L’India è una tavolozza di colori in continuo divenire. Fanno parte della vita quotidiana, creando nell’immaginario comune visioni incantate e vitali.
Una pioggia di colori tanto fitta da rendere l’atmosfera surreale. Strade brulicanti, odori intensi che ti avvolgono e ti rapiscono per lunghi istanti, finché quella densa nube pigmentata non si dirada lasciando un segno indelebile, almeno in apparenza, sulla pelle. Miti e leggende spesso hanno il sapore dei drammi, ma per una volta non è così e l’India, pacifica per eccellenza, riesce a fondere gioia e spiritualità. L’Holi festival può essere considerata l’unica battaglia non violenta nella storia dell’umanità; una sorta di rivincita goliardica dove montagne di colori vengono mischiati all’acqua trasformando volti e città. A Matura e Vrindavan, l’Holi si vive in maniera intensa, forse anche un po’ eccessiva se vogliamo. Non esiste un angolo in cui si possa ripararsi per sfuggire alle bombe colorate che entrano ovunque: negli occhi, nel naso, nella bocca e nelle macchine fotografiche. E pensare che alle origini di questa festa c’è una leggenda con una grande morale. Il giovane dio Khrisna chiese alla madre adottiva perché la sua compagna di giochi amorosi avesse la pelle chiara mentre lui scura. Yashoda allora, da madre saggia, suggerì a Khrisna di colorare i volti di entrambi per cancellare così ogni differenza. L’Holi Festival, che si celebra con più o meno vivacità in tutto il Paese, segna anche la fine dell’inverno e l’avvicinarsi della primavera. Giallo zafferano e arancio, blu indaco e turchese assieme al verde e al rosso porpora vengono lanciati senza pietà ovunque e contro chiunque, con una particolare predilezione per le donne.
Che l’India poi sia la patria del colore e dei colori è indubbio e non è difficile pensare che la purezza di questo Paese si rifletta nei suoi stessi colori. Jaipur, la città rosa, Jaisalmer la città d’oro e infine Jodhpur, battezzata con l’appellativo di città azzurra. L’India è una tavolozza fatta di mille sfumature, le stesse tinte che accendono anche i toni degli abiti femminili: i sari. Nel corso dei secoli l’arte e la letteratura indiana hanno raccontato di quei tessuti, chiamati anche bandhany o leheriya, colorati utilizzando una tecnica sviluppata già nel V secolo. Differenti nelle decorazioni: il bandhani è legato con piccoli nodi per resistere alla penetrazione del colorante, mentre nel leheriya il tessuto viene arrotolato diagonalmente come un ventaglio e poi piegato per essere colorato in base alle strisce. La stoffa viene inizialmente colorata con la tinta più tenue della tavolozza, dopodiché viene sciacquata e lasciata ad asciugare per poi ripetere il procedimento con ogni colore scelto.
Il bandhani più pregiato viene realizzato in alcune città del Gujurat e del Rajasthan, mentre il leheriya viene prodotto esclusivamente in Rajasthan. Ahmed Badshah Miyah, un mastro artigiano di Jaipur, afferma che ci sono 110 colori naturali e 24.000 tonalità nella cartella sintetica dei colori. Senza piegare il tessuto Ahmed è in grado di realizzare a mano 5.000 punti in un solo metro quadrato ispirato, come ogni artista, dalla bellezza della sua terra. Ed è in uno degli abiti tradizionali più antichi al mondo che dopo 1600 anni di storia continua a vivere immutata la seducente eleganza dell’India.
Testo e foto di Luca Bracali RIPRODUZIONE RISERVATA © LATITUDESLIFE.COM
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