Tesori nascosti di Napoli: l’ospedale degli Incurabili

Ciò che da secoli rende Napoli un luogo spietatamente affascinante e unico al mondo è sicuramente la sua bellezza nascosta, quella che appare improvvisamente nei vicoli del centro storico dove sacro e profano, folklore e cultura, esoterismo e scienza si mischiano fino a confondersi. Proprio nel punto più elevato della città vecchia, dove gli antichi Greci edificarono le mura difensive di Neapolis e dove la leggenda vuole che riposino le spoglie di Partenope, sorge un complesso che per circa cinquecento anni ha rappresentato un indiscusso punto di riferimento per la medicina meridionale. Si tratta del prestigioso Ospedale degli Incurabili che, a dispetto del nome, non indica certamente l’ultima spiaggia per moribondi ma, al contrario, un luogo di cura e di speranza per casi estremi e difficili.

L’Ospedale fu fondato nel 1522 da Maria Lorenza Longo, nobildonna catalana che, per seguire il marito Giovanni, vice-reggente della cancelleria di Ferdinando II d’Aragona, nel 1506 si trasferì a Napoli. Rimasta vedova ed essendo affetta da una grave forma di artrite reumatoide, nel 1510 la Longo si recò in pellegrinaggio al santuario della Santa Casa di Loreto per chiedere la grazia della guarigione. Una volta tornata a Napoli, la gentildonna rispettò il voto, fondando un nuovo ospedale per soddisfare le richieste dei sempre più numerosi infermi che non potevano permettersi cure adeguate. Nell’edificio contenente circa mille posti letto, si trattavano soprattutto casi di sifilide, malattia infettiva a prevalente trasmissione sessuale che lasciava terribili piaghe sul corpo. Numerosi erano i casi di prostitute ammalate che, una volta guarite, si convertivano all’opera pia diventando suore e prestando assistenza ad altri degenti; così come noti e seguiti dal popolo erano anche i casi di “pazzaria”, con i presunti “malati di mente” destinati all’isolamento all’interno dei pozzi costruiti nel cortile. Con l’Ospedale furono edificate anche due chiese: la chiesa di Santa Maria del Popolo, caratterizzata da un interno ad aula unica decorato con affreschi barocchi risalenti al XVI secolo; e la chiesa di Santa Maria dei Bianchi, gestita dall’omonima Compagnia che prendeva il nome dal colore dell’abito dei religiosi e dal loro specifico ufficio, ovvero l’assistenza ai condannati a morte. È inoltre testimoniata la presenza di dodici “preti del buon morire”, sacerdoti che accompagnavano spiritualmente i moribondi negli ultimissimi istanti di vita.

Ma la vera magia del complesso è nascosta nella Farmacia storica, luogo che rappresenta in modo emozionante e sublime un insuperato capolavoro del barocco settecentesco, un efficiente laboratorio del farmaco e, al tempo stesso, una sede di rappresentanza per l’élite scientifica illuministica. La realizzazione e il mantenimento dell’edificio furono finanziati dal massone napoletano Antonio Maggiocca, governatore del complesso che lasciò l’ingente legato di 40.000 ducati alla Santa Casa. Nel 1729 Domenico Antonio Vaccaro disegnò l’elegante doppio scalone in piperno che dal cortile conduce alla loggia i cui portali marmorei sono sormontati da mascheroni diabolici simboleggianti la doppia natura del farmaco: da un lato guarisce, dall’altro può divenire veleno.

L’interno, invece, fu ristrutturato tra il 1747 e il 1751 da Bartolomeo Vecchione, il quale si servì delle più raffinate maestranze partenopee per la falegnameria, gli intagli, le dorature, i marmi e le maioliche. Nella grande sala di rappresentanza troneggia la scultura del committente Maggiocca che in un’intrigante posa invita ad ammirare il salone adibito al commercio degli speziali. Qui si tenevano anche le adunanze della potente massoneria napoletana che dibatteva delle scoperte scientifiche raggiunte nel regno e prendeva le decisioni sulla sanità pubblica. Splendide porte scorrevoli chiudono questo scrigno con il pavimento in maiolica cui fanno da pendant gli stigli impreziositi dai circa 400 vasi che ancora conservano i residui dei prodotti farmaceutici della fine del Settecento. A dominare la sala è, però, la raffigurazione dell’utero virginale, allegoria che simboleggia il miracolo della nascita richiamando una legge del regno borbonico la quale riconosceva la vita del feto già all’interno della pancia della madre. Il soffitto, invece, è coronato dalla tela del Bardellino del 1750 che s’ispira all’episodio dell’Iliade in cui Menelao ferito viene curato da Macaone, rappresentando così l’allegoria della malattia e della medicina. Agli angoli della volta campeggiano i medaglioni – aggiunti durante il rimaneggiamento voluto dai Savoia nel 1862 – raffiguranti i ritratti di quattro grandi scienziati, nonché noti massoni: Humphry Davy, Jacob Berzelius, Alessandro Volta ed Antoine de Lavoisier.

Nell’ambiente retrostante, verosimilmente dei locali di laboratorio per allestire i preparati chimici, era posta una grande urna marmorea contenete la Teriaca, panacea per ogni male e farmaco che la leggenda riporta a Mitridate re del Ponto. Il preparato – che probabilmente doveva contenere oppio, carne e pelle di vipera – ebbe una straordinaria diffusione nel Medioevo e nel Rinascimento, ricevendo una richiesta così forte da indurre i governi ad assoggettarlo alle regole del monopolio di Stato e a diffidarne il contrabbando. Le preparazioni più famose erano quelle di Venezia e di Napoli, forse perché sia Cipro, tenimento della Serenissima, che Malta, appartenente al Regno di Napoli, erano ricche delle erbe medicinali che si aggiungevano al prodotto. Il fatto che la teriaca rimandasse alla tradizione magico-alchemica napoletana non intacca, comunque, il grande valore scientifico della Farmacia quale esempio moderno di ricerca e formazione dello speziale e del farmaco, spartiacque tra la medicina illuministica e l’ospedale moderno. Quest’istituzione rappresentò, infatti, la forte volontà di investire nella ricerca farmaceutica, considerata la frontiera della conoscenza medica e del progresso scientifico: non a caso la zona nella quale sorge il complesso era conosciuta come la circoscrizione delle scienze, il cui stemma si rifà ai colori della bandiera aragonese, il giallo e il rosso, ma anche a quelli della Farmacia stessa.

Venendo a tempi recenti, anche il regista turco Ferzan Ozpetek è rimasto affascinato dal meraviglioso mistero emanato dal complesso degli Incurabili tanto da inserirlo come sfondo di alcune scene del film “Napoli velata”: un luogo ideale per raccontare una Napoli esoterica, massonica, barocca, impenetrabile e sorprendente. Oggi l’associazione culturale “Il Faro di Ippocrate” gestisce le visite guidate all’interno del complesso monumentale, richiedendo un contributo ai fini esclusivi di conservazione e restauro. La visita accompagnata nell’ambito del percorso “Arte e Scienza” consente anche di ammirare alcuni siti del complesso quali i Chiostri, l’Orto dei Semplici e il Museo delle Arti Sanitarie e di Storia della Medicina. In particolare, il Museo è aperto dal Lunedì al Sabato dalle 9.00 alle 17.00 (chiuso il martedì), mentre la Farmacia è visitabile nei giorni di Mercoledì, Venerdì e Sabato negli stessi orari del Museo e la Domenica dalle 9.00 alle 13.00. È però opportuno prenotarsi al numero 081.440647 oppure inviando una email a info@ilfarodippocrate.it o ancora visitando la pagina web www.museoartisanitarie.it.

Testo e foto di Angelo Laudiero | Riproduzione riservata Latitudeslife.com

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