TANZANIA – l’Africa in un’isola

di Giulia Castelli

Tanzania, isola di Mafia. Il Sunday Times l’ha definito «una delle  migliori 10 spiagge segrete del mondo». Da un’estremità all’altra misura 50 chilometri, ma contiene in sé tutta l’Africa.

Scimmie, i baobab, i villaggi coi tetti di paglia, le palme da cocco e una preziosa, quanto elusiva, colonia di ippopotami nani. Tutto il resto è mare, anzi oceano, che si alza e si abbassa per effetto della marea. Sommerge spiagge di mangrovie fino alla chioma degli alberi, avanza e si ritira a cicli di 6 ore lasciando sulla costa un ghiotto bottino di polpi e conchiglie che i pescatori si affrettano a cercare. Quando la grande onda arriva, inonda Chole Bay di pesci di grande taglia e il mare diventa un acquario per la felicità degli appassionati di diving. I più audaci vanno ad aspettarla al Kinasi pass, il canale di mare profondo 20  metri che immette nella baia. Un mosaico sommerso così variegato ha portato a dichiarare l’isola, col suo  arcipelago di satelliti, un parco marino dal 1995 gestito dal WWF.

Tanzania Pole Pole Lodge

Arrivarci è già un remake da film “La mia Africa” (Sydney Pollak,1985), che fa tornare alla memoria le acrobazie avventurose e romantiche di un Robert Redford pilota. Anche noi decolliamo,  all’aeroporto di Dar es Salaam con un Cesna 12 posti che vola a vista sopra alle grandi pianure, sorvola il delta del fiume Rufiji e vira a est in pieno Oceano. Trenta minuti di emozione pura, poi finalmente compare l’arcipelago di cui Mafia è l’isola più grande. La pista di terra di Kilindoni è un brulicare di bambini incuriositi dall’arrivo dell’aereo. Lo sportello si apre ed è come scendere da un’automobile, coi bagagli praticamente in mano. Un fuoristrada ci attende per attraversare villaggi e piantagioni, tra scossoni, palme, donne che camminano sul ciglio della pista polverosa coi cesti in testa carichi di noci di cocco, portati con straordinaria eleganza, archetipo dell’Africa scontato, ma pur sempre attuale. Uno stop obbligatorio all’ufficio del parco per registrarsi e, terminata quest’ultima burocrazia, in pochi minuti si arriva alla meta, il Pole Pole Resort.  Penzola un cartello con la scritta karibuni che in swahili significa “benvenuti”, mentre pole pole vuol dire “piano piano”, in omaggio alla pacata lentezza dell’indole indigena.

Sotto al grande gazebo in  makuti si ammira l’abilità con cui sono costruiti i tetti, un complesso intreccio di foglie di palma annodate, tegole vegetali chiamate appunto makuti. E’ il nostro primo incontro anche con la bevanda locale: una noce di cocco da cui spunta una vistosa cannuccia, che conserva il liquido dentro perché non è ancora matura, graziosamente ornata da fiori di frangipane. La scenografia è all’altezza delle promesse, ma il mare ancora non si vede. L’inquietudine scompare presto, quando dalla veranda del lodge la vegetazione si dirada di fronte alla baia verde azzurra.  Come accoglienza turistica, Mafia è una piccola enclave italiana nata dal sogno romantico di Massimo e Katia – lui imprenditore, lei antropologa – e dalla loro comune passione per il mare. Dopo aver comprato i Mafia Lodge, unica struttura ricettiva un tempo presente sull’isola, conosciuta solo da pochi appassionati di diving, maturano l’idea di uno spazio più sofisticato che si addica al fascino primitivo di questo paesaggio miracolosamente rimasto fuori dalle rotte del turismo di massa. Sette eco-lodge di lusso realizzati con criteri di bio-architettura, con un rigoroso impiego di materiali tradizionali. Un sogno che con gli anni acquisisce sensibilità sociale attraverso la fondazione della Onlus Karibuni, che oggi conduce numerosi progetti, tra cui la gestione di un dispensario pediatrico aperto tutto l’anno, di una scuola, il microcredito Rosa che finanzia copperative di lavoro femminili, le adozioni scolastiche e molto altro.

Questa  felice relazione degli italiani con l’isola ovviamente accresce l’atmosfera di accoglienza e familiarità nel piccolo villaggio di Utende, a poche centinaia di metri dalla spiaggia e dai lodge che offre lavoro ad alcuni di loro. A parte questo, la natura è la vera protagonista, da ammirare passeggiando tra le mangrovie del lungomare, non senza prima aver calcolato il ciclo della marea che in un batter occhio chiude la via di ritorno. Dal Pole Pole in dieci minuti si raggiunge la spiaggia dove attracca il ferry di collegamento con gli altri isolotti dell’arcipelago. Chole e Jibondo sono percorse da un ordito di sentieri che penetrano la fitta  la vegetazione di ficus, papaie, banani dalle grandi foglie, ananas, manghi e alberi di anacardi. Abitati da villaggi di pescatori che costruiscono piccole imbarcazioni in legno di tek e di mango. In passato queste isole furono protagoniste di una stagione fiorente di commerci, gli arabi ne avevano fatto uno scalo come si vede dai resti delle antiche residenze di pietra, ruderi ormai inglobati dalle gigantesche radici dei ficus. A Chole la nota più originale sono i  bungalow costruiti in cima ai baobab, surreale resort per ospiti che non soffrono di vertigini.

Isola di Mafia, il dispensario medico di Utende gestito dalla onlus Karibuni

All’interno della baia la profondità del mare non supera i 12 metri, questo facilita l’osservazione dei fondali (snorkeling) frequentati da sgargianti branchi di pesci, soprattutto là dove la barriera corallina crea nascondigli e quinte rocciose. Una vera emozione è la presenza degli squali balena che si possono avvistare sul versante settentrionale di Kilindoni a partire dal mese di ottobre. Raggiungono fino a 14 metri di lunghezza e possono vivere 150 anni, ma non c’è da preoccuparsi perché sono del tutto innocui nei confronti dell’uomo. Siamo in una tra le più straordinarie oasi marine, gestite dal WWF internazionale. Altra attrazione è la schiusa delle tartarughee tra luglio e settembre. Mentre l’escursione in barca più sofisticata sono i banchi di sabbia che emergono e scompaiono con la marea, effimeri e meravigliosi  in mezzo all’oceano sotto a un velo di mare trasparente.

L’Africa selvaggia, quella della savana e della giungla è nell’entroterra. Bisogna percorrere, ovviamente con un fuoristrada, l’unica sterrata che attraversa l’isola da sud a nord, respirare la polvere, sopportare l’umidità tropicale che si appiccica alla pelle, godere ogni singolo odore di questa natura esagerata fino a raggiungere l’estremità opposta. Qui il guardiano del faro  ci mostrerà dall’alto tutta l’estensione dell’arcipelago. La costa è un tavolato roccioso, quando la marea si ritira lascia scoperte alla vista colonie di anemoni, alghe, coralli e una minuscola fauna che  giustifica il via vai di pescatori e di nasse. Le barche a bilanciere sono le più adatte alle acque basse, tuttavia molti pescatori preferiscono esplorare i fondali con la maschera per stanare un polpo intrappolato dalla bassa marea. Poi viene acceso un fuoco per arrostire il pescato e fare colazione. “Quello che manca qui non è il cibo, ma le medicine, l’istruzione, le zanzariere”, spiega Cecilia La Rosa, dottoressa romana che dirige il progetto salute di Karibuni. Il resto è un paradiso.

Foto di Mauro Verin | Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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