
Riflessioni sul Paesaggio di Michele Dalla Palma

Il titolo è “rubato” alla grandiosa mostra di pittura dedicata al paesaggio, che per quasi un anno ha riempito i monumentali spazi della Citroniera Juvarriana (il “giardino d’inverno” dove i reali di Casa Savoia facevano coltivare e crescere gli agrumi), in quella che è probabilmente la più bella ed elegante residenza sabauda, la Reggia di Venaria Reale.
Gioiello del barocco e capolavoro dell’architettura europea ritornato dal 2007 allo splendore che ne aveva fatto uno dei luoghi più affascinanti e ambiti dalla nobiltà settecentesca, dopo quasi due secoli di utilizzo come caserma e magazzino militare.

In occasione della chiusura dell’evento espositivo, ho avuto l’onere e l’onore di tenere una Lectio Magistralis per l’Ordine degli Architetti del Piemonte, dedicata al Paesaggio, come lo vedo e interpreto io, dietro l’oculare di una fotocamera. Da quell’intervento è nata l’idea di questo articolo che vuole sottolineare cos’è, nella mia esperienza di fotografo, il Paesaggio.

Cos’è il Paesaggio?
È innanzitutto indispensabile definire cosa si intende per paesaggio. L’esperienza mi ha insegnato che non esiste un Paesaggio, bensì molti paesaggi. Ci sono i paesaggi naturali, costituiti dall’ambiente ancora non urbanizzato che ci circonda, ma la nostra quotidianità si evolve dentro i paesaggi metropolitani, per arrivare anche a quello che in fotografia è definito “paesaggio domestico”, che una rappresentazione di un scenario microsociale dove chi osserva percepisce tutti o almeno tanti elementi che caratterizzano quella specifica realtà.

Come cacciatore di storie, sia attraverso la macchina fotografica che attraverso la trasformazione di pensieri in parola scritta, mi sono occupato nella mia vita di tutti gli ambiti del paesaggio, ma per carattere, vocazione e probabilmente anche per DNA la mia prima scelta è sempre stato il paesaggio naturale.
Alcuni studiosi e conoscitori delle diverse morfologie del pianeta sostengono che, ancora oggi, quasi l’ottanta per cento della Terra offre gli stessi scenari che si potevano osservare milioni di anni fa; ma se noi ci guardiamo intorno nelle nostre realtà urbane ci rendiamo conto che qualunque scenario osserviamo è totalmente manipolato, modellato e a volte anche degradato dall’impronta umana.
Non voglio entrare nelle dinamiche che sottendono all’Urbanistica e all’architettura sociale, ma è fuori dubbio che l’impatto dell’uomo sull’ambiente è non solo pesante, ma spesso anche mortificante e disgregativo per quelli che io definisco i due pilastri fondamentali nel caos creativo della natura: l’Armonia e l’Equilibrio.

Caratteristiche che quasi mai riusciamo a riconoscere negli ambienti antropizzati, e la domanda che mi sorge immediata e spontanea è se questa mancanza di armonia ed equilibrio rappresenta una casualità, oppure una precisa scelta in quanto il paesaggio umano sembra voler comunque e in ogni situazione sottolineare e amplificare le differenze sociali.

Le contraddizioni del Paesaggio Urbano
Sarà un caso ma nel mondo di oggi assistiamo sempre più spesso ad una riqualificazione estetica dei centri storici di città e paesi, che a volte sfiora l’edonismo, e corrisponde spesso ad un degrado sempre più marcato delle periferie.
Quasi a voler sottolineare in modo forte e immediatamente comprensibile la differenza di ceto e censo tra chi vive nei centri storici riqualificati e chi invece è costretto a vivere nelle periferie.

Lo stesso discorso può essere applicato alle differenze tra quartieri residenziali, dove sempre più spesso si va a ricercare l’equilibrio e l’armonia insita in qualunque scenario naturale, con le aberrazioni dei ghetti e dei quartieri dormitorio dov’è spesso viene svilita la dignità umana.
Ma questi sono argomenti che afferiscono più alla sociologia che all’estetica… quello che però si può chiaramente osservare nella moderna manipolazione del paesaggio umano è il tentativo di creare opere “grandiose”, molto più che efficaci ed efficienti, quasi fosse un tentativo – che molto ricorda il drammatico mito di Icaro – per cercare di uguagliare o addirittura superare la grandiosità e la bellezza della Natura.
In questo bisogno di grandiosità io personalmente rilevo la mancanza di progetto a lungo termine e soprattutto una mancanza di interconnessione tra l’opera dell’uomo e il paesaggio che lo circonda.

Dalle imperfette certezze del Paesaggio Umano al Caos perfetto della Natura
È estremamente facile verificare come l’apparente caos della Natura è tale in quanto ogni azione che si sviluppa nell’ambito naturale è talmente grande e con tempi talmente lunghi da non poter essere compresa dalla mente umana.
E’ però altrettanto evidente, a chi abbia imparato a guardarlo con i giusti parametri, che l’ordine della Natura ha sempre insito, dal generale al particolare, un perfetto connubio tra Equilibrio e Armonia, che ben amalgamati si trasformano in efficacia ed efficienza.

La nostra visione antropocentrica ci impone di pensare che siamo i padroni, e anche i protettori, di un patrimonio che ci appartiene. Nella realtà, invece, questo pianeta – come tutti gli altri che compongono infinite galassie nell’universo – vive con tempi e modi che nessuna mente umana è in grado di definire.
Ma una cosa è assolutamente certa: le rocce, l’acqua, gli animali (e per animali intendiamo anche i miliardi di specie di insetti di cui ancora oggi conosciamo una minima parte), e le piante esistevano milioni di anni prima dell’evoluzione umana, e continueranno a esistere anche dopo che ce ne saremmo andati. Magari con qualche piccola “magagna” e ammaccatura, che però i tempi della Natura riusciranno a riparare molto rapidamente.

Siamo in bilico tra un passato in cui abbiamo depredato ogni risorsa, pensandola infinita, e un futuro in cui dobbiamo fare i conti con la finitezza delle risorse che garantiscono la nostra sopravvivenza, e ci troviamo di fronte a una scelta drastica ma inesorabile: fare molti passi indietro e ricominciare a imparare da tempi e ritmi della natura, oppure prendere coscienza che il nostro tempo su questo pianeta è quasi finito!

Note sulla fotografia di Paesaggio
Nella mia personale ricerca fotografica, ho sempre privilegiato la necessità di essere il più aderente possibile alla realtà, perciò ho sempre considerato Fotografia di Paesaggio ciò che veniva impressionato sulla pellicola e poi su un file, senza alcuna successiva modifica di postproduzione (esclusi i minimi interventi che si potevano già ottenere in camera oscura, con la gestione del contrasto – utilizzando carte dure o morbide – e le mascherature per omologare aree chiare e aree scure).
Poiché sono assolutamente convinto che nulla sia più stupefacente della realtà, e tentare di modificarla, manipolarla, renderla “diversa” e addirittura “migliore” attraverso la post-produzione e l’uso di software e plug-in nasconda, nel profondo dell’animo dei fotografi che lo fanno, la frustrazione di non riuscire ad accettare la bellezza assoluta – che non è mai “violenta”, eclatante, esagerata – e la pretesa, che cela un effimero e vanesio desiderio di onnipotenza, di poterla rendere “più bella” perché “personalizzata”…

L’altra motivazione al bisogno di manipolazione delle fotografie di paesaggio è quasi certamente derivata dal bombardamento di immagini che infestano i social network, sempre più forzate e “caricate” (e sempre meno corrispondenti alla realtà) esattamente come, in gastronomia, molti palati, ormai drogati da gusti artificiosamente pompati, non riescono più a distinguere la perfetta armonia dei sapori originali. Anche questi, mai esagerati proprio in quanto armonici.

La bulimia di “like”, che si alimenta di eccessi e forzature, ha reso le “fotografie di paesaggio” presenti sui social network simili a scenari alieni, dove nulla è reale. Sono personalmente certo che di queste immagini artefatte, spesso veri e propri collage costruiti al computer, che oggi raccolgono montagne di consensi, non rimarrà traccia, perché tutte le mode passano. Cambiano. Superano e cancellano il “trend” precedente. E chi oggi si considera “fotografo” in base al numero di pollici in alto e cuoricini che raccoglie sui suoi account, si pentirà di non aver mai stampato una fotografia…

Nel frattempo, godiamoci insieme alcune sfumature del paesaggio naturale, con una citazione di Ansel Adams, maestro insuperato della fotografia paesaggistica, che sosteneva: “Se una fotografia la devi spiegare, non è venuta bene!”
Testo e foto di Michele Dalla Palma|Riproduzione riservata © Latitudeslife.com