Borneo, la foresta degli uomini

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Rumori di fogliame smosso e di rami spezzati, in alto sopra di noi, contro il sole che filtra a tratti tra la cima della canopea, la cupola verde e fittissima della foresta vergine. Qui in alto, con agilità inaudita, si dondola un orango dalla lunga pelliccia color arancio cercando di raggiungere i frutti più maturi dell’albero su cui si sta nutrendo.


Gli oranghi del sud-est asiatico e della Malesia in particolare, sono scimmie antropomorfe e, come gorilla e scimpanzè, sono i nostri più vicini “parenti” dal punto di vista genetico e sono oggi uno dei simboli della conservazione della natura. Gli “uomini della foresta”, come sono chiamati in malese gli oranghi, sono infatti stati massacrati per decenni ed hanno visto via via scomparire sempre più il loro habitat forestale, ridotto oggi ai minimi termini per far posto alle piantagioni di palme da olio ed altre coltivazioni. Oggi godono finalmente della massima protezione, proprio come dei “testimoni viventi di cui non possiamo fare a meno” e di conseguenza garantiscono la protezione anche dell’habitat forestale di cui necessitano per vivere favorendo così una miriade di altre specie, animali e vegetali, che vivono nello stesso habitat. Gli oranghi del Borneo rappresentano oggi una sorta di “specie ombrello”, la cui protezione garantisce la protezione di vasti areali naturali e di conseguenza di tutte le specie che vi si trovano.

Ma nel Centro di Riabilitazione Oranghi di Sepilok, come in tanti altri parchi del Borneo Malese, sarebbe però un errore lasciarsi attrarre soltanto dagli oranghi, dai loro buffi atteggiamenti, dal loro sguardo incuriosito ed indagatore e dalle loro spericolate evoluzioni aeree, oppure solo dagli elefanti pigmei o dalle scimmie dalla proboscide, dai grandi animali che più di altre specie sanno catturare la nostra curiosità ed il nostro interesse. Guidati da un biologo o da una guida del Centro di Riabilitazione, oppure girovagando da soli partendo dal Sepilok Nature Resort, un magnifico lodge costruito totalmente in legno e perfettamente inserito in un ambiente di lussureggiante foresta tropicale dove sono state riunite le essenze floreali più belle e significative della flora malese, si può cominciare a conoscere ed apprezzare la multiforme ed incredibile varietà di forme di vita che stanno alla base dei grandi alberi che, molto più in alto, formano una copertura vegetale ricchissima di vita ma irraggiungibile ai più e quasi impenetrabile alla luce del sole.

Si tratta di un mondo a parte, completamente separato da decine di metri di altezza dalla canopea della cima degli alti alberi, un mondo terreno fatto di piccole creature, suoni ovattati e odori che si sovrappongono, un universo in equilibrio perfetto dove farfalle giganti multicolore succhiano essenze a noi invisibili, millepiedi dalle tinte sgargianti si rincorrono veloci tra il fogliame, funghi dalle forme più strane trattengono umidità e catturano sostanze nutritive dal terreno o dai vegetali in decomposizione, fiori enormi come la mitica Rafflesia, che supera il metro di diametro, creano micro ambienti dalla breve durata di una fioritura, uccelli saltellanti beccano e smuovono incessantemente le foglie del sottobosco, rettili silenziosissimi cercano di catturare ignari anfibi gracidanti, rampicanti, muschi, liane e orchidee parassite si contendono i tronchi che tendono verso il cielo, piante carnivore attraggono gli insetti di cui si nutrono per farli cadere nelle loro trappole mortali, simmetrie e geometrie impensabili di forme vegetali, alchimie e magie di interazioni animali hanno tutti un ruolo nei complessi meccanismi della natura al lavoro in una foresta tropicale e ci aiutano a comprendere che la conservazione non può essere riservata ad una sola grande specie come l’orango o la tigre ma deve necessariamente riguardare tutte le forme di vita di un ecosistema insieme alle complesse relazioni presenti in ogni ambiente naturale ed in particolare in quelli così ricchi di biodiversità come sono quelli tropicali del sud-est asiatico.

Un altro luogo magico del Borneo Malese che ci può offrire notevole aiuto per comprendere ed apprezzare le affascinanti interazioni tra gli esseri viventi di una foresta tropicale primigenia, permettendoci anche di vivere per alcuni giorni una totale immersione nelle forme, nei suoni, nei profumi e nelle luci della grande foresta tropicale godendo al contempo anche dei migliori comfort di un grande resort a bassissimo impatto sull’ambiente circostante, è il Borneo Rainforest Lodge, nel cuore della foresta intoccata della Danum Valley, nel Sabah meridionale. In questo luogo esclusivo l’alba ci sorprende in spaziose ed eleganti camere sopraelevate su palafitte e ci viene a svegliare con le prime luci che filtrano dalle chiome degli alberi proprio davanti alle vetrate delle nostre suite, appena al di là del fiume: un quadro in cinemascope senza colori, solo in bianco e nero con tutte le tonalità del grigio della bruma che sale dal fiume davanti a noi ma con i primi rumori della foresta che si rianima e i primi richiami degli animali che si rimettono in attività. Un bagno energizzante nella vasca sul terrazzo, mentre si osserva la foresta prendere colore e forma nella luce che cresce di intensità, ci prepara alla colazione ricca di prodotti locali sulla veranda del grande lodge centrale prima di essere accompagnati da una guida, espertissima e specializzata in ecologia forestale ed ecoturismo, ad osservare la volta della foresta, quasi alla stessa altezza della chioma, grazie ad un sistema di passerelle e di scale che ci portano fino a trenta o quaranta metri dal suolo.

Un’esperienza incredibile essere sospesi, in assoluta sicurezza e tranquillità, alla stessa altitudine di volo dei grossi buceri dal becco ricurvo o vedere le scimmie lanciare le loro grida senza dover girare la nostra testa verso l’alto. Dalle altezze dei grandi alberi si scende quindi per esplorare il sottobosco, insieme al nostro insegnate personale di ecologia della giungla e seguendo la fitta rete di sentieri attrezzati nei pressi di questo magnifico eco-lodge, per sorprendere magari delle lontre giocare a rimpiattino in un torrente o per cercare gli insetti più colorati e più strani sulle radici esposte dei grandi alberi. La sera saranno le ultime urla dei gibboni dall’alto degli alberi o i richiami degli uccelli che rientrano al nido ad accompagnare la nostra cena a lume di candela con vista sulla foresta che si addormenta. Questi diversi ecosistemi naturali rappresentano equilibri assai delicati che, se compresi e apprezzati anche dai turisti, costituiranno certamente anche un arricchimento personale, un “valore aggiunto” del viaggio e una più forte motivazione a proteggere queste realtà naturali e questo nostro pianeta ormai globalizzato, non solo dai viaggi e dai mezzi che annullano le distanze, ma anche nelle responsabilità e negli impegni personali di ogni abitante o viaggiatore responsabile. Perchè “il turismo è come il fuoco: può cuocere la tua cena o bruciare la tua casa”, perché un nostro viaggio può aiutare a conservare piuttosto che contribuire a distruggere.

L’UOMO ARANCIONE DELLE FORESTE

Il film che la Disney ha realizzato del famoso “Libro della Giungla” di Rudyard Kipling ha reso recentemente l’orang-utang una vera celebrità della giungla ed un beniamino di tanti ragazzi ma, da sempre, questa specie ci affascina per la sua comica affinità alla razza umana: impressionante è infatti la somiglianza di un giovanissimo orango con un bambino. Durante i primi tre anni di vita infatti, i piccoli di orango hanno più o meno la stessa taglia, sviluppo e capacità di apprendimento dei nostri bambini e, fuor di dubbio, questa specie è una delle più affini alla nostra dal punto di vista genetico. L’orango (Pongo pygmaeus, secondo la classificazione scientifica) è una placida scimmia antropomorfa dal mantello rossastro, con un pelame molto lungo e fluente negli individui maschi più anziani, che si è totalmente adattato alla vita arboricola grazie ad una fortissima presa dei rami sia dei suoi arti superiori che dei posteriori. Oggi si può incontrare solo nelle isole del Borneo e di Sumatra, ma un tempo il suo areale di diffusione toccava tutto il sud-est asiatico e la Cina meridionale. La caccia e la distruzione del suo habitat forestale, dovuto all’intensiva coltivazione dei territori disboscati selvaggiamente, ne hanno ridotto il numero a qualche decina di migliaia di individui (censimenti accurati e aggiornati non ne sono mai stati fatti). L’orang-utan, il cui nome in lingua malese significa “uomo della giungla”, vive solitario nelle foreste non lontano dai corsi d’acqua, spostandosi placidamente attraverso la chioma degli alberi alla ricerca delle tenere foglie o dei frutti di cui principalmente si nutre.

Testo e foto di Massimiliano Dorigo

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