Arabia Saudita, cattedrali nel deserto

Deserti solcati con il passo lento dei dromedari. Spettacolari rocce che emergono dalla sabbia dei secoli, lunghe spiagge dimenticate. Ma anche grattacieli e opulenza. Al centro di questo crocevia di spazio e tempo un Paese sconosciuto in bilico tra passato e futuro.

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Deserto di Hisma

Sì, bisogna venire fin quassù per fare un po’ di chiarezza, respirare il deserto. Per cominciare bisogna buttare via i libri, tutti quei classici che parlano dell’Arabia Felix, di un mondo che oggi non c’è più. E i pregiudizi. Non aspettarsi null’altro che stupore. Le idee preconcette devono finire coperte dalla sabbia che adesso viene alzata dal vento il cui sibilo è l’unico rumore nel nulla di questo deserto. In pochi minuti spariscono anche i nostri piedi. Al mio fianco, il copricapo di Khaled, la “ghoutra” a quadri bianchi e rossi, è come una bandiera che sbatte su un pennone di una nave. Il suo “thobe”, la tunica bianca immacolata prende forme strane. Si gonfia. Fra poco Khaled potrebbe volare via in questo oceano giallo i cui confini sono davvero inconsueti: da una parte la modernità e dall’altra la tradizione più rigida. Khaled ora prepara il te, silenzioso. Accende il fuoco sulla sabbia.

Il tramonto sta per arrivare e si avvicina l’ora della preghiera, quindi bisogna sbrigarsi. Siamo sull’orlo di una scarpata, il precipizio sta davanti a noi. Sotto, con un salto di qualche centinaio di metri, si estendono i vasti e spettacolari palmeti dell’oasi di Al-Ula, una macchia verdissima nel deserto. Dietro il passato, davanti il futuro. L’Arabia Saudita è in questo punto preciso. In una specie di faglia storica, in equilibrio precario, trascinata dal vento del progresso ma aggrappata con le unghie alle vecchie regole del deserto. Così vuole la dinastia dei Saud, la famiglia custode dei luoghi sacri dell’Islam, la Mecca e Medina. Sono loro i sovrani indiscussi che tengono le scettro della rigida ortodossia islamica basata sulle regole della dottrina wahhabita. Quando si arriva in questo Paese sembra di sbarcare in un altro pianeta, di trovarsi davanti a un enigma. E’ un viaggio che riserva una sorpresa dopo l’altra.

Un tempo da Al-Ula passava la via dell’incenso. Le carovane che salivano dallo Yemen puntavano verso nord, verso Petra e sbucavano in Palestina cariche di spezie. Da Gaza le merci partivano per l’Europa. In Arabia i dromedari facevano tappa presso l’antica Hegra che si trova a una mezz’ora di auto da qui, da Al-Ula. Fondata dai nabatei, Hegra è la stupenda sorella di Petra, con una sola differenza: qui di turisti non c’è neppure l’ombra. Solo pochi sparuti ricercatori che rimangono meravigliati davanti alle 130 tombe scavate nella roccia in stile ellenistico e che il tempo ha conservato come relitti di navi arenate in pieno deserto.

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L'oasi di Al-Ula dalla collina

Con Hegra alle spalle, in poche ore si percorrono centinaia di chilometri sull’asfalto liscio come l’olio. Sempre attraverso il deserto andiamo verso il Mar Rosso. Povero Wilfred Patrick Thesiger e le sue carovane di dromedari! L’esploratore inglese, per primo, aveva avuto il coraggio di attraversare il nulla dell’Arabia. Era la metà dell’ Ottocento e dalla sua impresa trasse il libro “Sabbie Arabe”. Ora su queste sabbie ci troverebbe le strade asfaltate. Linee nere di bitume che tagliano il giallo delle dune. In questo deserto può capitare di incontrare un beduino con la telecamera che riprende gli occidentali di passaggio, così per ricordo, per mostrare la scena inconsueta alla famiglia che vive laggiù, da qualche parte, in una tenda circondata da greggi di capre e di dromedari. Viaggiamo: traffico pari allo zero. Al lato della strada piccole moschee. Isolate stazioni di servizio. Cataste di gomme per auto e per camion. Semplici agglomerati di basse case, povere. Finalmente il mare, il paesaggio cambia, ma non di molto, sempre piatto e giallo, con una striscia blu che corre verso l’orizzonte. Sulla costa il deserto si riversa piatto su antichi villaggi di pescatori cresciuti in fretta. A Al Wajh le vecchie abitazioni arabe, realizzate con blocchi di corallo, sono reliquie di storia travolte dalle antenne a parabola puntate verso i satelliti delle stazioni televisive del mondo esterno, verso l’emittente Al Jazeera. Il quartiere antico è ricco di “masharabiya”, le griglie ai balconi che consentivano alle donne di guardare in strada senza essere notate.

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bevendo tè al mercato di Ha Il

Con il mar Rosso che scorre sulla sinistra si arriva fino a Duba, circondata da tangenziali, rotonde e spartitraffico kitsch dalle forme più strane, simili a giochi per luna park, dipinti con colori sgargianti. Anche qui antico e moderno si mescolano. I soldi del petrolio hanno trasformato il porto di pescatori in una città nuova fiammante. Ed ecco finalmente Ras ash Shaykh Humayd, una punta che si protende verso il mare tuffandosi nelle acque trasparenti. Di fronte si staglia la sagoma della penisola del Sinai, terra egiziana. Sembra di poter distinguere a occhio nudo gli alberghi della famosa Sharm el Sheik. Di là la folla, qui la natura, con una serie di spiagge da sogno. Nessuno in giro. Solo gentili poliziotti che fanno da guardia alla costa e che ci vengono incontro con curiosità. I soliti scambi di saluti. Strette di mano. E un arrivederci, inshallah, se Dio vuole. Ora puntiamo verso l’interno, per riportarci ancora una volta lungo l’antica via dell’Incenso.

Da qui il confine giordano è poco lontano. L’antica Petra è a duecento chilometri più a nord. La si raggiunge attraverso il famoso Wadi Rum, il deserto che ha consacrato le gesta di Lawrence d’Arabia quando combatté a fianco degli arabi contro l’esercito ottomano occupatore. A dorso di dromedario aveva preso di mira la ferrovia dell’Hjiaz che collegava Damasco a Medina e attraverso la quale i turchi erano penetrati in Arabia. Oggi le stazioni della vecchia ferrovia sono state restaurate e salvate dall’oblio. I binari che giungevano da nord, dalla Giordania, attraversavano il deserto di Hisma, dove siamo noi ora. Un deserto di  grandi faraglioni, scoscese pareti e vasti uadi sabbiosi di grande bellezza. I fuoristrada affondano le ruote nel rosso superando tavolati e scarpate per fermarsi davanti a scenari grandiosi. Oggi è venerdì, giorno di festa, e le famiglie si appartano a fare picnic all’ombra dei grandi monumenti naturali di arenaria e granito. I bambini corrono sulla sabbia, le donne arrostiscono il capretto e si tolgono il velo nero. Gli uomini si appartano e fumano il narghilé. Li guardiamo da lontano perchè non è educato avvicinarsi, disturberemmo la loro privacy.

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Ras ash Shaykh Humayd sul Mar Rosso, nei pressi di Aqaba

Ora siamo in volo. Dal deserto di Hisma siamo arrivati in auto fino a Tabuk per puntare verso la capitale saudita, verso Riyadh. Con noi in aereo ci sono i pellegrini che vanno alla Mecca, vestono con grandi drappi bianchi di cotone. Sembrano appena usciti dalla sauna. Ancora una volta lo stupore prende il sopravvento. A Riyadh la modernità più assoluta si coniuga con la tradizione, la secolare tradizione beduina. Con quattro milioni di abitanti la città si estende piatta senza anima. Il deserto racchiude uomini e cose nella cortina della rigida osservanza delle regole. Ma le strade a sei o otto corsie invase da auto di grossa cilindrata dimostrano che siamo nel XXI secolo. E che traffico! I beduini chiusi nel frigorifero dell’aria condizionata dei loro cammelli a quattro ruote si spostano dall’ufficio al centro commerciale, fino a casa dove vanno a prendere la moglie. Sempre in auto. E’ tutto un drive-in, anche il bancomat si fa senza scendere. Nel tardo pomeriggio le donne sciamano come ombre nere coperte dalla testa ai piedi sotto le loro “abaya”, le tuniche nere. I figli attaccati alle gonne. Vanno a fare le spese. Il paradiso dello shopping è lungo Thalia street. Il centro commerciale della nuova Kingdom Tower, è un modernissimo shopping mall che si trova in uno dei due nuovi grattacieli che si innalzano nel cielo di Riyadh, i soli a rompere lo skyline cittadino. Fare acquisti è la principale attività delle donne. Il gentil sesso di tutte le età si scatena tra Rolex e abiti firmati Versace e Gucci che vengono indossati ben nascosti sotto i veli neri. E’ stato calcolato che in città ogni anno si spendono in shopping 13 miliardi di dollari. Per le donne i centri commerciali sono l’unico luogo di socialità. Niente teatri e cinema.

Tutto succede lì tra profumi, cosmetici, vestiti, detersivi e soprattutto gioielli (che spese!). Così può capitare che le giovani più intraprendenti lascino cadere un bigliettino con il loro numero di cellulare nella speranza di essere richiamate dal bel giovane che hanno appena visto. La tecnologia aiuta e dribbla i divieti. Sulle scale mobili si intuiscono sorrisi e risolini, tutto di nascosto. I maschi devono indovinare: quali saranno le fattezze della signora che mi sta osservando di nascosto? Carina? Spazio all’immaginazione. E allora basta una caviglia per iniziare a sognare il proibito. Non è facile riuscire a incontrare una donna. Le entrate ai luoghi pubblici sono riservate a giorni alterni all’uno o all’altro sesso. Questo vale per gli shopping center ma anche per gli uffici e i musei. Mentre i ristoranti hanno sale separate: da una parte gli uomini, dall’altra le donne che però non sono mai sole, perché non possono uscire senza essere accompagnate da un parente maschio. Si mangia chiusi tra separè. E quando il cameriere porta le vivande, bussa per dar tempo alle signore di coprirsi il volto con il velo. E noi che siamo lì a osservare, rimaniamo a bocca aperta, ancora una volta stupiti. Questa Arabia è un vero enigma del XXI secolo.

Testo e foto di Aldo Pavan

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