Ouidah, capitale del voodoo

Ouidah voodoo

Unico porto marittimo del Benin fino al 1908, l’importanza della città di Ouidah si intreccia al voodoo, tanto che la città possiede un Musée d’Histoire d’Ouidah anche conosciuto come Museo del Voodoo e sfoggia un festival del voodoo noto in tutto il mondo. A Ouidah si trova la Route des Esclave, la Via degli Schiavi, i cui quattro chilometri di strada polverosa, dalla città fino alle spiagge dello splendido litorale, venivano percorsi a piedi nudi al suono delle catene, che accompagnavano, lugubri, uomini un tempo liberi verso le navi dove sarebbero incorsi in un destino macabro, preda di un Occidente crudelmente assetato di sangue.

Oggi l’antica via degli schiavi della città di Ouidah, in Africa, è disseminata di statue e feticci, preludio di un mondo antico che torna ad affacciarsi attraverso gli spettri di una Storia sopravvissuta come ritmo nel sangue, possessione famelica di una libertà da ingoiare in sorsate amare. Se vi trovate a passare per Ouidah non dimenticate una visita al Tempio del Pitone, mentre il Forte Portoghese in lontananza getta la sua ombra sulla casa del Vicerè in piazza Chacha, dove gli schiavi venivano marchiati con il ferro incandescente prima di essere acquistati, merce preziosa per un’anima in gabbia. Prima dell’attesa delle navi che li avrebbero strappati per sempre alla terra natìa, in catene, questi uomini doloranti e offesi percorrevano per nove volte un giro intorno all’albero dell’oblio, rito e promessa per dimenticare le origini, i ricordi. O forse per consegnare a un esile albero la radice della loro appartenenza, azione simbolica per lasciare all’Africa il proprio spirito vitale. Secondo alcune credenze gli schiavi era soliti girare per sette volte intorno all’albero dell’oblio, per dimenticare il passato, e per tre volte intorno all’albero del ritorno, affinché l’anima potesse tornare qui, dopo la morte.

A Ouidah vincono le religioni indigene, sebbene successivamente siano stati introdotti Islam e Cristianesimo: proprio il voodoo sembra che abbia avuto origine nel sud del Benin e che attraverso gli schiavi sia penetrato in Brasile, nelle Isole Caraibiche, lungo le tracce di un’America che mescola e confonde matrici culturali e linguistiche differenti. Voodoo sembrerebbe significare “genius, spirito protettore” in lingua fon, parlata nel sud del Benin e questo culto, celebre ad Haiti, ancora oggi è avvolto da un mistero che lascia ai turisti magre briciole di riti e significati ben nascosti ai più. Il 10 gennaio a Ouidah si celebra la festa del voodoo, che parla alla notte nella fascinazione di cerimonie che vibrano tra percussioni e canti, mentre balli estatici e episodi di trance infuocano i visi dei presenti e Zangbeto, una maschera coperta di paglia simbolo delle forze della natura e della notte, scuote la Terra al ritmo di piedi instancabili che vorticano in una pulizia spirituale dell’intero villaggio.

Nel 1992 il voodoo è stata riconosciuto tra le religioni ufficiali. Oggi la porta del non ritorno, oltre la quale gli uomini andavano verso il destino di schiavitù, perdendo, in caso di morte, il diritto ad essere sepolti nella Madre Terra per divenire preda del mare, rimane muta sfinge delle umane vicende. E il voodoo continua a lanciare il suo sibilo in una notte millenaria che intreccia passato e presente in un tempo dal sorriso enigmatico.

Maddalena De Bernardi