Il kimono giapponese non è solo un abito. Racchiude in sè una storia millenaria, che si sviluppa nell’arte di chi lo crea e nell’eleganza di chi lo indossa.
Il Giappone è un Paese dalle antiche tradizioni e dai suggestivi rituali. Il profumo dell’incenso rende inebriante l’aria dei templi buddisti, mentre il fluttuare di leggere farfalle lungo le strade delle città più conservatrici, riempie gli occhi dell’osservatore curioso. La parola kimono, letteralmente, significa vestito ed è realizzato in maniera tale da nascondere le curve del corpo, così che chi lo indossa abbia modo di dimostrare le proprie doti più profonde, muovendosi con grazia ed eleganza. La sua origine risale a molto tempo fa ma, attraverso le epoche, ha subito molti cambiamenti e arricchimenti. All’inizio, durante il periodo Jomon, ci si vestiva con soli indumenti in pelle mentre il periodo Heian ha visto l’affermarsi dei ricchi abiti di corte, decorati con fiori colorati e composti da molti strati. Il periodo Azuchi-Memoyama vide invece la nascita dei quartieri popolati da geishe e del teatro kabuki, che lanciarono nuove mode. Fino ad arrivare ai giorni nostri, quando il kimono viene indossato soprattutto durante le occasioni speciali.
Soffici come una carezza e avvolgenti come un abbraccio, i kimono richiedono cura nella scelta del tessuto. Che sia somemono (tinto) o orimono (ricamato) per tradizione viene utilizzata la seta, materiale noto per la sua nobiltà. Per gli abiti di uso informale vengono invece usati cotone, lana, canapa e lino, meno pregiati e più fruibili.
Nulla viene lasciato al caso, esistono regole ferree sia per la creazione di un kimono sia per la modalità di indossarlo. La lunghezza delle maniche, ad esempio, indica con precisione lo stato civile della persona che lo veste. Mentre colori e decorazioni della stoffa esprimono un preciso significato, che si riferisce al rango del proprietario, alla stagione o a un periodo storico. Ogni abito è decorato con un piccolo stemma, il kamon, che racconta la storia della famiglia di appartenenza. In base alla formalità del kimono ci possono essere cinque, tre o solamente un kamon. Ce ne sono di bellissimi e, tra tutti, quello riservato alla famiglia imperiale è certamente il più sontuoso.
Il luogo dove meglio ammirare questi pregevoli manufatti è Kyoto, culla di arte e cultura. Il suo palazzo imperiale è noto per la bellezza che esprime nonostante l’estrema semplicità. I giardini zen, che abbelliscono tutta la città, sono un esempio di raffinatezza e fungono da stimolo alla meditazione. Gli ideali estetici dei giardini si rifanno alla naturalezza nella disposizione degli elementi, che non devono disturbare la tranquillità visiva. Pietre, sabbia e muschi vengono utilizzati per ricreare immagini rilassanti da osservare per ritrovare la pace interiore; opere d’arte mutevoli che, come la vita, offrono ogni volta nuovi spunti di riflessione.
Nel cuore di Kyoto si trova Gion, quartiere che nel Medioevo ospitava viaggiatori e pellegrini diventando poi una zona esclusiva popolata da geishe. Nelle ochaya, le tradizionali sale da tè, da sempre uomini d’affari e di cultura vengono intrattenuti dalle figlie delle arti.
Non si tratta di un quartiere a luci rosse, ma di un luogo segreto fatto di sola bellezza. Qui, tra cerimonie del tè, danze e musica, le geiko – le geishe di Gion – si muovono con grazia nei kimono, che hanno imparato a indossare fin da quando erano maiko, apprendiste. Il rumore dei sandali di legno lungo le stradine selciate, i visi coperti di candida cipria e le labbra vermiglie, affascinano chiunque passi da qui, conducendo la fantasia a tempi lontani, quando l’eleganza era tutto. A Kyoto è possibile reperire ogni accessorio adatto a completare il perfetto look della tradizione giapponese: pettinini finemente decorati, make up, intimo e obi. La vestizione per indossare un kimono è lunga e laboriosa ed è praticamente impossibile pensare di farlo da soli. Molti sono gli strati da sovrapporre, ognuno da sistemare nella posizione più corretta; nessun bottone, niente cerniere, solo l’abilità personale nel comporre un’opera d’arte tenuta insieme da un’unica fascia di tessuto in broccato, l’obi. È necessario imparare a dare vita a ogni capo per mostrare il proprio essere spirituale, il lato più importante di ognuno.
Muoversi come farfalle, discorrere con intelligenza e sorridere con grazia: regole della tradizione giapponese che renderebbero il mondo più bello, se venissero seguite universalmente.
Testo di Federica Giuliani | Foto di Jidaigeki Renaissance Project
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