L’aria calda del deserto sbatte in faccia polvere e granelli di sabbia. Già dal primo mattino respirare è faticoso, mentre l’occhio stenta a distinguere persone, animali, case e cose, tutte dello stesso color ocra. El Shalatin è l’ultimo avamposto egiziano prima del Sudan. Posizionata a oltre 1600 km da Il Cairo, questa cittadina è il confine amministrativo dello stato (quello politico è ad Halaib, 70 km più a sud). Per giungervi si percorre un’asfaltata lingua di strada, che costeggia da un lato lo scintillante Mar Rosso e dall’altro il roccioso Sahara orientale. Siamo oltre il Tropico del Cancro, in linea d’aria all’altezza del lago di Nasser e della diga di Assuan. Questa zona, identificata come Alto Egitto o Nubia, è stata per secoli un crocevia di commercio, dalle spezie, ai tessuti, ai monili, dove si sono incontrate e mescolate le genti del Mediterraneo e quelle dell’Africa nera.
La genetica ha preso i loro caratteri e ha fuso i tratti somatici, rendendoli morbidi ma allo stesso tempo volitivi. Uomini e bambini animano le strade polverose. Qualche donna velata si aggira per il mercato ortofrutticolo, ma paiono un miraggio perché subito spariscono dalla vista. Il turismo in questo luogo di frontiera è ancora contenuto e lo straniero, specie se di carnagione lunare, viene immediatamente accerchiato dai più piccoli e dalla loro curiosità verso il diverso. Ridono, parlano, attirano l’attenzione e conoscono il motivo per cui i forestieri giungono: in ogni momento dell’anno si tiene uno dei più importanti mercati di dromedari dell’area. Animale che nella loro lingua si traduce con un più generico camel, a prescindere dal numero di gobbe. Una rotta millenaria trova a El Shalatin uno snodo cruciale di camelidi dal Sudan, dall’Eritrea, dalla Somalia per essere venduti e spediti in Marocco, Libia o negli stati del golfo arabo. Le contrattazioni avvengono in un grande spazio a cielo aperto, dove sono presenti solo gli uomini.
Vestono con la tradizionale galabeya (tunica) e sopra indossano un gilet multitasche per i soldi e i documenti: è questo capo d’abbigliamento il simbolo di chi detiene il potere del denaro ed effettua la compravendita. Sulla testa tutti arrotolano lunghe stoffe per creare dei turbanti e proteggersi dal sole, mentre in bocca masticano e rigirano palline di foglie di qat, ovvero una droga dal potere analgesico che consente di affrontare con calma le snervanti ore di vivace trattativa. Urla concitate sul prezzo di acquisto e di vendita si sovrappongono in un’estenuante tira e molla di cifre, finché entrambe le parti giungono a una reciproca soddisfazione. Il costo del dromedario dipende dal suo peso, stimato a occhio con una presunta precisione scientifica; gli esemplari maschi hanno maggior valore. Queste sono le regole di sempre, perseguite ancora dagli attuali controllori del commercio locale, che appartengono alla tribù nomade, ma ora stanziale, degli Rashaya. Un nucleo di alcune centinaia di famiglie che amministra gli arrivi e le partenze del bestiame.
Grazie alla loro attività ormai consolidata, sono gli unici a poter passare il confine col Sudan senza esibire documenti o visti. Gli acquirenti invece sono in prevalenza grossisti o macellai, perché la carne di dromedario, manco a dirlo, viene considerata afrodisiaca e venduta nelle botteghe con bella mostra della testa decapitata dell’animale a certificarne l’attendibilità. Sono lontani i tempi in cui i cammelli costituivano prevalentemente la dote delle spose e la loro fonte di sopravvivenza nel caso il matrimonio fosse stato sciolto. Come sono lontani i tempi in cui il dromedario, o il camelide in generale, era considerato la nave del deserto e, con le sue lunghe zampe, ossute e nodose, affrontava la sabbia, la roccia e la sete. Oggi gli animali hanno le zampe anteriori legate tra di loro, alcuni addirittura hanno una delle due piegata, per impedirne la fuga. Li vedi avanzare in branco, condotti da un guardiano: un Quarto Stato di animali lenti e inesorabili.
Fatichi a distinguerli da quel che li circonda, per il color sabbia del pelo e per la terra che sollevano gli zoccoli a ogni passo. Li attende un lungo viaggio su dei furgoncini pick-up; vengono caricati a forza, a suon di spinte, strattoni e frustate per inibirne la resistenza. Loro si rifiutano, scivolano e producono versi strazianti, mettendo a nudo denti lunghi e acuminati che tanto stridono con l’aspetto mansueto del loro muso e delle lunghe ciglia. Molti uomini operano per avere ragione di un solo animale, che appena seduto trova subito la calma e si disinteressa di ciò che gli capita attorno, anche del proprio simile che sta ricevendo pari razione di percosse e maltrattamenti. Quando il carico è ultimato e almeno una dozzina di esemplari ha trovato posto, i motori si accendono e il trasporto ha inizio. In fretta si allontanano sulle piste del deserto, sussultando per ogni buca e ogni masso, verso il loro fatidico destino.
Testo e foto di Barbara Oggero
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