Da Giuliano Pugolotti, maratoneta dei deserti, ci giunge questa cronaca dall’Afghanistan: uno dei pochi Paesi al mondo dove viaggiare è ancora un’esperienza paragonabile a quelle vissute dagli esploratori del secolo scorso e che ora si sta timidamente aprendo al turismo. Di certo, appena messo piede qui, nessuno potrà dire “Questo l’ho già visto”.
Testo e foto di Giuliano Pugolotti

È difficile capire da dove partire per raccontare l’Afghanistan. Non sai se iniziare dai tanti pericoli o dai luoghi, unici e indimenticabili che incontri. L’unica cosa certa è che questo non è un semplice andar per il mondo e neppure un’esperienza come un’altra.
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È l’Afghanistan. Nessun altro posto gli somiglia, non puoi immaginare nessuna persona che incontri in un altro luogo. Non dirai mai “questo l’ho già visto” o “quello gli assomiglia”. Se guardi una foto, un volto, un uomo o una donna capisci che vengono da lì, da quel punto del globo fatto di storia, conflitti e mille contraddizioni.

L’altro aspetto unico è quello del convivere in ogni momento con la paura di qualcosa che non vedi e non senti, ma avverti. Oggi i nemici sono i talebani, presenti in molte parti di questo Paese. Hanno imposto regole di vita radicali. Hanno cambiato il modo di convivere delle persone. Ma non ovunque, almeno così è dato sapere. La parte dell’Afghanistan al momento più sicura è quella del Wakhan Corridor, sul confine con il Tajikistan. Le montagne del Karakorum fanno da barriera e, se da una parte contribuiscono ad isolare il territorio, dall’altra lo proteggono dalle scorribande dei talebani. Viaggiare in questi luoghi può comunque essere pericoloso. E’ inutile negarlo. Al momento è così. A Khorog, in Tajikistan dove è possibile fare il visto d’ingresso per la frontiera di Ishkashim, c’è una procedura di richiesta dove occorre dichiarare di persona con una formula scritta di proprio pugno: “Io sottoscritto – nome e cognome – dichiaro di entrare in Afghanistan a mio rischio e pericolo, sotto la mia personale responsabilità”. Questa frase messa lì, racconta più di mille discorsi.

Tutto questo contrasta con la gentilezza e la disponibilità delle persone che si incontrano. Anche se non sanno da dove vieni e che lingua parli, ti accolgono con disponibilità. Rimane forte il problema della comunicazione. Pochissimi, quasi nessuno, parla inglese: solo i più giovani che incontri e che frequentano la scuola. Parlano, ma poco, non per il problema di lingua, ma perché la società è fatta così. Contano gli anziani, gli adulti. In una casa dove sono stato ospite una sera, in un grande stanzone senza luce ho vissuto il rituale di ogni giorno. La cena è il pranzo principale della giornata, fatto di riso, yogurt bianco, pane e tè da bere. Gli anziani parlano e commentano. I ragazzi ascoltano senza dire una parola. Nella stanza con gli uomini solo i ragazzi. Nella stanza con le donne solo le ragazze. Al centro dell’attenzione una radio a pila che diffonde le notizie del giorno. Gli uomini discutono ed i ragazzi ascoltano senza poter commentare. Nella penombra la luce dall’esterno che filtra dalle piccole finestre si fa sempre più soffusa e in questa immagine si perde il tempo. Siamo nel 2019, ma potrebbe essere la scena di un passato quasi dimenticato. Invece è oggi. È così ora. È in questa logica che si muove l’Afghanistan. La sua chiusura è totale. Le leggi sono quelle che ha lasciato il tempo.

Anche per questo l’Afghanistan è unico. In queste case non c’è luce, non c’è acqua corrente e logicamente neppure un bagno. Non c’è nessun mobile, neppure una piccola sedia. Sul pavimento solo qualche tappeto a dividere la terra dalla stanza. Per lavarsi occorre andare fuori all’aperto. Per avere una luce chiara occorre aspettare l’alba. Per bere occorre rifornirsi al fiume. L’acqua scende dalle montagne del Karakorum e scorre con forza e vigore per gran parte dell’anno. In estate lavarsi in esterno è facile. Il difficile è d’inverno, dove le temperature scendono a meno venti. E’ dura vivere qui ed è anche per questo che le persone non sono dei residenti del luogo, ma il luogo. Per questo i loro volti sono scavati dalla fatica e raccontano con fierezza la tenacia che hanno dovuto esprimere per vivere. Nessun lusso. Nessuno svago. Nessuna vacanza. Nessun comfort. Ogni giorno queste persone combattono la personale battaglia per la vita. In autunno va in scena il rituale della raccolta del grano. Tutto avviene come mille anni fa. Nessun mezzo meccanico ha apportato un seppur timido cambiamento. La mietitura avviene a mano. La lavorazione con buoi. Il tempo non solo si è fermato. E’ fissato, bloccato e non va né avanti né indietro. Questo è quello che si vive. Questo è quello che si vede. È l’Afghanistan a cui occorrerebbe dedicare tanto per spiegare e ancor più per capire.
Informazioni
Come arrivare: in aereo dall’Italia è necessario fare scalo a Istanbul. I voli sono disponibili solo alcuni giorni a settimana.
Quando andare – Clima: il clima è in prevalenza continentale e secco, con inverni rigidi ed estati torride.
Fuso orario: +3,30h rispetto all’Italia; +2,30h quando in Italia è in vigore l’ora legale.
Documenti: necessario passaporto con validità residua di almeno 6 mesi. Necessario visto, da richiedere almeno 15 giorni prima della partenza.
Viaggio organizzato: Overland è uno dei pochi Tour Operator Italiani a programmare la destinazione, un’occasione unica per conoscere le meraviglie naturali e culturali di questo Paese così poco esplorato.
Vaccini: è obbligatorio, ma solo per i viaggiatori provenienti dai Paesi a rischio di trasmissione della febbre gialla, il certificato di vaccinazione contro questa malattia. Sono consigliati i vaccini contro il colera, il tifo, l’epatite A e B, il tetano e la difterite; si consiglia a questo proposito di rivolgersi a un centro vaccinazioni.
Lingue: Dari e Pashto.
Religione: Islam
Valuta: Afghani (circa 86 Afghani per 1 Euro)
Elettricità: prese elettriche di tipo C, tipo D, tipo F.
Testo e foto di Giuliano Pugolotti |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
Giuliano Pugolotti ha da poco pubblicato un libro, Correre nel nulla – Giunti Editore:
“Nei deserti ho pianto di gioia e pianto lacrime vere di dolore. Sono caduto e ogni volta mi sono rialzato. L’ho fatto anche quando pensavo fosse tutto finito per sempre. E lì ho imparato che il deserto non si lascia prendere e neanche conquistare. E’ lui che conquista te.“
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