Isole Falkland, una scheggia di Inghilterra nei mari del Sud


Nulla sarà più come prima. E’ bastato uno sguardo dall’alto per capirlo. Un pugno di rocce in un mare minaccioso, scuro, percorso da correnti fortissime e spazzato dai venti polari. Stiamo per atterrare a Mount Pleasant, aeroporto di Stanley, piccola capitale dell’arcipelago delle isole Falkland. E si plana su un pezzetto di Inghilterra, tra villette con giardinetti più o meno curati, rosse cabine telefoniche  e, naturalmente,  pub dove servono birre ghiacciate e patatine. Stanley è in effetti un paesino che si potrebbe trovare in Cornovaglia, se non fosse che tra le vie e sul lungomare si incontrano oche polari a passeggio e che davanti alla chiesa principale ci siano gigantesche ossa di balena a formare un arco.


Ma la sensazione di essere in una terra di confine è netta. Tutto intorno il paesaggio è grandioso e bastano pochi passi oltre le ultime abitazioni per essere travolti dagli odori portati dal vento: salsedine, erba e qualcos’altro…qualcosa di nuovo per chi arriva da una qualsiasi città del mondo. Un odore di scoperta, libertà, selvatico. E guardandosi attorno, rocce coperte da licheni, panorami con mare azzurro intenso e bianche spiagge, resti di battaglie ancora troppo recenti per essere dimenticate e ben vive nei ricordi degli isolani.  La piccola Stanley è un punto di partenza. Da qui inizia la scoperta dell’arcipelago, formato da più di 200 isole, la maggior parte delle quali disabitate. O meglio, abitate da creature che si trovano a meraviglia in un mondo fatto di pietre, mare pescoso, vento, scogliere.


È salendo sul bimotore della compagnia delle Falkland, insieme ai sacchi della posta e a qualche derrata alimentare, che si arriva sulle altre isole abitate. Saunders Island è quella che abbiamo visitato. Qui si viene accolti da Jim e dalla moglie che ci portano a The Neck. Un rifugio con vista su un istmo, una collina verde e…natura allo stato puro! Ed è proprio lei, la natura, la protagonista assoluta: noi ci siamo limitati ad osservarla, senza barriere, rimanendo seduti per ore tra migliaia di pinguini, cormorani, albatros. Abbiamo imparato a riconoscere i meccanismi che regolano la vita delle colonie, a capire l’agitazione causata dai predatori che volano sopra le loro teste, gli sguardi vigili dei genitori sui loro piccoli e sulle preziose uova. Abbiamo osservato con emozione la nascita, con interesse l’attesa del ritorno degli adulti dal mare con il cibo, con sgomento la morte. Non ci sono stati filtri, nemmeno alla macabra danza dei caracara e degli skua attorno al corpo del giovane pinguino reale morto.


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