la Plata, attraverso la cordigliera delle Ande, viaggio fra i carnevali più colorati e autentici. La sfrenatezza, la devozione e la satira politica si mescolano in questa pazza festa che ad ogni febbraio scuote il continente latinoamericano.
Paganesimo brasilero
Río de Janeiro, Olinda e Salvador sono per eccellenza le città del carnevale del gigante sudamericano, dove la festa si sente a fior di pelle. A Rio dicono che il carnevale “nacque nella strada e morì nel sambodromo”. Sostenedo che nell’enorme struttura in Avenida Sapucaí la festa è per i turisti, mentre il vero carnevale carioca si svolge intorno ai tradizionali blocos, dilaganti nelle vie della città. Se qui il carnevale è tutto l’anno, durante i giorni canonici, gli eccessi raggiungono il culmine sotto lo sguardo paternamente distratto del Cristo Redentore. In riva al mare, in pieno centro, nelle zone più eleganti come nei quartieri popolari, tutto il mondo danza, con una birra in mano, sotto una pioggia di schiuma, in una sarabanda scatenata e mascherata.L’immagine più diffusa dei festeggiamenti è certamente quella della fastosa sfilata delle famosissime Escolas de Samba, che riempie 5 notti infinite nel sambodromo. Fuori tutta un’altra storia. La gente esce di casa seguendo il ritmo ipnotico imposto dai blocos, che danno vita al vero carnevale carioca. Banda de Ipanema, Cordao de Bola Preta, Escravos de Mauá, o Carmelitas, sono solo alcuni dei 425 gruppi che inondano Rio a puro ritmo di samba. Facile perdersi nella marea umana, ma spesso ne vale la pena.
Nel frattempo, a Salvador, le centinaia di chiese della capitale bahiana tremano al passaggio dei trios eletricos – giganteschi camion che funzionano come palcoscenici mobili – che squotono la città e trascinano moltitudini nelle strade. Il tropico arde. La gente si dimena. Salvador è un calderone di popolo in ebollizione, e ora l’unica religione nel regno dei riti Yoruba è il paganesimo. Locali e turisti vibrano al ritmo dell’axé e del pagode che rimbombano nei giganteschi sound systems ambulanti lungo i tre circuiti principali dove la grande festa pulsa: Campo Grande, Barra-Ondina e Pelourinho. Lì fino a notte inoltrata si esibiscono mega star locali come Daniela Mercury, Ivette Sangalo, o Carlinhos Brown. .“Sai do chao!” (saltare!), arringano le divinità della canzone bahiana. E la massa impazzisce, il trio accelera e tutti quanti corrono, ballano, saltano e cantano in coro.
A Olinda fiumi di persone invadono le vecchie strade al rullo dei tamburi e al risuonare ossessivo del maracatù, un mix autoctono di ritmi africani ed europei caratteristico del carnevale nel Pernambuco. Centinaia di gruppi in costumi afro sfilano per la pittoresca città, attirando circa un milione di persone che cantano e danzano come in trance sotto l’abbacinante sole nordestino.
La parata dei pupazzi giganti è un autentico classico: più di cento creature in carta pesta che possono raggiungere oltre i tre metri di altezza, portate a braccia lungo le stradine strette e ripide della città Qui la satira non fa sconti e tutti possono finire in caricatura. Contemporaneamente nella vicina Recife si riuniscono ogni sabato di carnevale i seguaci del “bloco” più grande del mondo, come certificato da Guiness: il famoso Gallo da Madrugada, che aggrega circa due milioni di persone lungo le strade della capitale pernambucana. E poi la domenica la Notte dei Tamburi Silenziosi, nonostante il nome, tiene sveglie moltitudini. Si tratta di una sfilata di origine africana che rende omaggio alle anime: un tocco mistico in tanta sfrenatezza.
Mundo andino
Oruro e Tilcara sono due fedeli interpreti dei festeggiamenti andini, ispirati al sincretismo tra il culto arcaico di Pachamama (madre terra) e i riti cristiani importati dagli Spagnoli. “Per noi il carnevale è sacro. E’ allo stesso tempo allegria e identità, un evento profondamente radicato e sentito nel popolo. Appena nasci ti prendono sulle spalle e ti portano a far carnevale”, afferma Walter Apaza, docende e studioso della materria.
A Tilcara, nell’Argentina nord-occidentale, il carnevale è fra i più autentici del Paese, celebrato in consonanza con l’antica festa dell’abbondanza, che concludeva i periodi di lavoro collettivo, un tempo normale pratica di mutuo soccorso. I festeggiamenti si protraggono per nove giorni e iniziano con l’”esumazione (desentierro) del diavolo”, da un cumulo di pietre e in mezzo ad una pioggia di farina, coriandoli, schiuma e birra, per dare il via al carnevale. A quel punto gruppi di maschere tipiche, come i “Pocos Pero Locos”, “Caprichosos”, o “Los Ahijaditos”, scorrazzano per ogni dove seguiti da corti di folla al ritmo di huaynos e carnavalitos, generi della tradizione derivati da musiche ante-conquista.
Agli spaventevoli diablitos dalle vesti coloratissime è consentito ogni eccesso, compreso ballare con tutte le donne che incrociano, roteando le lunghe code e modificando la voce per non essere riconosciuti. Con il rogo del diablo, affinchè rinasca più vigoroso l’annno seguente, la festa termina, ma solo in apparenza: uno strascico di bagordi, detto Carnaval Chico, la rimpiazza immediatamente.
Oltre frontiera, a Oruro, il carnevale scuote anche la proverbiale calma boliviana. Il sabato una cinquantina di gruppi folcloristici, tra cui i famosi caporales, morenadas, diabladas, o tinkus, percorrono la città accompagnati da un cntinaio di bande. I gruppi arrivano fino da Sucre, Cochabamba o La Paz, ma anche da piccoli villaggi sperduti nelle Ande. Nella parata un ruolo di privilegio è destinato alle ballerine mascherate, dai magnifici abiti sgargianti, che giungono in un tripudio di acclamazioni alla meta finale, il santuario della Virgen del Socavón, detta la “Mamita”, a cui dedicano danze esprimendo voti e promesse. Segue una benedizione generale che apre una notte di allegria culminante con la sfida delle bande, a colpi di melodie fatte apposta per scatenarsi.
Sul Río de la Plata
Rispetto ad altri carnevali sudamericani, quello che si svolge sulle opposte rive del grande estuario posto a confine tra Argentina ed Uruguay si distingue per l’alto tasso di satira politica. Per le strade o sui palchi addobbati, sberleffi pungentii, battute, imitazioni si sprecano, senza timori reverenziali verso alcun dirigente di partito.
A Montevideo, durante i 40 giorni dell’incredibilmente lungo periodo carnevalesco, il climax si raggiunge nelle parate dei quartieri Sur e Palermo, dove quaranta gruppi provenienti da altrettanti barrios per due notti intere si esibiscono riportando alla luce i ritmi del condomblé, con bianchi e neri scatenati al pulsare delle percussioni degli avi: piano, chico e repique. In mezzo a tanto frastuono si aggirano i personaggi tipici del carnevale montevideano, come la Mamá Vieja, el Director, el Gramillero, el Escobero Malabarista e las Vedettes. In vari punti della città gli ensamble musicali di strada più famosi sbeffeggiano i loro bersagli politici, rinnovando un’ espressione popolare che trascende la tradizione carnevalesca.
Dopo il lungo periodo di censura imposto dalla dittatura, sulla sponda argentina il carnevale ha gradualmente ripreso le sue forme storiche. Le Murgas di Buenos Aires, i guppi tradizionali in maschera di musici, ballerini, cantanti, sbandieratori, saltimbanchi, possono ora come un tempo riversarsi nelle strade, emergendo da mesi di estenuanti prove nei cento quartieri della città. Il carnevale si accende all’inizio di febbraio, quando più di un centinaio di gruppi occupano in pianta stabile 30 vie strategiche. E’ l’apertura di un periodo senza freni che contagia tutti i barrios per la felicità di grandi e piccini: un autentico rito liberatorio che nulla ha da invidiare al più famoso carnaval brasilero.
Barranquilla, il Carnevale del Caribe
È il più grande in Colombia, e una delle principali feste del Paese, che ogni anno coinvolge più di un milione di persone. E’ un carnevale dal sapore caraibico, una festa meticcia, il secondo per importanza in Sudamerica dopo quello di Rio.Qui si fondono originalmente le culture europee, africana e indigena, integrando i festeggiamenti cattolici portati dai conquistatori con le cerimonie aborigene e il patrimonio musicale degli schiavi africani. Con oltre cento anni di tradizione, questa festa è stata riconosciuta come “Capolavoro del Patrimonio Immateriale dell’Umanità” dall’UNESCO nel 2003. La città di Barranquilla si ferma la prima settimana di febbraio di ogni anno e cade quasi in uno stato di trance per i quattro giorni consecutivi. Ma il pre-carnevale inizia già intorno al 20 gennaio con le fiestas delle comparse e compagnie di danza e cumbia. I movimenti che disegnano le coreografie conservano le ispirazioni africane; sono danze felici, che raccontano però un passato difficile e pieno di sofferenza, il ricordo di maltrattamenti e di schiavitù. Sono il simbolo del carnevale di Barranquilla, insieme al rum bianco consumato a fiumi e al calore degli abitanti, che si lasciano andare a una gioia talmente grande da coinvolgere anche i turisti meno avvezzi a un divertimento così sfrenato. Il venerdì antecedente i fatidici giorni si apre con la festa dell’incoronazione delle regine e la Guacherna, mentre il sabato inizia ufficialmente con la Battaglia dei Fiori, una sfilata di carri allegorici, sfilate in costume e gruppi di danza, presieduto dal carro della Regina che danza e il pubblico le getta fiori. Il carnevale si conclude il martedì grasso con la sepoltura di Joselito de Carnaval, un pupazzo enorme, il simbolo più rappresentativo di tanta gioia e allegria. Dopo quattro giorni di intensi, muore e viene sepolto simbolicamente da vedove allegre che hanno condiviso con lui la fiesta, con l’addio al periodo di baldoria, almeno fino al febbraio successivo.
Testi Guido Piotrkowski e Teresa Scacchi | Foto Guido Piotrkowski
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