Come gemme preziose, piccoli, sapidi, ricchi di principi salutari, deliziosi e inimitabili, i pistacchi di Bronte crescono sulle pendici scoscese dell’Etna, nutrendosi di lava e mito.
Si dice che il nome Bronte sia quello di uno dei ciclopi al servizio di Vulcano, che veniva posto proprio nella bocca del cratere. Oggi il territorio del suo comune, assieme a quelli di Adrano e Biancavilla, rappresenta la più vasta area di coltivazione del pistacchio in Italia, dal 2009 unica varietà protetta dalla denominazione DOP e con riconoscimento UE.
Le sue origini si perdono nella notte dei tempi. Potrebbe provenire da Psitacco, città della Siria: secondo la leggenda, i pistacchi erano uno degli alimenti preferiti dalla regina di Saba, la quale richiedeva che tutta la produzione delle sue terre venisse impiegata esclusivamente per soddisfare lei e la sua corte. Con l’arrivo di Alessandro il Grande dopo il 300 a.C., la pianticella magica raggiunse la Grecia. Ma altre teorie la indicano già patrimonio di antiche tribù ebraiche, da cui gli Arabi appresero uso alimentare e metodi di coltivazione.
Quando nell’827 d.C. gli Arabi sbarcarono a Marsala, e sconfiggendo i Bizantini conquistarono l’intera Sicilia, cercarono un luogo adatto al pistacchio. Dopo aver valutato i diversi terreni decisero che la zona davvero vocata si trovava alle pendici del maestoso vulcano, direttamente sulla sciara, tra i 400 e i 1000 metri di altitudine, e precisamente nel versante ovest. Una valutazione certamente felice, nonostante le difficoltà ambientali, le rese non elevate, e la cura necessaria per ottenere il massimo dai piccoli frutti.
I pistacchi di Bronte sono fra i più pregiati per qualità, profumo e consistenza. Dolci, aromatici e delicati, con il verde brillante dell’interno coperto da una caratteristica buccia dalle striature viola, a causa della mineralità del sottosuolo, molto ricco di olio. Ma, come raccontano Nino Marino e Vincenzo Longhitano, fondatori dell’azienda Vincente Delicacies: “La raccolta qui si fa ogni due anni (solo in quelli dispari) e tutta a mano. È un lavoro faticoso e assolutamente artigianale. Vuoi mettere però la soddisfazione di raccoglierli, smallarli (come per le noci) e farli seccare rigorosamente al sole? Il risultato è impagabile.” Tutta la filiera di produzione è rimasta come al tempo degli Arabi; gli stessi termini dialettali per definire il frutto, frastuca, e la pianta, frastucara, sono di origine araba. Grazie alle sue caratteristiche, al fatto che può essere consumato al naturale senza aver subito nessun trattamento, oltre all’impegnativa modalità di coltivazione, il pistacchio di Bronte oggi viene venduto a un prezzo molto elevato.
“Praticamente quasi ogni famiglia ha il suo pistacchieto privato che rappresenta un vero e proprio tesoretto a cui attingere. Noi con Vincente Delicacies dal 2007 abbiamo deciso di far conoscere al grande pubblico tutta la bontà dei nostri pistacchi, concentrandoci sul produrre dolci che esaltino questa vera perla, a cui viene dedicata un’attenzione maniacale, sia per la scelta dei migliori frutti sia per la lavorazione.” Quella di Nino Marino e Vincenzo Longhitano è autentica passione per la propria terra, e per il prodotto che, a ragione, oggi la nobilita. Non si limitano ad esportare ad ogni latitudine specialità ricercate, dalla golosissima crema, ai torroni, ai panettoni, e altre ghiottonerie.
All’interno dell’azienda si trova la prima galleria formativa e informativa di oltre 70 metri dedicata al pistacchio di Bronte, messo anche a confronto con quelli provenienti da altre zone del mondo; qui si raccontano tutte le sue tipicità, il ciclo produttivo, le difficoltà della raccolta, le leggende che ruotano attorno all’oro verde, la storia a partire dalle origini e una raccolta di personaggi famosi che nel tempo lo hanno apprezzato. Sicuramente tra le proposte più divertenti e utili della galleria c’è la selezione di pistacchi di provenienza diversa con cui confrontare quello di casa, unico per colore e dimensione. Provare per credere!
Lampi di viaggio sotto il vulcano
Bronte è una distesa immensa di alberelli ritorti che in inverno assumono un aspetto quasi spettrale così immersi nella lava delle sciare. Qua e là emergono le case contadine dove si lavorano e si mettono a seccare sull’aia i pistacchi appena raccolti. Non sono particolarmente affascinanti, ma l’idea di trasformare questi casotti in agriturismo per vivere un’intensa “pistacchio experience” diventa glamour e accattivante, anche considerando il fattore gastronomia, sempre all’insegna del verde frutto. Boscià sarà uno di questi B&B.
Per dormire ai piedi dell’Etna, l’hotel “Fucina Di Vulcano”, con ristorante gourmet panoramico. Merita una menzione speciale il ristorante “Etna Quota Mille” di Randazzo (Catania), all’interno di un antico palmento restaurato: ancora ci sono le botti e i macchinari per la lavorazione dell’uva. La cucina propone piatti tipici della zona realizzati con prodotti a chilometro zero e il pistacchio è quasi in ogni portata.
Emozionante e straniante la strada interamente di lava che sale al Parco dell’Etna. A seconda dell’altitudine cambia la vegetazione. E oltre ai pistacchi, altra coltivazione di pregio è la vite.
Dai vigneti si ricavano infatti i famosi vini dell’Etna, da degustare e scoprire con il trenino che da Catania porta ai piedi del vulcano.
Sulla tavole delle feste non può mancare anche il panettone “i Pupi” della linea Sguardi. Una lievitazione di circa 40 ore, con pistacchi, pesche e gocce di cioccolato fondente.
Informazioni
Visita il sito di Vincente Delicacies.
Testo e foto di Teresa Scacchi|Riproduzione riservata ©Latitudeslife.com
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