Botswana, sul delta dell’Okavango

di Luigi Alfieri

Viaggio in Africa sulle orme degli animali del delta dell’Okavango e del fiume Chobe.

Nella notte densa e scura come la pece, squilla un primo campanello. Poi un secondo. Poi cento, poi mille. Tlin, tlin, tlin. Tlin, tlin, tlin: il canto delle rane australi investe la savana e la palude. Il buio viene riempito da un tintinnio siderale. Sale verso le stelle il suono acuto di un’orchestra dove suona un solo strumento, misterioso e sconosciuto all’uomo bianco. Un coro che svela, per un attimo, i segreti del tempo e dello spazio, che turba i cuori e le anime. Succede sempre così: i fotografi arrivano in Botswana per immortalare l’acqua del fiume Okavango che sprofonda nella sabbia del deserto, per fissare la perfezione assoluta del movimento dei leoni e dei leopardi, l’eleganza della giraffa, il volo maestoso dell’aquila, la potenza controllata dell’elefante, l’ira dell’ippopotamo, la sterminata bellezza di albe e tramonti dolci e rosa come confetti, i cieli cobalto della sera, e poi finiscono incantati dai suoni e dai rumori, imbevuti di vita e di morte; dai profumi, che salgono dall’acqua e dalla terra a volte tenui, a volte stordenti.

La grande caccia con la reflex comincia piazzando i teleobiettivi sulle sponde del fiume Chobe: docile, basso e largo, si offre agli elefanti, agli ippopotami e ai coccodrilli come un’amante quieta. Intorno all’acqua un paesaggio fatto di immense praterie, sulla riva di destra, e di soffici colline, sulla riva di sinistra. Puntando l’obiettivo dalle alture rotondeggianti verso la prateria nasce la foto perfetta. Migliaia di zebre attraversano il fiume trasformandolo in un’immensa macchia optical bianca e nera, che si scompone e ricompone in infinite geometrie fantastiche, di mano in mano che la mandria avanza. Dietro, la savana si spinge piatta e silenziosa verso l’orizzonte, punteggiata qua e là dalla sagoma scheletrica del baobab, che alza i rami al cielo come una preghiera. Poco più avanti va in scena lo spettacolo della vita e della morte: nubi dense di avvoltoi e marabù, immondi spazzini della savana, si avventano sulla carcassa di un vecchio grande elefante ucciso dalla fame, perché i suoi denti hanno perso la capacità di masticare. Dal fiume alla palude.

Il delta

Un’altra foto indimenticabile nasce nella riserva di Savute. Qui un canale bizzoso, ad anni alterni, porta dal delta interno dell’Okavango l’acqua che trasforma angoli di savana secchi e senz’anima in acquitrini verdi e pieni di vita. E sono, questi acquitrini, la meta verso cui si muove con lentezza la linea nera e lunga dei bufali all’orizzonte. Una linea di milia e milia, dentro la quale avanzano con la solennità dei mietitori di Gauguin le sagome scure dei signori della prateria. Uno spettacolo titanico che a mala pena il grandangolo può contenere. Savute regala al fotografo cacciatore altre emozioni. Vicino al canale sverna una grande mandria di elefanti: qualche grosso maschio, qualche femmina esperta e diversi piccoli giocosi. Vivono nel cuore del territorio dominato da cinque giovani leoni.

Da settimane una troupe di documentaristi della BBC segue i pachidermi nella certezza che le belve attaccheranno i giganti e ne nascerà una battaglia spettacolare. Starsene acquattati per ore ed ore sulla 4 X 4 protetta dai cespugli in attesa dell’assalto è un’emozione antica. Poco importa se ci sarà lo scontro. Conta rivivere in quell’angolo di infinito fuori dal tempo le emozioni pungenti dell’uomo cacciatore, che affondano le radici nella preistoria per arrivare ad Hemingway. Alla fine i cinque leoni attaccheranno un bufalo e il buio della notte sarà rotto dal crocchiare delle ossa della vittima tra i denti dei predatori. Domani si vedrà: gli elefanti non si sposteranno da lì. Da Savute alla concessione di Khwai, dalla palude al delta dove muore l’Okavango. E qui la bellezza dei paesaggi fa a gara con l’eleganza dei profumi. Dalle ninfee che galleggiano sull’acqua tersa sale un afrore leggerissimo, come di spezia; gli alberi della pioggia, giganteschi, sanno di rosmarino e mughetto; l’erba pestata dalle ruote regala menta e artemisia. E, improvvisa ecco, ai bordi di Khwai, la foto perfetta. Il tramonto incendia il cielo. Un albero spoglio lascia partire dal tronco il ramo impazzito che disegna un arco nello sfondo di sangue e arancio. Al culmine se ne sta disteso, la coda che cade verso il basso, le zampe abbandonate nel vuoto, gli occhi che lampeggiano, il maschio di leopardo. E’ l’Africa. Quella di oggi, quella di migliaia di anni fa. ? la

Foto Sergio Pitamiz | Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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