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Caldo, sole e deserto. A questo si pensa quando si parte per l’Africa. Ma per la prima volta in vita mia vado a sciare in Marocco. Sì avete capito bene, a sciare. Certo la cosa vi sembrerà un po’ strana ma fin dall’aeroporto di Malpensa capisco che non lo è poi così tanto. Non sono la sola ad imbarcare gli sci nel reparto ‘bagagli speciali’. Si parte per Marrakech.
Marrakech la città rossa, come viene chiamata in Marocco, è un andirivieni di turisti, alpinisti e sciatori che fanno base qui per poi ripartire e la grande piazza Djemaa el-Fna il cuore della città, da cui si diramano i mille vicoli del souk, un labirinto dove per acquistare un paio di ciabattine da Le mille e una notte, un pomeriggio quasi non basta. Qui si vende di tutto ed è in questo luogo che approdano cantastorie, suonatori di tamburo, incantatori di serpenti e personaggi di ogni genere che per uno spicciolo contrattano una foto. Datteri, noccioline e frutta secca, spremuta d’arancia per 3 diram e le tipiche lumachine: dalla terrazza del Cafè de France la vista è impareggiabile e sconfinata su questa incredibile cucina a cielo aperto.
La nostra meta? Sono i monti dell’Atlante. Con un gruppo di sciatori ed alpinisti partiamo a bordo di una Toyota 4×4 in una sinuosa quanto contemporanea carovana nel deserto: ci dicono che fino a due giorni fa a l’Oukaïmeden, la stazione sciistica più famosa dell’Africa, c’erano sessanta centimetri di neve.
Incrociamo le dita in attesa della neve. Attraversiamo la ridente valle dell’Ourika e facciamo tappa nella provincia di Alhaouz all’interno della cooperativa ‘Spazio provinciale delle associazioni per lo sviluppo di Alhaouz’, dove ci accolgono una danza, musicanti e ballerine, ma soprattutto il monito della necessità di progetti nuovi, che si concentrino sugli agricoltori, che facciano da traino per gli artigiani, proteggendo le acque, un bene ancor più prezioso in Africa.
Terres d’Amanar, a quattro chilometri e mezzo da Tahanaout, è una specie di parco divertimenti : costruito da un francese in una zona decisamente isolata, possiede piste per mountain bike mentre il paesaggio di rocce rosse spunta all’orizzonte, formando canaloni simili a canyon con giganteschi fichi d’india e grandi, profumatissimi cespugli di rosmarino.
Il caldo toglie il respiro. Siamo sicuri che ci sia la neve lassù? Ci rimettiamo in viaggio verso la valle dell’Ourika e intanto mi lascio incantare dal Nectacrome, un celebre giardino biologico ricco di piante aromatiche e medicinali, un paradiso a 840 metri di altitudine per tutti i beauty intenditori.
Quasi non si riesce a guardare oltre il finestrino della jeep per la pendenza della strada e il mal d’auto in agguato: qui non c’è quasi mai un parapetto e a volte le curve sono a gomito come nelle nostre strade di montagna. Talvolta, tra una curva e l’altra, appare all’improvviso qualche modesta abitazione, con una fila di biancheria stesa ad asciugare e la gente del posto che si sporge dalle porte per salutarci calorosamente.
Un’umida nebbiolina inizia ad avvolgerci: arriviamo all’Oukaïmeden, che fino agli inizi del secolo scorso era frequentato solo dai pastori berberi che d’estate raggiungevano i pascoli alti con le greggi di montoni e capre. Nel 1937 i militari francesi iniziarono a costruire una caserma che negli anni ha portato a un lento sviluppo della zona. E così nel 1957 nacque lo sci club di Marrakech, fondato da sciatori francesi e marocchini: oggi, a sessantadue anni, Mohamed Benanni è il primo maestro di sci marocchino e insegna qui ai bambini dal 1967.
Nella notte sono caduti due centimetri di neve, una leggera brezza fa sventolare la bandiera marocchina in un contrasto di colori davvero particolare. E’ possibile affittare un paio di sci a 400 metri dall’hotel, in un botteghino: ci affidiamo a un servizio navetta davvero speciale, a bordo di asinelli, che ci accompagnano verso i 3.250 metri di altezza della seggiovia, restaurata nel 2004.
Paghiamo chi venti, chi trenta e fino a cento diram per il trasporto, a seconda dell’abilità nel contrattare perchè si sa, in Marocco, si usa così… I conduttori berberi con gli sci in spalla mentre tirano gli asinelli con in groppa gli sciatori compongono una cartolina indimenticabile.
Finalmente inforchiamo gli sci. E finalmente a quota 3.250 il nostro sguardo cattura il contrasto che c’è tra la neve bianchissima e lo sfondo ocra del deserto.
Impossibile non notare il lago quasi di fronte all’albergo, che da qui sembra una grande macchia scura. Laggiù, il villaggio berbero sembra un ammasso di casette vicine tra loro, con i tetti piatti appena imbiancati dall’ultima spolverata di neve. Ci lanciamo in qualche serpentina lasciando che la neve scricchioli sotto i nostri sci. Che sensazione meravigliosa! Se non fosse per la distesa del deserto che occupa l’intero orizzonte o per la pelle scura di Mohammad che ci aiuta a scendere a valle, non si potrebbe pensare di essere in Africa.
Il cielo azzurro incomincia lentamente ad annuvolarsi, scattiamo ancora qualche fotografia nell’incertezza di come il tempo si possa tramutare. Sulla nostra sinistra appare qualcosa di familiare, uno vecchio skilift di quelli a molla, quelli di una volta dove la partenza è a mo’ di Tarzan sulla liana e più a sinistra altre due piste stile baby ormai senza più impianto di risalita, che i ragazzi marocchini durante i giorni di festa affrontano con il bob. Un gatto delle nevi è parcheggiato a bordo pista e la nostra guida ci spiega che è stato offerto alla Federazione di Sci Marocchina da Cetursa, la società che gestisce la stazione di Sierra Nevada in Spagna in occasione delle gare di sci per giornalisti tenutasi nel mese di gennaio.
Rincomincia a nevicare. Dopo la discesa ci concediamo un panino sotto la tenda berbera e poi di nuovo a rifugiarci in albergo: fa freddo e nessun ha più voglia di sciare.
Verso le tre del pomeriggio ecco ritornare il bel tempo e l’ultima neve caduta si scioglie in un batter d’occhio con la potenza del sole d’Africa che tutto riscalda, anche a 2.680 metri di quota. E allora corriamo tutti fuori ad ammirare il paesaggio: si colora del rosso delle rocce antiche che giocano con il candore di qualche chiazza di neve, mentre il vento soffia cancellando ogni rigagnolo d’acqua. E’ lui il vero padrone di questa montagna, l’Oukaïmeden che in lingua berbera significa anche il crocevia dei venti.
Testo e foto di Gisella Motta
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