Il dragone di Okinawa

Ai primi di maggio in piena Golden Week, uno dei rari momenti in cui l’intero Giappone è in vacanza, a Naha, la capitale di Okinawa, si tiene uno spettacolare festival di tre giorni. Gare tra barche a forma di drago, ma non solo.

La tradizione cinese dello Haarii (‘canoa-dragone’), antica di oltre mezzo millennio, ha attecchito come altre – in cucina, nella musica, nella lingua – a Okinawa, bellissimo arcipelago a breve distanza da Taiwan. La credenza secondo cui i dragoni attirerebbero la pioggia, in competizione con l’acqua del mare, in questa parte del mondo si traduce da secoli in preghiera per proteggere i pescatori, portare la pace e la buona pesca. Queste le radici alla base dell’imponente Dragon Boat Festival di Naha, agli inizi di maggio – la prossima edizione sarà la trentottesima -, in concomitanza della Golden Week, periodo in cui tutti sono in viaggio, prezzi da altissima stagione, trasporti e alloggi prenotati mesi prima, serrande dei negozi abbassate, anche nel Giappone che lavora sempre.

Se avete avuto la fortuna di prenotare in tempo un letto da queste parti, non mancate il maggiore festival di Okinawa, cui ogni anno partecipano oltre 150.000 spettatori. L’appuntamento è allo Shinko Wharf, a un quarto d’ora di cammino dal porto di Tomari, vicino al centro della città. La festa dura tre giorni, dalle 10 alle 21, tutti con un calendario foltissimo di eventi. Dopo il taglio del nastro da parte delle autorità locali – con fantastiche camice floreali hawaiane, la ‘divisa’ di Okinawa -, iniziano le corse preliminari. I primi due giorni, tre barche alla volta, con equipaggi da 14 membri, per selezionare le più veloci. Prima della partenza la canoa viene ‘benedetta’ con l’aspersioni di sale e una breve preghiera. Ogni gara dura circa tre minuti, spronata dal ritmo dei tamburi taiko e da un barcaiolo che esegue mosse di karate, sport originario di Okinawa.

La finalissima è alle 16,45 dell’ultimo giorno. Di solito vince una delle squadre locali più forti, composte perlopiù da pescatori professionisti. Le competizioni sono anche un raro momento in cui i militari americani, massicciamente presenti nell’arcipelago, entrano in contatto con la popolazione locale (di solito li separa uno spesso muro mentale). Durante il festival sono numerose le squadre statunitensi che partecipano, uomini e donne, con il forte orgoglio di gruppo dei soldati americani.

Il Dragon Boat Festival, però, non è fatto di sole gare tra barche. Lo spettacolo – sportivo, musicale, teatrale – è ininterrotto, durante i tre giorni. Ciò che più attira l’attenzione dei visitatori è la piccola arena per il sumo, gremita di spettatori, ipnotizzata dalle carni in eccesso dei lottatori e dalle sfide all’ultima spinta. Partecipano anche numerosi bambini, non ancora sovrappeso, ma già con le idee chiare su come muoversi. Spettacolo nello spettacolo, i buffi, pacchiani incontri di wrestling, un vero circo che attira anche moltitudini di spettatori bambini, tra il divertito e l’impaurito, ammaliati dai colori forti delle maschere degli atleti e dalle botte volutamente plateali e rumorose. Tra le maschere della più popolare compagnia locale, lo Shisa – come il cane-leone scaccia spiriti malvagi all’ingresso di ogni casa di Okinawa – e la Yanbaru Kuina – uccello raro, endemico della foresta di Yanbaru, nel nord dell’isola principale -, quest’ultima di solito impersonata da una donna. E, per completare le gare sportive, una competizione di sollevamento pesi.

Il grande palco al centro del molo Shinko, in parallelo, vede un susseguirsi incessante di rappresentazioni: dalle bande musicali al karaoke, dal teatro tradizionale di Okinawa ai gruppi di Sanshin – il ‘banjo’ dell’arcipelago, anch’esso di origine cinese -, dai gruppi rock agli attori comici. Vi si esibiscono pure un’infinità di gruppi locali, in gara per migliore rappresentazione dell’anno: dall’aerobica alla danza del ventre, dagli imitatori di Michael Jackson al tango, dalla danza del sakè (le ballerine sono maestre nel tenere in equilibrio bottiglie di sakè sulla testa mentre eseguono passi a suon di musica) all’hula hawaiano. Tutti i partecipanti sono giapponesi e i vincitori ritirano coppe e premi con commozione più che tangibile (lacrime, qua e là).

Anche la guardia costiera giapponese partecipa a questa vetrina, aprendo le porte di una delle sue imbarcazioni ai visitatori. A bordo si può vedere come si pilota una nave, oppure – i bambini – imparare a fare i nodi marinari. Esempi di operazioni di salvataggio con un elicottero si tengono nelle acque del molo, un pò come realmente è successo durante lo tsunami dell’anno scorso. La sera del secondo giorno la nave salpa e dalle banchine molti la salutano come se fosse il Titanic in partenza. Tutto attorno, una baraonda di bancarelle che vendono cibo per ogni palato (tempura, yakisoba e okonomiyaki) e attrazioni da luna-park, per la gioia dei più piccoli. L’evento è gratuito e, ogni giorno, si conclude con i fuochi artificiali, verso le 20,30. L’ultimo giorno, quelli più imponenti. Se sarete arrivati fin lì, seguendo tutti e tre i giorni del festival, vuol dire che avete il fisico. Sarete stanchi stracciati. Ma gli occhi e l’anima vi saranno grati.

Testo e foto di Pietro Scòzzari | RIPRODUZIONE RISERVATA © LATITUDESLIFE.COM

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