Avventurose esploratrici: Isabel Arundell Burton, The story of her life.

A fine Ottocento il viaggio diventa parte integrante della formazione e dell’immaginario femminile grazie alle letture sulle esplorazioni di nuove terre, al commercio di oggetti esotici e al diffondersi di illustrazioni e cartoline dei luoghi più remoti del globo. Nel 1836 viene pubblicato Manners and Customs of the Modern Egyptians di Edward William Lane, seguito da Eothen (1844), lo splendido diario dei viaggi in Turchia e nel Medio Oriente di Alexander William Kinglake, e dal vivace e dettagliatissimo Personal Narrative of a Pilgrimage to El-Medinah and Meccah (1855) di Sir Richard Burton.

Più tardi circolano anche i resoconti di viaggi ancora più distanti: China and Japan (1857-1859) di Laurence Oliphant, Oceana (1886) di James Anthony Froude, A Naturalist in La Plata (1892) di William Henry Hudson. Poco dopo la morte della regina Vittoria (1901), Sir Aurel Stein compie straordinarie ed avventurose esplorazioni, con relativa pubblicazione, delle fortificazioni dell’Asia centrale che lo rendono famoso in tutta Europa. Non è difficile immaginare quale attrazione e fascino abbiano avuto l’Africa, l’Oriente e l’Asia nella geografia mentale delle europee. Tra queste, Isabel Arundell che fin da ragazza si era nutrita delle leggendarie avventure del Capitano Burton, autore del già citato Pilgrimage to El-Medinah.

In una lettera scritta alla madre, si legge: “I want to live… I want a wild roving vagabond life… I wish I were a man. If I were I would be Richard Burton; but, being only a woman, I would be Richard Burton’s wife … I would at this moment leave all to follow his fortunes, even if you all cast me out – if the world tabooed me.” (“Voglio vivere … voglio una vita selvaggia, vagabonda, raminga … Vorrei essere un uomo. Se lo fossi, sarei Richard Barton; ma essendo solo una donna, vorrei essere la moglie di Richard Burton … Vorrei in questo momento lasciare tutto per seguire le sue vicende, anche se tutti mi scacciate – e il mondo me lo proibisce”).

Come se lo avesse predetto, Isabel incontrerà il Capitano nel 1849 ma solo dodici anni più tardi, nel 1861, diventeranno marito e moglie. Nel 1865, a Richard è affidato il Consolato di Santos, in Brasile. Isabel lo raggiungerà un mese dopo, ma il posto non le piace, non è l’Oriente dei suoi sogni! Nonostante la difficoltà ad acclimatarsi e il colera, passeggia a piedi nudi nei ruscelli, cattura serpenti, dipinge e restaura cappelle diroccate, accompagna il marito nelle spedizioni attraverso regioni inesplorate dell’interno. Richard le insegna a tirare di scherma e lei gli dà una mano a redigere i rapporti per il Foreign Office: “(1) thirty-two pages on Cotton Report; (2) one hundred and twenty-five pages Geographical Report; (3) eighty pages General Trade Report…” (1-trentadue pagine di resoconto sul cotone; 2-centoventicinque pagine del rapporto geografico; 3-ottanta pagine la relazione generale sul commercio…).

Nel 1867, approfittando di un periodo di congedo dal Consolato, Richard e Isabel partono per esplorare l’interno del Brasile navigando il Rio de la Plata. Questo evento è così straordinario per Isabel che al suo ritorno in Inghilterra ne scrive un resoconto dettagliato con l’intenzione di pubblicarlo. Solo dopo la sua morte il manoscritto uscirà col titolo The Romance of Isabel, Lady Burton. The story of her life. Si legge: “Whoever has not seen the Bay of Rio would do well to see it before he dies. All great travellers say that it competes with the Golden Horn. It is like a broad and long lake surrounded by mountains and studded with islands and boulders. But it is absurd to try to describe the bay with the pen; one might paint it; for much of its beauty lies in the colouring.” (“Chi non ha visto la baia di Rio farebbe bene a vederla prima di morire. Tutti i grandi viaggiatori dicono che compete con il Corno d’Oro. È come un lago ampio e lungo circondato da montagne e costellato di isole e rocce. Ma è assurdo cercare di descrivere la baia con la penna, la si potrebbe dipingere, gran parte della sua bellezza deriva dai suoi colori.”).

Finalmente nel 1869, i Burton partono per Damasco,“the dream of my childhood” (“il sogno della mia infanzia”), scrive felice Isabel alla madre. La Siria la conquista. L’Oriente con le  città di Salahiyyeh, di Palmyra, di Qaryatayn si dimostra una bevanda inebriante. Vestita come un arabo, l’abito da cavallo infilato nei pantaloni a sbuffo e un paio di stiletti nella cintura, accompagna Burton nel deserto e nelle visite cerimoniose alle tribù beduine. “I always tried to adapt myself as far as possible to the customs of the country where I found myself, and I think I may say without flattery that I had a good many capabilities for being a traveller’s wife. I could ride, walk, swim, shoot, and defend myself if attacked, so that I was not dependent on my husband; and I could also make myself generally useful–that is to say, I could make the bed, arrange the tent, cook the dinner, if necessary wash the clothes by the river-side, and mend them and spread them to dry, nurse the sick, bind and dress wounds, pick up a smattering of the language, make the camp of natives respect and obey me. I could groom my own horse, saddle him, learn to wade him through the rivers. I could sleep on the ground with the saddle for a pillow, and generally to and do without comfort.” (“Ho sempre cercato di adattarmi il più possibile agli usi del paese in cui mi sono trovata, e credo di poter dire senza piaggeria che ho avuto un buon numero di capacità per essere la moglie di un viaggiatore. Ho saputo guidare, camminare, nuotare, sparare, e difendermi se attaccata, in modo da non essere dipendente da mio marito, e potrei anche rendermi utile in generale, vale a dire, ho saputo fare il letto, organizzare la tenda, cuocere la cena, se necessario lavare i panni nel fiume, ripararli e metterli ad asciugare, curare i malati, fasciare le ferite, masticare un po’ della lingua locale, facendomi rispettare ed obbedire dai nativi. Ho governato il mio cavallo, l’ho addestrato a guadare i fiumi. Ho dormito per terra con la sella come cuscino, e in generale a fare a meno dei comfort.”).

Testo di Giovanna Scatena