Racconto di un avventura negli abissi, tra squali martello e relitti , in compagnia di un personaggio singolare, attempato e originale fotografo giramondo.
Port Sudan era tramontata da poco a poppa del Felicidad II, in compagnia del sole che, come ogni giorno, stava perdendo la sua quotidiana battaglia contro la notte. Guardai ancora un attimo la placida distesa d’acqua appena turbata dalla mole della nostra barca, illuminata dagli ultimi raggi di luce. Non era difficile comprendere perché gli antichi lo chiamarono Mar Rosso. Sotto di noi, una galassia vivente era in attesa del buio: qualcuno per sfamarsi, molti per morire. Era questa galassia di pesci, coralli, molluschi e crostacei che ero venuto a cercare; per loro avevo volato oltre il Mediterraneo e ora dovevo per forza scendere sottocoperta a sistemare la cuccetta che mi era stata assegnata.
Tutte le cabine del Felicidad II erano occupate dal nostro gruppo; tutte meno una. Marina, armatrice della barca e guida subacquea, mi aveva anticipato che c’era soltanto un altro ospite. Non m’aspettavo che alloggiasse proprio in quella di fronte alla mia. La sua porta era chiusa e quando cominciai a sistemare le poche cose che mi ero portato, me ne dimenticai. Carletto comparve il mattino successivo, al primo briefing pre –immersione: ben nutrito, volto simpatico, sempre in calzoncini e senza maglietta (anche a tavola!), dialettica arguta e accattivante; 72 anni di avventure e una vita romanzesca da raccontare.
A sentirlo parlare, te lo immagini ancora in fasce a navigare gli oceani e, alle elementari, intento a raccontare alla maestra di squali e balene incontrate nelle vacanze estive. Sì, perché Carletto, Carlo Farina all’anagrafe, di cose strane ne ha fatte davvero tante, nella sua lunga vita. Ora vive quattro mesi sul Felicidad II, in Sudan, tre mesi nelle Isole San Blas, a Panama, un mese a Roma, dove è nato, e il resto dell’anno… in vacanza da qualche parte.
Ma prima? Laureato in ingegneria, ha lavorato per alcuni anni nei luoghi più improbabili del mondo, forse dove nessuno voleva andare. Poi ha mollato tutto e si è dedicato alle sue passioni: viaggi e immersioni. Ha compiuto un mezzo giro del mondo in barca a vela, si è immerso nei fondali più belli e pericolosi del globo, ha vissuto situazioni al limite, ha rischiato molto e spesso ed ora è qui, davanti a me, a offrirmi la PenDrive con le sue spettacolari immagini dicendomi: “Fanne l’uso che ti pare”.
Già, perché Carletto è anche un ottimo fotosub, come chiunque può constatare guardando i suoi scatti. Quando s’immerge, lo fa come i “pionieri” delle immersioni subacquee: senza GAV, il giubbotto ad assetto variabile che rende facile il controllo della posizione a qualunque profondità. “ E’ quasi sempre inutile” risponde Carletto quando gli chiedo perché, “ è così bello usare i propri polmoni. Lo indosso soltanto quando scendo molto in basso e ho troppo peso per le attrezzature, soprattutto per…come si chiama quell’idiota… ah, la batteria”.
Carletto, se non ricorda un nome, chiama tutto…idiota. Più tardi, parlando di una sua esperienza molto in profondità, mi dirà: “Avevo …. sì, il ….quell’idiota…..sulle spalle e mi sentivo in prigione”: alludeva al GAV, naturalmente. Quando c’immergiamo sul relitto dell’Umbria, lo vedo allontanarsi dal gruppo; non andrebbe fatto, tanto più da soli ma…lui è Carletto. Vuole fotografare senza troppa gente intorno. Ha esplorato l’Umbria decine di volte, la conosce quanto il suo comandante, Lorenzo Muiesan, che il 9 Giugno 1940 l’affondò poco fuori Port Sudan per evitare che cadesse nelle mani degli inglesi poiché quello stesso giorno l’Italia era entrata ufficialmente in guerra contro gli alleati e la nave sarebbe sicuramente stata requisita. La visita al relitto è una delle più spettacolari del genere: è ancora possibile, entrando all’interno, vedere il carico di auto, bombe, armi e suppellettili varie.
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