Un salto nel sogno

“I cieli erano chiari, alti e distesi.
Molti erano gli occhi delle stelle”

Anonimo Polinesiano

 

La giovane donna corre a perdifiato, si arrampica sull’albero più alto e sfida il marito a seguirla nel suo salto disperato. Sotto choc Tamalie salta sfracellandosi al suolo sotto gli occhi della donna che, legatasi furbescamente una liana alla caviglia, ora lo piange terrorizzata. Sono infinite le versioni di questa leggenda da cui prende spunto la cerimonia del Naghol, durante la quale gli uomini costruiscono una torre, più alta dell’albero più alto e, con la giusta lunghezza della liana, si tuffano nel vuoto in una sorta di riscatto continuo dall’umiliazione di Tamalie. Pentecoste, forse la più selvaggia tra le isole incontaminate di Vanuatu, è una foresta inestricabile fino a pochi metri dal mare quasi viola e dalle spiagge quasi inesistenti. Per vedere i famosi “land divers” non ci sono molte alternative al costosissimo piccolo aereo che da Efate la raggiunge in un’ora di volo. Le spesse nuvole del temporale tropicale che ci accompagna lasciano intravedere le mille tonalità di acquamarina di un mare limpidissimo e il suggestivo cratere del vulcano Ambryn. Le capanne di Wali sembrano abbandonate, tutti gli abitanti si sono riuniti per il naghol, intorno alla torre di lancio costruita interamente di liane e bambù in-trecciati. Al ritmo incalzante di tamburi e battimani e piedi che percuotono il terreno in una frenesia crescente, uomini e donne abbigliati nei singolari costumi, un copripene e un gonnellino di burao, accompagnano gli interminabili secondi prima del folle tuffo a testa in giù. La liana, legata intor-no alla caviglia di ragazzini e adulti che si dividono le piattaforme poste a diverse altezze (è il figlio del capo ad avere l’onore della più alta), frena un po’ la caduta ma nel ’74, davanti alla regina Elisabetta, qualcosa non funzionò e uno dei saltatori si sfracellò al suolo come Tamalie. Oggi i turisti, pur se contingentati dai pochi mezzi che raggiungono l’isola e soprattutto dall’altissimo prezzo: 45.000 VT circa 400 euro, accorrono numerosi tutti i sabati di aprile e maggio, quando le liane sono più resistenti. L’arcipelago di Vanuatu con la sua natura pressoché intatta è soprattutto una terra ricca di tradizioni, gelosa di una storia non scritta, indissolubilmente intrecciata a miti, leggende e folclore. Ancora oggi è il capo del villaggio ad avere grande potere. E’ lui che decide le pene per i reati minori (quelli che non vengono giudicati dalla giustizia ufficiale), commisurate in kava (la radice della pianta del pepe usata come bevanda nazionale) e maiali, da pagarsi all’offeso e al poliziotto. Meglio della prigione “perché altrimenti chi baderebbe a moglie e figli?” ci chiede saggiamente il nipote del capo del villaggio di Yakel, “chi non è soddisfatto può rivolgersi al Consiglio degli Anziani ma, il miglior deterrente ai crimini sulle nostre isole, è la riprovazione e l’isolamento dalla comunità”. I Nambas di Malekula, noti in passato per la ferocia in battaglia, il disprezzo per l’uomo bianco e il bieco sciovinismo, vivono ancora nel rispetto di molte antiche tradizioni, a parte forse il cannibalismo; durante le feste e le cerimonie, si ornano viso e corpo con piume di uccelli, pigmenti di terra e colori naturali estratti da radici, foglie e bacche. Non tutto è così genuino però. A Wala Island veniamo sorpassati da un gruppo in corsa di indigeni in jeans e T-shirt, gli stessi che poco più tardi, dipinti e quasi nudi, ci offriranno una peraltro interessantissima immersione in danze e tradizioni. Antico e moderno, vero e falso, si intrecciano e, a fianco di questo villaggio-show, ne è sorto un altro in cui una sola famiglia (il capo, le sue due mogli e i 12 figli) hanno deciso di vivere autenticamente nel pieno rispetto di tutte le tradizioni. A Naru assistiamo invece alle danze femminili, una sola nota monotona e passi strascicati intorno a un grande tamburo su cui si usava legare il colpevole a testa in giù. Dopo avergli infilato fiori rossi nell’ano veniva fatto secco con un colpo di bastone sul capo e il corpo diviso tra gli abitanti del villaggio per la cena. Nel fitto della jungla sono sparpagliate le tombe dei capi: grandi pietre piatte su cui veniva posta la testa e un pezzo di manioca, se si trovava la manioca morsicata significava che era in arrivo un ciclone. A Tanna i villaggi tradizionali sono numerosi ed è curioso girare tra le tranquille capanne di paglia e la gente in costume tradizionale che la nostra guida giura essere l’abbigliamento quotidiano. Il bellissimo artigianato, spesse collane di conchiglie e denti di maiali, asce di legno e sassi, hanno però prezzi da Via della Spiga e contrattare è assolutamente inutile. L’isola è molto suggestiva con spiagge nere dalle rocce rosse, una strada accidentata che passa attraverso panorami incontaminati e la Point Resolution, una baia tranquilla dove l’unico dugongo della zona viene qualche volta a nuotare con i turisti.

Ma il vero clou del tour è il vulcano Yasur, uno dei vulcani più attivi al mondo. Sono almeno 800 anni che ogni ora ci sono diverse eruzioni e bisogna aspettare che il fumo diradi per intravedere le due bocche rosse, i lapilli e i rivoli di lava. Impressionante è il terribile rumore, suoni sordi e cupi, poi più forti come di tuoni improvvisi e vicinissimi. Pare che qualche anno fa una guida e due giapponesi siano morti, colpiti dai blocchi di lava sparati in alto. L’isola di Espiritu Santo è una delle più grandi ed è nota soprattutto per le belle spiagge e gli affascinanti snorkel e diving tra relitti famosi quali il President Coolidge o il Million Point. Su questa spiaggia tonnellate di relitti di tutti i tipi fanno da monumento all’imbecillità umana. Gli americani alla fine della seconda guerra mondiale piuttosto che regalare tutto a francesi e locali preferirono affondare merci pari a un valore di 1 milione di dollari. Oggi rendono qualcosa coi turisti che fanno snorkel tra carcasse di aerei, navi, cannoni, camion e gru tra cui spuntano coralli e piccoli pesci coloratissimi. Le strade dell’isola sono ancora le airstrip americane, quando non sono state ingoiate dalla vegetazione e dai micidiali invadenti rampicanti importati pro-prio dagli americani per mimetizzare le basi militari o fare ombra ai dormitori. Ma la più bella spiaggia è sicuramente Champagne Beach: sabbia bianchissima, mare azzurro mito, e tutto intorno il verde ininterrotto di una vegetazione intatta e rigogliosissima dove perdersi nella contemplazione della natura e del sogno di una vita diversa, semplice, fatta di bisogni elementari e spazi a misura d’uomo, per dilatare il tempo da dedicare ai rapporti umani, dove l’oggi sia gioia di vivere e il domani solo un concetto astratto.

Sinistra o destra?! Nel 1919 la Commissione dei Residenti per dirimere la disputa tra inglesi e francesi che non volevano abbandonare le proprie abitudini di guida decise che la prima auto arrivata via mare avrebbe decretato la scelta. Vinse la Francia con un carro ordinato da un prete cattolico e così ancora oggi si guida a destra.

Un geco per cocktail. Sognando avventure di mare, sorseggiate il vostro cocktail al bar del porto costellato di barche a vela. Sul tavolino compare una bottiglia da cui un geco vi guarda afflitto. Dietro un ragazzino bianco e biondo che, pur vivendo qui non ha perso il senso degli affari, vi chiede 10 VT. Se state pensando a una leccornia da fare alla griglia e già state cercando qualche scusa per scansarla, tranquillizzatevi è solo il locale “mosquito coil” tutto naturale che ogni navigatore si tiene a bordo.

Prelibatezza volante. A Port Vila si possono gustare le specialità locali come il pipistrello da frutta o gli ottimi crostacei. Il primo, nonostante l’aspetto e l’idea preconcetta che ne abbiamo, pare sia una vera prelibatezza mentre tra i crostacei bisognerebbe rifiutare i tanto rinomati coconut crab che purtroppo rischiano l’estinzione.

Testo: Daniela Bozzani   Foto: Federico Klausner

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