Tra le montagne ricoperte di fitta vegetazione e le cime avvolte da nuvole, i piccoli produttori di caffè sono l’anima di queste aree remote. Le loro braccia hanno ricavato spazi di vita tra i grandi alberi che avvolgono la terra e il cielo del Nicaragua.
“Se non ci fosse stato il commercio equo non ci troveremmo qui a parlare ora. Probabilmente saremmo emigrati in città a fare la fame. Grazie alle esportazioni del nostro caffè in Italia ci siamo salvati”, sostiene don José Centeno, mentre ci conduce verso la sua coltivazione. Superiamo un torrente passando su un tronco pericolosamente in equilibrio e poi ci inoltriamo in un bosco ricco di essenze diverse. Le coltivazioni agricole si inerpicano lungo scoscesi pendii. Siamo nel nord del Nicaragua, dove si producono tra i migliori chicchi di caffè del pianeta, ma anche dove la povertà ha rischiato di mettere in ginocchio le famiglie contadine. Questa è la valle di Pantasma, nel distretto di Jinotega, un’area appartata, fino a pochi anni fa difficilmente raggiungibile.
“Ricordo quegli anni terribili”, aggiunge don Josè mentre ci inoltriamo tra le piante di caffè ricoperte di bacche rosse. Negli anni Novanta la caduta del prezzo del caffè aveva mandato sul lastrico noi contadini. Non riuscivamo neppure a rientrare delle spese di coltivazione”. In quello stesso periodo il Nicaragua era appena uscito dalla guerra civile che aveva visto lo scontro tra Contras e il neonato governo sandinista di Manuel Ortega. Un confronto durissimo che ha avuto come teatro anche la vallata di Pantasma. Nel capoluogo, a Santa Maria di Pantasma, nel 1983 c’era stata un’irruzione armata dei Contras che aveva lasciato sul terreno 43 abitanti.
Tra mille difficoltà, passo dopo passo, le profonde ferite sono state rimarginate grazie al paziente lavoro di ricostruzione del tessuto sociale di una ONG italiana, GVC. “Ricordo molto bene quel periodo”, sostiene Monica Mazzotti, operatrice di GVC. “Facevamo le riunioni chiedendo ai contadini di mettere le pistole sul tavolo. Nessuno si fidava. Ma alla fine ce l’abbiamo fatta a far nascere le prime cooperative”. In quegli anni interviene anche Coop Italia che sostiene finanziariamente l’operazione.
Nel 2003 si costituisce l’associazione delle cooperative di produttori di caffè, detta UCA. Lo scopo è gestire il processo di trasformazione e di commercializzazione del caffè. Un’altra spinta fondamentale arriva dalla certificazione Fairtrade di commercio equo. I contadini, per la prima volta nella loro storia, possono godere di un prezzo minimo garantito. Non sono più soggetti alle angherie dei commercianti locali e degli intermediari che impongono prezzi bassi.
Oggi alla Uca di Pantasma aderiscono nove cooperative. Sono coinvolte quasi 300 famiglie di piccoli produttori. Un successo. “Nel contempo abbiamo riscoperto e valorizzato un’importante tecnica agricola che era stata perduta”, afferma don Francisco Gonzales presidente della Uca mentre ci conduce a seguire le diverse fasi di raccolta. “Si chiama caffè coltivato all’ombra. La resa è decisamente superiore e la qualità non ha eguali. Il nostro caffè è tra i migliori al mondo!”
Don Francisco ci indica le diverse varietà che sono state mescolate al caffè: alberi da legno, piante da frutto, banani, banano verde, piante da ombra, ornamentali e commestibili ad uso della famiglia. Gli alberi più alti proteggono il caffè dal sole e, nello stesso tempo, le loro foglie concimano il terreno. I fertilizzanti quasi non si usano. Ne guadagna l’ambiente e si salva la grande biodiversità tipica di queste area. Una volta raccolte le bacche di caffè vengono subito lavorate. La prima operazione è la spolpatura: con un macchinario i contadini lacerano la buccia e liberano il seme che sta all’interno. Segue poi un periodo di fermentazione che dura 24 ore. Questa è la fase umida. Dopo la spolpatura i chicchi di caffè vengono lavati. Terminate queste operazioni, i produttori consegnano il frutto della loro fatica ai centri di raccolta. Dai villaggi di montagna i sacchi di caffè vengono trasportati in pianura per essere sottoposti all’ultima fase di lavorazione, quella secca.
Nella città di Matagalpa, dove il clima è sempre torrido, i chicchi di caffè vengono distesi al sole e messi ad essiccare per diversi giorni finché il loro grado di umidità si riduce. Una volta essiccati, i chicchi vengono decorticati a macchina per eliminare il pergamino, una sottile pellicola che li ricopre. Quando arriverà nel nostro Paese il caffè verrà sottoposto alla fase finale, quella della torrefazione. Tra montagne di sacchi di caffè, incontriamo Ena Salinas, rappresentante del marchio Fairtrade: “Il caffè è la più importante rendita per i contadini. In Nicaragua si contano 27 cooperative che producono secondi i criteri del commercio equo, con grande beneficio per i piccoli produttori”. Conclude con ottimismo: “E ‘ grazie ai vostri acquisti in Italia che questi nostri contadini del possono continuare a sperare in una migliore qualità di vita”.
Testo e foto di Aldo Pavan | Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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