Genova vista con gli occhi di Fabrizio De Andrè, attraverso lo sguardo e le parole del nostro inviato; alla ricerca delle atmosfere delle indimenticabili canzoni-poesie del grande cantautore.
Testo e Foto di Michele Dalla Palma
“Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi, ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi, una bimba canta la canzone antica della donnaccia…” sono versi d’amore per la “sua” Genova, lontana dall’opulenza dei palazzi nobiliari e delle vetrine alla moda, dello straordinario poeta che fu il leggendario Faber. Una canzone, come tante del cantautore ligure, che hanno accompagnato la mia generazione alla scoperta del mondo.
Lo immagino, cercando i suoi racconti nella Genova dei Caruggi, con la sigaretta perennemente incastrata tra le dita e quel suo sguardo sghimbescio, triste e sarcastico. Intento a soppesare il valore della vita rimanendo sempre deluso dalla pochezza degli uomini. Coi suoi occhi osservo ombre che si animano sui muri scrostati dalla salsedine, gli austeri marmi bianchi e neri di antiche chiese nascoste dalla polvere del tempo, poi, improvvisi, muri colorati di giallo, rosso, verde. Così piacevolmente uguali in tutte le città che sanno di mare.
Ascolto voci che raccontano vite diverse, marginali, emarginate, di ambulanti multietnici che affollano i portici unti dal grasso delle stagioni, e padroni di vecchie botteghe di roba fuori moda che accettano, arresi, di appartenere a un mondo che non esiste più. A guardarla senza giudicare con gli occhi della modernità, questa Genova, con le sue atmosfere stantie e le calze sgualcite di una vecchia maîtresse, è come una donna anziana che ha ancora voglia di mostrare la sua femminilità … Forse per questo mi attrae, la “Città Vecchia” di De Andrè. Perché, pur assediata da un mondo che non riesce più a comprendere e dominare, non si rassegna all’oblio.
Vagabondando tra Via del Campo e Prè, mi pare di riconoscerli, i personaggi delle sue canzoni. Dolcenera, la prostituta “nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c’è luna”; Piero, che ha perso tutte le sue battaglie e osserva scorrere giornate senza vita; Michè, giustiziere di chi voleva portargli via la sua Marì; gli “occhi grandi color di foglia” di una ragazzina che aspetta qualcuno da prendere per la mano; il vecchio professore in cerca di una scintilla di passione; il suonatore Jones, seduto in un angolo di strada a far l’amore con la sua chitarra indifferente alla fretta del mondo.
Ci sono tutti. Attori protagonisti sul palcoscenico della quotidianità di una città che sopravvive a se stessa, ormai lontana dalla grandezza guerriera che per otto secoli l’ha trasformata in uno dei centri focali del mondo.
Al di là della poetica, Fabrizio possedeva il dono raro di saper raccontare, con straordinarie fotografie di parole, luoghi e, soprattutto, persone. Pennellate con furia elementare e rese reali da pochi aggettivi.
Nelle sue canzoni ci sono storie di “ultimi”, abbandonati dal presente e diseredati dal futuro, e anche vicoli bui e sporchi, dove “l’aria spessa carica di sale e gonfia di odori” fa da guida alla scoperta di una Genova lontana dall’imponenza dei palazzi nobiliari dei grandi banchieri e armatori del Rinascimento, che si trovano poco lontano dalle “calate dei vecchi moli” ma sembrano appartenere ad un altro mondo, ad altri uomini.
Le suggestioni della “Superba”
Così la definì Francesco Petrarca, che nel 1358 descrisse “una città regale, addossata a una collina alpestre, superba per uomini e per mura, il cui solo aspetto la indica signora del mare”… una città che ha sempre avuto un carattere imponente, altero, orgoglioso.
Protetta a nord da montagne che sfiorano i mille metri, dove furono costruiti, nel 1600, i “forti” per la difesa militare, collegati tra loro dalla più lunga cinta muraria d’Europa e seconda nel mondo solo alla Grande Muraglia cinese, a guardarla dal mare appare come la prua di una nave che sfida le tempeste sicura della sua potenza.
Per otto secoli epicentro di una delle più importanti Repubbliche Marinare, in perenne conflitto con Venezia, fu una delle principali potenze commerciali ed economiche del Mediterraneo, e tra il XVI e XVII secolo uno dei maggiori poli finanziari d’Europa. Nobili e banchieri furono gli artefici dei maestosi palazzi che ancora fanno bella mostra di sé lungo quella che oggi si chiama Via Garibaldi.
Primo esempio di lottizzazione urbanistica, in una posizione dominante sul sottostante Porto Antico, la Strada Nuova – così si chiamava prima di essere intitolata nel 1882 all’Eroe dei Due Mondi – venne progettata a metà del 1500 con l’obiettivo di realizzare un nuovo quartiere abitativo per le grandi famiglie genovesi, che abbandonarono i quartieri medievali lambiti dal mare, abitati da una babele di marinai e artigiani, malviventi e donne di strada.
Tra miseria e nobiltà, lungo le “calate dei vecchi moli”
Con la realizzazione del quartiere residenziale, oggi Patrimonio Unesco e sede dei grandi musei cittadini, la Strada Nuova divenne una “barriera sociale” che mise fine alla secolare contrapposizione tra famiglie nobiliari, ricchi commercianti e armatori, e il “popolo” con cui avevano fino a quel momento convissuto in un caotico accrocchio di strette viuzze medioevali che circondavano l’insenatura del vecchio porto.
Quella che oggi è Piazza Caricamento, e ospita l’avveniristico Acquario di Genova, in epoca medioevale non esisteva, e i portici si affacciavano direttamente sui moli di attracco, dove arrivavano navi da guerra cariche di bottino e vascelli provenienti dalle aree più remote del globo, portando ricchezze e straordinarie novità.
Lungo Via Prè – che anticamente portava fuori dalle mura, verso la campagna fatta da orti e prati, prei in dialetto, e costeggiava la riva del mare – si possono ancora trovare, sui muri delle antiche case, i sostegni in ferro che servivano per appoggiare i remi.
A partire dalla fine del 1200, le caracche, i grandi velieri a tre o quattro alberi della flotta genovese, e dal XVI secolo i più capienti galeoni, avevano battuto senza sosta i litorali dell’Africa settentrionale, le insenature della costa balcanica e i porti del Medio Oriente, fino al Mar Nero.
Inevitabile portare a casa suggestioni, fascinazioni, ma anche usi e costumi della cultura araba e moresca, in particolare le dinamiche del “mercato”, che si possono ancora riconoscere tra i quartieri della “città vecchia”, dove i nomi delle vie – degli Orefici, del Ferro, dei Bottai, Borgo dei Lanaioli, Via Macelli, Piazza Pellicceria, Salita Pollaioli e così via – ricordano le antiche corporazioni di artigiani che avevano sede in questi vicoli.
E nelle osterie tipiche i profumi locali si mescolano con quelli provenienti da cucine di paesi lontani, gli odori si confondono in Sottoripa come nei souk di Aleppo e Damasco, e la pastella di farina fritta nell’olio di oliva che si mangia sulle bancarelle è identica a quella che si può assaggiare a Marrakech.
Le anime della città
Una è qui. Tra l’umanità variegata che affolla i carruggi. Ma non è l’unica. Perché la vocazione della Superba è stata, per secoli, tracciare nuove rotte, scoprire luoghi lontani. Il viaggio e l’esplorazione sono nel Dna di Genova e dei suoi “capitani”… conosciamo tutti Cristoforo Colombo, scopritore del Nuovo Mondo, ma quanti hanno sentito parlare di Guido e Ugolino Vivaldi, due fratelli che nel 1291 nel tentativo di circumnavigare l’Africa per raggiungere l’India, scoprirono le Isole Canarie?
Trent’anni dopo, un altro genovese, Lancelotto Maloncello, diede il nome a una di loro, Lanzarote. Nel 1455 il genovese Antoniotto Usodimare, col veneziano Alvise Cadamosto, raggiunsero l’isola di Capo Verde. Se il primo giro del mondo, nel 1519, è stato attribuito a Magellano, fu in realtà il savonese Leon Pancaldo a portare a termine l’impresa (Magellano era morto alle isole Molucche) insieme al cartografo vicentino Antonio Pigafetta. Successivamente, el Admiral Pancaldo attraversò l’oceano Atlantico arrivando sulle coste del Brasile e dell’Uruguay.
Ma il personaggio che incarna alla perfezione l’immaginario dell’esploratore è senza dubbio Enrico Alberto d’Albertis, straordinario spirito avventuroso che, a bordo dei suoi due yacht Violante e Corsaro, tra la fine dell’800 e i primi decenni del XX secolo percorse le antiche rotte dei grandi navigatori usando gli stessi strumenti nautici, da lui stesso costruiti, in uso ai tempi di Cristoforo Colombo.
Sulla collina di Genova fece costruire un bizzarro castello, sintesi di stili orientali, che riempì di oggetti tribali e artistici raccolti in ogni continente; quell’esotico edificio oggi ospita il Museo delle Culture del Mondo. E in una delle sale che si affacciano sul porto di Genova, la statua in marmo di un giovanissimo Cristoforo Colombo osserva, profeticamente, l’orizzonte verso Occidente.
Infoutili
Come arrivare: Arrivare a Genova è davvero semplice: la città è servita dall’Aeroporto Cristoforo Colombo, che si trova a Sestri Ponente ed è collegato al centro grazie ai trasporti pubblici. Le stazioni marittime mettono in connessione Genova e i principali porti del Mediterraneo. Le linee ferroviarie rappresentano poi una comoda e efficace soluzione non solo per raggiungere il capoluogo ligure, ma anche per spostarsi al suo interno: le ramificazioni ferroviarie coprono, infatti, lo snodarsi del territorio genovese da est a ovest. Sono quattro, infine, le autostrade che permettono di raggiungere Genova in auto: A12, A10, A26 e A7.
Dove dormire: Per scegliere dove dormire e dove mangiare, si può utilizzare la “Mappa del turismo” interattiva della ricettività stilata dal Comune di Genova:
Uffici turistici: Per informazioni turistiche contattare: info@visitgenoa.it o tel. +39 0105572903. Attualmente sono aperti i seguenti uffici IAT: IAT Garibaldi: tutti i giorni 09.00-18.20 – IAT Porto Antico: tutti i giorni 09.00-18.20 – IAT Aeroporto: tutti i giorni 11.00-19.30
Linkutili: www.visitgenoa.it – Per scaricare tutte le mappe e le brochure dedicate alle escursioni della città di Genova, collegarsi a questa pagina
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