Astenersi se portatori della sindrome di Stendhal. Il cartello non c’è ma alla Barnes Foundation dovrebbero metterlo. Così come dovrebbero avvisare i poveri giornalisti: non saprete da che parte iniziare per descriverci. Proviamoci partendo da lui, da Albert C. Barnes. Origini umili, fortuna fatta a fine ‘800 grazie a un farmaco contro la cecità infantile, grande passione per l’arte e la filosofia, inizia a collezionare opere allora contemporanee spedendo in Francia suoi fiduciari e giungendo a ingaggiare Matisse per dipingere un murale nella sua villa di campagna a Merion.
Qui, Barnes e la moglie sistemano quadri, sculture e oggetti come fareste voi in casa vostra: questo sta bene qui, quest’altro là. Risultato: nella villa circondata da un arboretum didattico si accumulano centinaia di capolavori tra cui 67 Cézanne (avete letto bene) e 181 Renoir, oltre a 7 Van Gogh, 46 Picasso, 59 Matisse e molto, molto altro distribuiti in ordine sparso, non cronologico né filologico ma, appunto, vitale, con pareti letteralmente coperte da tele e cornici.
In collaborazione con altre istituzioni educative, la Fondazione Barnes diventa un vero cenacolo aperto al pubblico per «promuovere l’educazione e la crescita della conoscenza delle belle arti». Fino al Duemila l’incredibile collezione resta a Merion, nei sobborghi di Philadelphia ma i tempi cambiano e si rende necessario trovare nuovi spazi. Detto, fatto. La Fondazione — Barnes e la moglie Laura sono mancati rispettivamente nel ’51 e nel ’66 — apre nel 2009 e conclude nel 2012 sul Museum Mile della città un cantiere che dà vita a un edificio in pietra del Negev che sarebbe magnifico anche se contenesse una lavanderia a gettoni. All’interno, invece, c’è la riproduzione degli spazi della villa di Merion e ci sono tutti i capolavori della Barnes.
I 150 milioni di dollari necessari all’impresa? Sono arrivati da tutti i principali attori privati di Philadelphia e da oltre 15mila semplici cittadini, entrati a far parte della Fondazione. Che, alla fine, di milioni ne ha raccolti 200, con un avanzo per le attività future.
Di solito non amiamo i toni enfatici ma, signori, la Barnes è una delle cose più straordinarie che ci sia capitato di vedere nella nostra carriera di viaggiatori. Trust us, credeteci. E quando, uscendo, barcollerete in preda a quella sindrome che aveva colto Stendhal a Firenze per colpa della troppa bellezza incontrata, la vostra Piazza Santa Croce sarà il verde della Benjamin Franklin Parkway, con le sue panchine su cui accasciarvi, storditi ma felici.
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Testo di Marco Berchi, foto di Lucio Rossi e Barnes Foundation |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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