
Questa settimana un ricordo e una “gita” in kayak in una zona geografica dal passato turbolento e dall’avvenire non troppo certo. La zona è quella dove scorre il fiume Bug Occidentale (750 chilometri) più lungo del nostro Po e simile nel nome a quello orientale che dall’Ucraina sfocia nel Mar Nero.
Il fiume Bug (pronuncia Buk) ha un nome che pare risalga ai tempi preistorici, tempi in cui la regione era abitata da tribù germaniche.
La radice baug significava “piegare, curvare ad arco” e parrebbe calzare alla perfezione ai numerosi e contorti meandri che caratterizzano il corso d’acqua, specie quando segna il confine tra Polonia e Bielorussia; parte fluviale, questa, della “gita” in questione.
Bug, perenne fiume di confine

Il Bug nasce nella regione chiamata Galizia, un tempo parte del più vasto Principato di Galizia-Volinia e più tardi possedimento in mano alla corona d’Austria e Ungheria col nome di Regno di Galizia e Lodomeria. Questa Galizia non ha niente a che vedere con la Spagna ma è compresa nella parte occidentale dell’Ucraina.
Nel suo scorrere, il fiume punta dapprima verso ovest, per poi virare decisamente verso nord. Nasce nell’altopiano di Podil’s’kyj e durante il suo cammino divide inizialmente Polonia e Ucraina, quindi Polonia e Bielorussia; termina la sua corsa in territorio interamente polacco sfociando nel fiume Nerew, prossimo a Varsavia.
Il destino militare (non lo si può definire altrimenti) del fiume Bug è sempre stato quello di dover percorrere territori in perenne contrasto tra loro. Dimenticando le antiche guerre tra Voivodati e Regni zaristi passate alla storia, vediamo il confine polacco-Unione Sovietica invaso da profughi ebrei in cerca di salvezza dalle retate Naziste durante la seconda guerra mondiale, con la speranza di trovare rifugio in territorio russo; con un po’ di fortuna all’inizio, ma in seguito respinti a fucilate dai sovietici.
Negli anni Duemila, dopo un lungo periodo di pacificazione polacca, nessuno dimentica l’angoscioso assembramento di immigrati asiaticie del medio oriente arrivati con l’intento di trovare rifugio in Polonia; anche qui, con alterne fortune: aperture iniziali quindi chiusure totali e migliaia di individui lasciati al freddo, accampati nelle foreste bielorusse o ucraine.
Gli ultimi avvenimenti sono sotto gli occhi di tutti: con la guerra russo-ucraina; la Polonia rappresenta quindi un’area geografica privilegiata per l’arrivo di migliaia di profughi ucraini e il fiume Bug vede le sue rive contrapposte sempre più sorvegliate, difese, impenetrabili.
Spedizione fluviale eterogenea

Ma il ricordo odierno è un ricordo di pace, lungo i meandri di un fiume Bug in veste quasi estiva, che scorre placido lungo le sponde polacche e bielorusse dense di vegetazione.
La compagnia che si appresta a pagaiare sul fiume è eterogenea e brillante: ci sono io, il più anziano, attanagliato dal timore di non avere sufficiente elasticità per infilarmi in uno dei due buchi rotondi del kayak; c’è Lucio Rossi, che è il più atletico e disinvolto nel farlo, ma dovrà comunque prestare attenzione alle sue macchine fotografiche; c’è Maciej Zbarachewicz, che da Białystok ci scarrozza nella Polonia orientale e il giorno prima ci ha prelevati dal Parco Nazionale di Białowieƶa, percorrendo quindi le strade che costeggiano il confine con la Bielorussia; all’altezza della polacca Teraspol, abbiamo imboccato un lungo cavalcavia per superare l’autostrada che conduce al confine e alla città bielorussa di Brest; impressionante la lunga teoria di camion e di TIR con rimorchio fermi in autostrada in attesa di superare la dogana che divide, di fatto, due mondi.
La meta finale è l’incontro con il padrone dei kayak, Marek Pomietło, un omone robusto e dal sorriso contagioso, quarto e più importante personaggio della piccola spedizione. Marekci consiglia (più a me che agli altri) come muovere la pagaia e come sistemarsi al meglio nel kayak. Dalla spiaggetta improvvisata di Sławatycze, scendiamo finalmente in acqua.
Lungo il fiume, con il kayak

La prima e più immediata sensazione, una volta in acqua, è di pace e di silenzio quasi assoluto.
Il mio kayak è affidato a Maciej e io, davanti, ci metto un po’ ad armonizzare i miei movimenti di pagaia con i suoi, giovanili e disinvolti; a una certa distanza seguono Marek e Lucio.
Ora ho occhi solo per le sponde, letteralmente rivestite di verde; le zone nelle quali la vegetazione difetta, sono dovute a piccoli spiazzi creati sulla sponda polacca nei quali sono ben visibili dei grossi ceppi di marmo colorati di bianco e rosso, a indicare il confine.
Marek, su mia precisa richiesta, mi aveva informato prima della partenza che la sponda bielorussa è più misteriosa; non ci sono ceppi di confine ma, nascoste nella vegetazione del grande bosco, ci sono postazioni di controllo affidate a militari che vengono avvertiti via telefono se qualcuno è sul fiume!
A Jabłeczna scendiamo a terra per visitare il bellissimo Monastero di Sant’Onofrio nel quale i monaci, oltre a svolgere un’infinità di mansioni per la conduzione della loro comunità, fabbricano ceri di un delicato color marrone. Segue un gustosissimo picnic nel quale Marek funge da ospite e cuoco: salsicce alla brace, birra e chiacchiere divertite.
Pensieri acquatici

Si ritorna a pagaiare sul Bug, seguendo la corrente sud-nord alla volta di Kodeń, località nella quale, nascosto nel verde, c’è il Santuario Ortodosso della Madre di Dio. Qui ha termine la lunga scorribanda che mi ha permesso di fantasticare non poco, man mano che il tempo e i chilometri si assommavano.
Impressionanti e divertenti i numerosi meandri affrontati, nei quali la corrente avvicina il kayak alle due sponde, consentendo un continuo dentro e fuori tra i due paesi! Belle e riposanti le visioni dell’acqua: ora liscia e apparentemente ferma, ora preda di piccoli mulinelli propiziati dalle curve, dai colpi di pagaia, persino dalle mani infilate nell’acqua (a far da piccolo motoscafo) da un inguaribile ragazzino-adulto come me; la muraglia di verde delle rive è più intensa sulla sponda bielorussa, leggermente più alta rispetto a quella polacca.
Mentre scambio qualche parola con il pilota Maciej, penso alla lunga storia di questo e di tanti altri fiumi di questa vasta e inquieta zona europea, sempre alle prese con i comportamenti umani raramente in sintonia con la pace e la bellezza che meriterebbe.
Libertas Dicendi n°373 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
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