Matera. Quattro sassi sotto le stelle

MateraÈ la prima città del Sud a diventare capitale europea della cultura nel 2019. Meta attrattiva di artisti internazionali, Matera mantiene intatto il suo genius loci facendo della tradizione la sua pietra miliare.

L’umidità si fa sentire fin dentro le ossa, bagna l’aria densa, si respira l’odore di fuoco di legna. È notte e davanti ai miei occhi una distesa ordinata di luci e pietra, maestosa e silente. Matera.
L’atmosfera è senza tempo, immortale e immobile come la pietra di cui è fatta.Le stradine tortuose lastricate di ciottoli viscidi circondano serpeggianti le costruzioni in un andirivieni di forme e saliscendi, di rocce e scale, di case e di chiese. Una disordinata armonia di geometrie attende il visitatore con incomparabile ed eterna bellezza.

Al cielo si volge lo sguardo, una volta arrivati nel cuore dei Sassi, in una notte di stelle esso sembra non essere distante. Distante doveva apparire a chi, invece, nel cuore della notte, partiva dai sassi e andava a lavorare nei campi percorrendo a piedi 5, 10 o 15 km di cammino. I terreni coltivati dai materani dei sassi avevano nomi diversi che indicavano a quale ora del mattino successivo sarebbero stati raggiunti, i più fortunati andavano a lavorare alle ”mattinata”, altri alle “mattinelle” e i più sfortunati alle “serramaren” che si raggiungevano solo per mezzogiorno. Alcuni lavori nelle campagne impegnavano gli uomini anche per settimane e quando essi ritornavano a casa, al tramonto, trovavano il calore del bracere acceso al centro della stanza, i pochi animali domestici in un angolo, misura della loro ricchezza, la luce fioca di un povero lume ad olio chiamato “Tibb” e lenzuola ombrate di pesante tela che adornavano un letto scomodo.

Matera2É la signora Anna Segreto, classe 1932, a raccontarci come si viveva nei quartieri storici di Matera, in quelli che nei Sassi si chiamavano “recinti”: le famiglie contadine vivevano in abitazioni ricavate dalla roccia, tutti insieme, figli, nipoti, cognati, nonni e vicini, con un’unica cisterna al centro di ogni gruppo di abitazioni da cui attingere acqua e un unico forno a legna a cui ci si recava una volta alla settimana per cuocere l’alimento fondamentale per la loro sopravvivenza, il pane. Il pane si cuoceva in forme di 5 o 7 Kg ed era bigio, come la polenta dei Promessi Sposi, era un pane per poveri, fatto con farina non raffinata e scura, nel gergo locale detta “semelaun” o semolone, mista a crusca. Con la stessa farina si preparava anche la pasta in casa, aggiungendo solo acqua, niente uova, le uova non potevano essere sprecate per fare la pasta, erano una ricchezza troppo grande.
L’altro bene prezioso era l’acqua, Matera è circondata da terre aride, in cui non scorrono fiumi, in cui non ci sono né oasi né fontanili per chilometri, un “deserto incessante d’argille” come le definì Carlo Levi. Gli avi dei materani costruirono un geniale sistema di raccolta dell’acqua piovana che confluiva in impluvi sotterranei, ogni “recinto” nei Sassi aveva la propria cisterna che permetteva di raggiungere l’acqua delle riserve comuni. L’accesso alla più grande delle riserve d’acqua, il palombaro lungo, si trova ancora oggi negli ipogei della piazza principale della città, piazza Vittorio Veneto, da cui si dipartono oggi le vie dello shopping, una volta fu completamente sepolto come a coprire una realtà di cui si provò vergogna.

Matera3Nel 1954 iniziò lo sfollamento dei Sassi, le famiglie vennero condotte in case popolari, in quartieri appositamente costruiti alle periferie di Matera; Anna si ritrovò “ricca”, nel quartiere di Serra Venerdì, in un appartamento con bagno ed acqua potabile che sgorgava direttamente dal rubinetto. Non è mai diventata “Ricca” però, come quei signori che anni prima si affacciavano dall’alto delle finestre dei loro palazzi della Civita verso i sassi e a chi abitava in quell’abisso di fame e di fatica mostravano loro di mangiare il pane bianco, il pane morbido dei ricchi.
In gioventù, a chi la criticava per la sua povertà, Anna rispondeva che la sua pelle era scura, come il pane nero che mangiava. I suoi occhi neri oggi sono ancora brillanti e vivi come quelli di una bambina, lo sguardo mostra una indomita fierezza, le sue mani ci raccontano di intere giornate passate a lavorare, a lavare per i signori, la malattia delle sue gambe, la fatica vissuta.

Credo all’antica tesi secondo la quale il nome Matera derivi da “Mater eris” e significhi madre ricca e non da “Mata” mucchio di rocce. Matera è madre di tutti noi, madre terra, origine; è la testimonianza dell’adattamento dell’uomo a un territorio la cui natura è così inospitale da offrire condizioni di vita durissime, racchiude l’origine della cultura contadina che è radice del nostro popolo e della nostra storia e una realtà italiana che non si deve dimenticare.

di Susy Toma |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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