
Con tutta probabilità non avrò più occasioni per tornare nella città di mio padre. Anche se sono milanese sino all’osso, Ferrara è la mia città del cuore, quella delle radici ed è anche la città ideale nella quale mi sarebbe piaciuto vivere. Il conseguente rammarico è di non averla vissuta più intensamente di quanto avrei voluto. Vissuta abbastanza comunque da poterne rievocare momenti e ricordi nei quali sono stato intensamente ferrarese.
Il Duomo – La Cattedrale, dedicata a San Giorgio, protettore della città, possiede un fascino tutto particolare e per me (ragazzino) addirittura fiabesco: guardandola, immaginavo una ricca ed elaborata torta di marzapane formata da tre fette allineate e impreziosite da dolci e canditi. Un po’ più in là con gli anni, mi affascinava e stupiva la famosa iscrizione posta all’interno della chiesa che indicava, in un volgare primitivo, la data di nascita dell’edificio: “…Il mile cinto trempta cinque nato fo q(ues)to (t)emplo a Zorzi c(on)secrato. Fo Nicolao scolptore e Glielmo fo lo auctore”.
Costruzione dunque iniziata da Guglielmo Adelardo nel 1133, con il trasferimento della cattedra episcopale dalla vecchia cattedrale, posta oltre il fiume, due anni dopo e un prezioso frammento del primo italiano. Da ragazzino montavo in groppa ai leoni in marmo che fronteggiano la chiesa e mi chiedevo se gli altri leoni grifo della facciata, che sorreggono colonne di marmo, facessero molta fatica. Pensieri destinati a dissolversi con l’acquisto – sotto Natale – nel famoso bar di fronte alla chiesa della specialità di Ferrara: il pan del papa o panpepato, da sbocconcellare poco per volta, perché abbastanza duro!
Ex Chiesa di San Romano (X-XV secolo) – All’angolo tra piazza Trento e Trieste (un tempo piazza dei Mercanti) e la via San Romano, nel cuore della città vecchia, sorge questa chiesa sconsacrata e fiancheggiata da un bel chiostro ricco di colonne marmoree. Nel XIII secolo, c’era un monastero di benedettini e mio padre (che qui è nato nel 1909) mi raccontava che una volta spariti i monaci, l’edificio era stato usato per ospitare il Magistrato dei Savi, principale organo giuridico della città.

Ma i ricordi non si fermavano a questi cenni storici. C’era anche un vecchio zio prete che gli aveva mostrato come il piccolo appartamento in cui vivevano avesse una finestrella che affacciava sull’interno della chiesa e da lì, scendendo, si poteva accedere all’organo che mio padre suonava, sollecitato dallo zio prete. L’avventura è finita il giorno in cui papà, entusiasta per il prestigioso incarico, ha strimpellato sull’organo una canzonetta allora in voga: Valencia, dolce terra che ci afferra con le mille seduzion…
La Via delle Volte – Questa strada, lunga e stretta, è diventata uno dei simboli della città ed è oramai famosa anche all’estero. Qui si svolgevano i traffici della vita medievale e le case dei mercanti erano unite da passaggi (le volte) che univano le abitazioni del lato sud della via con i magazzini situati sul lato nord.
Fondo della strada in ciottoli, mattoni e pietre a nobilitare questa via del silenzio e del raccoglimento. L’ho di continuo sotto gli occhi, perché accanto al computer è appesa una riproduzione della via disegnata con inchiostro di china da mio padre.
Il Castello Estense – Quante volte l’ho visto, percorso e frequentato anche per convegni, venendo da Milano. I miei primi ricordi sono ancorati a un episodio che mi veniva raccontato come l’eccidio del Castello Estense, ricordato anche da Giorgio Bassani nel racconto “Una notte del ‘43”: undici oppositori del regime fascista fucilati all’alba, in novembre, lungo il muretto del fossato del castello, nella via che sarebbe stata intitolata alle vittime: corso Martiri della Libertà.
In altri momenti e in altri ritorni, superata abbondantemente l’infanzia, ho sostato spesso lungo i muretti del castello per osservare lo scorrere impercettibile delle acque del fossato. Naturalmente immaginando armigeri e cortei, alabarde e trombe. I giusti personaggi per un edificio come questo.
Via del Pozzo – Una delle molte vie quiete e nascoste del centro di Ferrara. Qui al numero 5 abitavano, nel primo dopoguerra, dei parenti di papà che erano presenti (rami discendenti) anche a
Milano. I vecchi Cavallina stavano ancora qui e ricordo il cortile interno chiuso alla fine da una torre mozza, con le vetrate della falegnameria che era la bottega del padrone di casa, una persona che mi pareva assomigliasse al Geppetto di Collodi: sempre bianco di segatura, affabile e gran bevitore. Raccontava, questo vecchio nonno, di come avesse pianto (metaforicamente) quella volta che un fiasco di vino era caduto dal bancone di lavoro, arrossando il consistente strato di segatura del pavimento.

Il Ghetto Ebraico – Negli anni Novanta in Via Mazzini, una delle vie comprese nel ghetto ebraico, io e Cate, ospiti di un convegno, abbiamo conosciuto un personaggio fantastico che abitava in questa via e che era stato amministratore di un manicomio situato in un antico palazzo delle vicinanze, poi visitato.
Abbiamo passato un’interessante serata ad ascoltare le storie “matte” del dottor Monti che, drappeggiato nella sua lunga sciarpa bianca, mostrava documenti e descriveva vita stranezze e morti dei suoi antichi amministrati. Forse molti di loro anche ebrei, data la zona!
Il mio Cognome – Senza alcun dubbio, è un cognome ferrarese. A Milano siamo in pochi ad averlo, ma a Ferrara e nel ferrarese il cognome ha una buona diffusione, con una curiosità in più: esiste una cittadina, nella provincia, che si chiama Formignana. Il fratello di mio padre, che abitava a Roma (n.d.r: curioso come la vita sparpagli persone, nomi e destini in ogni dove!) aveva fatto una ricerca araldica per saperne qualcosa di più.
Alla fine gli era stato detto che i nostri super antenati erano dei duchi che si erano mangiati averi, casato e proprietà, preda di umane debolezze; mi ricordo anche come lo zio Peppino ci fosse rimasto male. Ma il contatto con la scoperta della diffusione del cognome Formignani a Ferrara è anche legato a un episodio curioso: una cena in un ristorante del centro con la sorpresa del cognome della proprietaria sulla ricevuta fiscale: Federica Formignani.
Qualche parente a parte, l’unico Formignani ferrarese che conosco è un famoso e bravissimo musicista, chitarrista da sballo (Roberto), conosciuto in Piemonte in occasione di alcune serate dedicate ai vini della zona. Nessuna parentela, una sincera amicizia; le stranezze della vita! La SPAL di Ferrara – Chiudo con un riferimento allo sport, al calcio. Inutile rimarcarlo, ma la Società Sportiva Ars et Labor (SPAL) è la mia squadra del cuore. Per uno che vive a Milano la faccenda stride un po’, lo ammetto.
Ma la fede nei colori biancazzurri ha anch’essa un’origine paterna. La squadra, nata nel 1907 come circolo culturale religioso condotto dai Padri Salesiani, ha avuto anche il mio vecchio tra i primi “ciabattanti”, qualche anno dopo! Poi c’è il ricordo della lunga permanenza nella massima serie negli anni Cinquanta, con numerosi giocatori divenuti famosi (Cervato, Picchi, Pandolfini, Capello, Bugatti ed altri) e il ritorno in A per tre campionati, con l’ultimo vergognosamente disastroso, due anni fa.
Rimane il ricordo di una visita solitaria allo Stadio Mazza, in una bella giornata di sole: silenzio, il profumo d’erba del campo, mentre mi immaginavo in porta (come Bugatti!) a fronteggiare i campioni di Juve, Milan e Inter. So perfettamente che la SPAL, in ambito sportivo, non è il massino; ma a me va bene così. Fa anche rima con serie B!
Libertas Dicendi n°366 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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