Yunnan: Orizzonte perduto

Lo Yunnan si estende nel sud-ovest del Paese, tra l’altopiano tibetano e le foreste birmane. È la più variegata provincia cinese, culla di oltre 25 etnie. La natura qui ha davvero lasciato andare le briglie della fantasia: gole nelle quali scrosciano violenti i fiumi, formazioni geologiche che sembrano foreste, parchi nazionali e colline di roccia carsica. Non si può dire di aver vissuto la Cina senza essere stati nello Yunnan. Testo di Alessandra Nitti Foto di Gianpaolo Nitti

Il Kham, una delle tre regioni del Tibet insieme all’Amdo e al Tibet Centrale, fa ufficialmente parte della provincia dello Yunnan, per cui è visitabile senza permessi speciali. La zona più a nord include la prefettura autonoma tibetana di Deqen, ai margini orientali dell’altopiano più alto del mondo. Qui sorge Shangri-la, al secolo Zhongdian., un obbrobrio di palazzine comuniste e motorini ad un’altitudine di 3200 metri. Nel suo cuore però si nasconde l’antico villaggio tibetano di Dukezong, che sarà la nostra base per esplorare la natura nel Nord dello Yunnan.

Nella piazza principale turisti e fedeli fanno girare un’immensa ruota della preghiera dorata; un sentiero delimitato da bandiere della preghiera porta al Tempio della Gallina Bianca che domina la città dall’alto. Siamo nella stagione delle piogge e un venticello pungente porta alle narici un odore di umidità come fosse autunno, sebbene sia agosto, misto alla fragranza di carne di yak arrosto. Casette in legno dalle finestre colorate fiancheggiano le vie e sembra che lottino contro il cielo di piombo. Gli stupa bianchi al centro delle piazze sono adorni di bandiere colorate e circondati da chi si genuflette e da chi fotografa.

Una cultura unica

Sebbene sia una prefettura tibetana e ovunque si vedano monaci in sai rossi e donne nei loro meravigliosi panni neri adorni di cinture di cuoio, grembiuli colorati e collane argentee, i vicoli sono abitati anche dai cinesi han – i cinesi come li conosciamo – e i naxi, etnia di montagna, in gonne dai colori accesi e casacche rosse o fucsia, sul capo delle coppole simili a quelle dei nostri nonni. Provengono dall’Himalaya e parlano una lingua tibeto-birmana. Sono proprio due donne naxi a gestire l’ostello nel quale alloggiamo, costruito a mo’ di casa tibetana in legno nel quale si accede a piedi scalzi.

Offrono hamburger di yak e cibo coreano. “Coreano?” Chiedo sorpresa: sì, quell’omone dai lunghi capelli di pece alla reception è coreano, scopro.

“E cosa ci fai qui, a vendere kimchi in questo spigolo del tetto del mondo?” gli domando.

“Quindici anni fa ho girato la Cina con solo uno zaino in spalla. Giunto a Shangri-la mi sono innamorato del posto e di lei” – indica una delle due donne naxi. “Ci siamo sposati e abbiamo aperto questo ostello per i backpakers come me. Chissà che qualcun altro di questi avventori non decida di rimanere qui.” Sorridiamo alla sua insolita storia.

L’orizzonte perduto

Mi torna in mente il romanzo di James Hilton, Orizzonte Perduto, che il governo cinese dice essere ambientato proprio qui e nel quale i personaggi arrivano a Shangri-la per caso e vi rimangono per molto tempo, in questo luogo ai confini del mondo dove non si invecchia mai. Il libro gravita attorno al magico monastero, che secondo il PCC (Partito Comunista Cinese) sarebbe quello di Songzanli a 20 minuti da qui. A Shangri-la non si viene solo per conoscere i modi di vita dei tibetani, ma anche per la sconfinata natura dell’altopiano che lo circonda.

Il Parco Nazionale di Potatso

Il parco nazionale di Potatso si trova a un’ora di viaggio da Shangri-la. Noleggiamo una baoche, una macchina condivisa, e attraversiamo aride praterie abitate solo da pastori in abiti tradizionali e yak dal lanoso pelo bianco, nero o marrone. La natura qui è vasta, piatta, il cielo è così basso che sembra si possa toccare con un dito. Forse il famoso modo di dire è nato proprio in Tibet, dove non si può fare altro che essere felici. Tutto, dagli yak ai placidi specchi d’acqua, dagli sguardi compassionevoli dei locali agli dei e demoni dipinti sulle mura dei templi, esprime un senso di pace, di tutto è a posto.

Nel parco una navetta conduce a una passerella lignea che circumnaviga il lago centrale, sul quale si riflettono il cielo carico e gli abeti stagliati contro le colline di un verde intenso. Un cartello ci informa che siamo al metro 3600 sopra il livello del mare, ma si può arrivare ancora più su. Sulla riva i buoi tibetani ruminano nonostante la folla di turisti cinesi intenti a filmarli.

Inoltrarsi nella foresta

Oltre non c’è nulla e nessuno, se non qualche cespuglio e una sconfinata pianura che finirà dall’altra parte del Paese. Ci inoltriamo in un sentiero nella foresta, sugli aghi degli abeti si raccolgono cristalli d’acqua piovana e l’aria è pregna di odori alpini.

Shangri-la e il Potatso, un tempo appartenenti al proibito Tibet Centrale, sono ora visitabili grazie a un’astuta strategia di marketing del governo cinese che individuò nel monastero di Songzanli, antico di 400 anni, il luogo nel quale è ambientato il romanzo di James Hilton. Il nome da Zhongdian divenne Shangri-la e fu spostato politicamente nella provincia dello Yunnan, affinché fosse più accessibile ai turisti.

Area protetta delle Tre Gole Parallele

In otto ore di viaggio su vette e tornanti, attraversando Deqen, l’ultima cittadina dello Yunnan prima del Tibet vero e proprio, si raggiunge l’Area Protetta delle Tre Gole Parallele. I furgoncini, inclusi quelli in cui siamo, si superano spericolati e a ogni curva ci immagino rotolare giù negli strapiombi. Gli autisti sembrano immuni alla prudenza: si sorpassano come se fossimo in autostrada mentre gli altri visitatori, tutti cinesi, sonnecchiano tranquilli.

Ne vale la pena: le Tre Gole parallele sono un luogo unico in cui si affiancano i tre fiumi Jinsha, Nu e Lancang, altrimenti conosciuto come Mekong, che in tempi remoti si scavarono il proprio letto tra le cime himalayane. La natura qui è così estrema che le vette raggiungono i 6000 metri, mentre i canyon sono profondi 2000.

Oltre alla bellezza di questi tre fiumi che scorrono l’uno accanto all’altro prima di dividersi per sempre, la cosa più curiosa sono i villaggi abbarbicati sui lati dei monti. In essi vivono tibetani, naxi, lisu e bai i quali anziché costruire ponti, si agganciano a una fune e volano da una sponda all’altra, portando con sé ceste di verdura o gabbie con galline da rivendere al mercato.

La Gola del Salto della Tigre

Un altro luogo “ai limiti” è la Gola del Salto della Tigre. Si raggiunge in bus da Shangri-la o dalla città principale della zona, Lijiang (connessa al resto della Cina con il treno ad alta velocità). Patria dell’etnia naxi, fu fondata nel XIII secolo. Il suo antico centro storico dalle casette di legno tipiche dei naxi si dispiega ai piedi dell’Himalaya, le cui vette sono visibili dietro la coltre di caligine.

Da qui il bus ci porta alla gola più profonda del mondo nel quale il Jinsha, affluente del Fiume Azzurro, nato dai ghiacciai dell’Himalaya, si riversa con una violenza tale da attirare ogni anno milioni di visitatori.  Una volta raggiunto l’ingresso si scende una serie di rampe sul fianco della scarpata che conducono a una balconata costruita a qualche centimetro dal fiume. Ribolle e sospira con violenza tra i massi, spruzzando sulle fotocamere dei turisti. Ha piovuto molto negli ultimi giorni e il fiume è gonfio e nervoso.

Il percorso

Il cielo è coperto e pare di sentire la torbidezza dell’umidità da stagione delle piogge. Le tonalità calmanti del rigoglioso verde dei monti contrastano con la schiuma sulla superficie del fiume. Visitatori in impermeabile fanno video al flusso agitato e si scattano selfie con la statua della tigre che domina la balconata.

Da qui parte un trekking lungo la gola che dura due giorni. La prima parte è la più faticosa: bisogna risalire le 28 curve fino alla tappa più alta e poi discendere all’Halfway Guest House, dove riposarsi. Il giorno seguente si continua su un sentiero regolare ma altrettanto pericoloso. Non esistono parapetti protettivi e la terra è friabile. Lungo la pista anziane donne naxi con le loro coppole offrono frutta, pannocchie e bibite. Come faranno a venire ogni giorno qui con tutto quel carico, mi chiedo?

La città dell’eterna primavera

Il capoluogo dello Yunnan, Kunming, è meglio conosciuto come “la città dell’eterna primavera”. Qui non esistono né inverno né estate: nonostante siamo appena più su del tropico del cancro, laria che spira dall’Himalaya rende il clima di questa città simile a quello dell’Eden. Ci tratteniamo solo un giorno, il tempo di fare un giro attorno al lago nel centro della città per vedere i fiori di loto nascere dalle pozze e di assaggiare i tagliolini al ponte, piatto tipico della zona. La proprietaria della bettola con le sedie in plastica ci serve dei noodles di riso in zuppa e un vassoio a forma di ponte sul quale ci sono carne cruda, sottaceti, ovetti e verdure varie da far scottare nella ciotola.

La foresta di pietra

Il giorno dopo ci spostiamo a Shilin, la Foresta di pietra, a circa 120 km. Gli affioramenti calcarei qui raccolti si formarono centinaia di milioni di anni fa dal mare che si ritirava. In questa infinità di tempo sono stati consumati e levigati dalle intemperie e oggi assumono forme spettacolari in un groviglio che assomiglia a una giungla. Sebbene si possano trovare queste colonne rocciose un po’ ovunque in zona, è nel parco a loro dedicato che si possono godere al meglio.

Passeggiamo per i sentieri sperando che quei massi in bilico sulle nostre teste non franino all’improvviso, ci arrampichiamo sulle scalette scavate al lato di un enorme roccia fin sulla cima, dove, protetti da una pagoda, ammiriamo questo mare di pietra dall’alto. Come in ogni luogo turistico in Cina, si può percorrere il perimetro esterno del parco in un autobus elettrico – che si ferma solo in due spot; se si hanno gambe buone è meglio proseguire a piedi lungo il percorso circolare o in quello scavato tra le rocce pericolanti. Veniamo avvolti da una vaga inquietudine in questo luogo sovrannaturale che sembra non appartenere al nostro pianeta mentre ci spostiamo tra i cunicoli con le rocce in bilico con i brividi lungo la schiena.

Ritorno a Shangri-la

Prima di partire vago ancora per le vie di Sangri-la incantata da questo miscuglio di culture ad alta quota: cinesi, tibetani, naxi. A ora di pranzo entro in un ristorantino. Le strette scale mi portano in una sala tappezzata di tanka – i dipinti sacri buddhisti – e nell’aria volteggiano le note dei mantra. Bisogna sfilarsi le scarpe prima di accedervi. Mi accomodo a gambe incrociate su una pila di tappeti che fungono da panca. Dalla grande finestra osservo il via vai di turisti e locali nei vicoli del centro, di traverso intravedo la piazza con lo stupa bianco e le bandiere delle preghiere tibetane che sventolano riempiendo l’aria di buoni auspici.

Oltre a me c’è solo una coppia di cinesi che si rivolge alla cuoca e cameriera in mandarino. “A Yi” – zia – l’apostrofo anche io. La donna dalle guance rubizze e la pelle scurita per il sole dell’altopiano mi sorride e gli occhi le si illuminano. È in abiti tradizionali: un’ampia gonna nera con una sorta di grembiule ricamato fissato da una cintura con pendagli d’argento. Al collo ha collane colorate e i capelli sono raccolti sul capo. Si muove concitata e a piedi scalzi tra la cucina e la sala.

La fine del viaggio

Ordino degli straccetti di carne di yak in salsa e riso bianco da mangiare con le bacchette. Quassù cinese e tibetano si mescolano, come l’idioma che fuoriesce dalle labbra della donna. È curiosa di sapere cosa ci fa una straniera solitaria che parla cinese a quota 3200. Mio fratello è in giro a scattare, ma lei non lo sa. “Sono venuta qui a vedere la natura dello Yunnan”, le rispondo.

“Non sono molti i turisti stranieri che si avventurano fin qui. Sono quasi tutti cinesi” mi risponde indicando la coppia dell’altro tavolo. “È bello sapere che qualcuno da così lontano è nel mio locale.” Come è ovvio: non è facile raggiungere questo luogo, tra vette impervie, tornanti percorsi da furgoncini pericolosi e altipiani brulli abitati solo da yak, in un’estate che non arriverà mai.

La zia tibetana torna in cucina, chiedendomi ogni tanto se il pranzo è di mio gradimento. Tantissimo, le rispondo. Non potrei essere più felice di così, al climax del viaggio, dopo aver attraversato le meraviglie naturali dello Yunnan, a gambe incrociate su una pila di tappeti e con gli “om” che fuoriescono dagli altoparlanti.

Info utili

Come arrivare

Per arrivare in Yunnan dall’Italia il modo più veloce è volare a Chengdu e prendere un volo interno. Si può anche prenotare un volo diretto per Shanghai, Pechino e Guangzhou e poi prendere un volo interno. Milano e Roma offrono voli diretti per le maggiori città cinesi. Nel paese ci si può anche spostare con i treni veloci fino a Lijiang, mentre nel nord dello Yunnan conviene prendere autobus o noleggiare una macchina.

Quando andare – Clima

Kunming è anche chiamata la città della primavera, le estati sono fresche e gli inverni miti. Per visitare l’altopiano tibetano, invece, il periodo migliore è tra settembre e ottobre, quando la stagione delle piogge è finita, o in primavera prima che inizi. 

Dove dormire

A Shangrila alloggiate a Tavern 42 per un’esperienza tibetana al 100%.

Dove mangiare

Tavern 42 oltre all’alloggio offre anche cibo tibetano e un delizioso hamburger di yak.

Suggerimenti per il viaggio

La Cina è un Paese sicuro e tranquillo, anche per viaggiatrici solitarie. L’unico problema che un turista straniero può incontrare è la lingua e in Yunnan poche persone parlano inglese. Consiglio di studiare qualche frase utile prima di partire, a meno che non ci si rivolga a una guida.

Si consiglia di utilizzare il tool di Trip, il migliore amico di chi si sposta in Cina, per prenotare voli, treni, bus e hotel.

Per info sugli eventi, festival e tour organizzati in Yunnan visitare il sito di WondersofYunnan.

Ulteriori info

Fuso orario: GMT +8

Documenti: Per visitare la Cina occorre avere un passaporto con validità superiore ai sei mesi e ottenere il visto turistico presso l’ambasciata cinese di Roma o i consolati di Milano e Firenze.

Vaccini: Non occorrono vaccini per la Cina.

Lingua: Cinese, Tibetano, lingue delle minoranze etniche – l’inglese è parlato solo nelle grandi città.

Religione: In Yunnan la lingua principale è il Buddhismo Tibetano

Valuta: Renminbi 

Elettricità: 110/220 volt – serve l’adattatore per la presa americana 

Testo di Alessandra Nitti Foto di Gianpaolo Nitti|Riproduzione riservata © Latitudeslife.com