Armenia, esperienze e conoscenze

Tempo fa ho avuto occasione di partecipare a Padova a un convegno nel quale Antonia Arslan, scrittrice italiana di origine armena, parlava della ‘storia’ millenaria del suo paese, del periodo noto come ‘genocidio’ del suo popolo. Non era la prima volta, avendo avuto in passato amici d’origine armena, che sentivo dibattere di tali argomenti. È comunque un dato di fatto: in ogni epoca e in ogni zona del mondo si sono verificati episodi di isolamento, intolleranza, persecuzione, delitti – un ‘crescendo’ che si impadronisce della mente umana annullandone il raziocinio – sino a giungere al vero e proprio genocidio. La storia ci conferma che questi estremi vengono raggiunti quando una comunità, costretta dagli eventi umani a vivere e condividere un territorio con altre persone differenti per razza, religione, abitudini di vita, può arrivare a compiere atti che il comune sentire – seppure in contesti di generale disagio e pericolo – mai dovrebbero permettere che si venga sopraffatti da forme di ideologia contorta, dall’assuefazione al potere di pochi, dall’ottundimento dell’anima in presenza di azioni ritenute a posteriori ‘inconcepibili, vergognose, criminali’, ma di fatto accettate passivamente e in qualche caso purtroppo persino esercitate. È successo col nazismo, nell’Unione Sovietica dei ‘pogrom’, in Cina e Corea durante la conquista giapponese, in Africa centrale fra etnie differenti e prima ancora nella tratta degli schiavi verso le Americhe, oltre che nelle infinite, disgraziate vicende umane perpetrate nel tempo e nello spazio dalle varie forme di colonialismo.

Non è l’unica testimone della ‘storia’ degli Armeni, Antonia Arslan; ma l’ex docente di Letteratura Italiana Moderna presso l’università di Padova, con la passione per l’archeologia (con tanto di laurea) è una ‘testimone’ permanente (e itinerante) delle traversie del suo popolo. La Arslan ricorda anzitutto che il nome originario del paese era Hayq, divenuto più tardi Hayqstan, a significare ‘la terra di Hayq’, dato che ‘stan’ è il ricorrente suffisso persiano per indicare un territorio. La leggenda racconta che Hayq discendeva da Noè e quindi, in accordo con la tradizione cristiana – antenato di tutti gli armeni. Hayq viveva ai piedi del monte Ararat; si assentò dalla sua residenza per assistere all’edificazione della Torre di Babele e, ritornato, sconfisse il re assiro Nimrod presso il lago di Van, nell’attuale Turchia. Ancora: il termine Armenia si rifà a quello di una tribù riconosciuta come la più potente dai popoli che vivevano nell’area caucasica e deriva da Armenak (o Aram), discendente di Hayq, a sua volta grande condottiero. La piccola-grande ‘storia’ dell’Armenia può essere sintetizzata in due fasi: quella della Grande Armenia, la cui massima estensione raggiunta comprendeva la quasi totalità dell’odierna Turchia orientale; oggi in quest’area l’etnia prevalente è quella dei Curdi, seguiti da Armeni, Turchi, Georgiani. Le città più notevoli sono la capitale della Repubblica di Armenia Erevan, ed Erzurum, in Turchia. Con l’occupazione araba, consolidatasi attorno agli anni 660-680, l’Armenia maggiore diviene una provincia di confine dell’Impero musulmano, per finire poi sottomessa all’Impero di Bisanzio nell’anno 1045. Nel 1064 Ani, capitale reale armena, viene conquistata dai Selgiuchidi e l’intera Grande Armenia cade in potere dei Turchi. Uno Stato armeno indipendente si riforma poco dopo in Cilicia, cioè nella Piccola Armenia (zona a sud dell’attuale Turchia e nord della Siria) e dura tre secoli, dal 1199 al 1375.

Antonia Arslan non ha mai nascosto di ritenersi una testimone attiva della sorte dei suoi compatrioti e continua ad esserlo per mezzo delle sue periodiche conferenze. Il genocidio perpetrato dai Turchi è stato in gran parte motivato dal desiderio di espandere il proprio territorio e insieme di contrastare – come paese musulmano – la religione cristiana che in Armenia è religione di stato sin dall’anno 301. Genocidio ‘moderno’, quello degli Armeni, che è stato seguito da quello nazista a danno degli ebrei. La scrittrice ricorda che si è trattato di un ‘progetto’ pianificato fra il dicembre del 1914 e il febbraio del 1915, con la complicità di consiglieri tedeschi, alleati della Turchia al­l’interno del primo conflitto mondiale. Il totale delle vittime può essere quantificato fra il milione e mezzo e i due milioni di persone: l’annientamento di un intero popolo, perché chi lo ha perpetrato si è fatto carico di cancellare, insieme alle vite umane, anche le tracce culturali della loro antica presenza in questa terra; si è calcolato che oltre 3.500 opere d’arte siano state distrutte e le poche rimaste, qualche centinaio, rappresentano oggi un aggancio emotivo al passato per gli abitanti dell’attuale, piccola Armenia. Solo nel 1985 il Genocidio Armeno è stato formalmente riconosciuto dall’ONU e in seguito (1987) anche dal Parlamento Europeo. Tra le ‘voci’ poetiche scomparse in tali atroci circostanze, la Arslan non manca di ricordare l’opera e la grande personalità del poeta Daniel Varujan, assassinato nel 1915, agli inizi dell’olocausto armeno. ‘Il Canto del Pane’, la sua opera più importante, potrebbe essere definita ‘il Canto dell’Uomo’, in cui la semplicità terrestre e le potenzialità celesti fanno un tutto armonioso; anzi, un tutto di armoniosa reciprocità.

Testo del Columnist Federico Formignani| Riproduzione riservata © Latitudeslife.com