Ucraina in treno: tra cosacchi e nostalgia sovietica

Andare nell’ovest dell’Ucraina è come fare un viaggio nel tempo. I castelli adagiati sulle rive dei fiumi raccontano le lotte tra i cosacchi e gli ottomani, l’indolenza degli abitanti e le Lada dell’Unione Sovietica ricordano un’epoca che si è da poco disgregata, l’università di Chernivtsi canta le glorie asburgiche e i monumenti di Ivano-Frankivsk commemorano i morti di ieri e di oggi. Secoli di storia compressi in questa regione di confine.

Testo di Alessandra Nitti foto di Eugene Khablenko

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Una fortezza dell’Ucraina Occidentale ©Eugene Khablenko

Il treno attraversa una notte autunnale e senza stelle, dal finestrino scorgo solo ombre che si alternano alle silhouette nere e tacite delle foreste di betulle. Stiamo tagliando in diagonale l’Ucraina, terra così piatta che pare essere stata stesa con il matterello. Il battito ritmico delle ruote sui binari sfilaccia il silenzio delle stazioni di campagna, poggiate solitarie su questo impasto ben steso come decorazioni con un lumicino a ricordare che ci sono anche loro.

Mi rilasso iniziando “Transeuropa Express”. Come me, anche Paolo Rumiz è nella cuccetta di un treno ucraino, ma di quelli vecchi, con i piedi dei dormienti penzoloni. È bello leggere le storie di chi è stato negli stessi posti prima di te. Da Kiev al Sud-Ovest del paese, al confine con la Romania, sono 12 ore di treno.

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Il treno in stazione a Kiev ©Eugene Khablenko

La soluzione migliore è quella di prenotare una cuccetta in una cabina per 4 in uno dei nuovissimi treni dotati di lenzuola pulite, cuscino con federa, riscaldamento e nonna-capotreno in ciabatte. Ogni vagone che attraversa le steppe orientali ha la sua amorevole babushka che distribuisce le lenzuola, controlla i biglietti e sta a guardia del samovar.

Mi sveglio alle 9 di mattina e la prima cosa che vedo sono ancora le betulle dalle cadenti foglie d’autunno fare da guardia ai binari. Siamo ormai alle soglie della prima grande città del viaggio, Ivano-Frankivsk, e piano piano spuntano industrie, container, mostri sovietici abbandonati. E poi periferie, case squadrate funzionali e brutte.

La nonna-capotreno sciabatta per le cabine e mi porge un bicchiere di vetro sfaccettato in un porta-bicchiere di peltro decorato con dentro del caffè solubile per soli 30 centesimi. Nostalgia sovietica. Il treno supera la città e si inoltra nella dolcezza delle colline. Spariscono le betulle e compaiono i villaggi. Più a ovest ci sono i Carpazi e oltre l’Unione Europea.

Chernivtsi: la Piccola Vienna

Direttamente sul binario della stazione di Chernivtsi, capoluogo della Bucovina, ci accolgono dei tassisti insistenti. Decliniamo: la città non è grande e i piedi sono sempre il mio mezzo preferito. Più che un viaggio nello spazio sembra di aver viaggiato nel tempo. Se non fosse per le mascherine penserei di essere finita negli anni ‘80. Per le vie circolano macchine vecchie di 40 anni che impregnano l’aria dei fumi di scarico.

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Foto di Free-Photos da Pixabay

I cavi elettrici penzolano dai pali sui marciapiedi o da un lato all’altro delle vie costeggiate di palazzi Mitteleuropei in decadenza. Eoni fa qui era Austria in tutto il suo splendore, ma oggi l’intonaco viene giù a pezzi e sembra che i balconi possano cadere da un momento all’altro. Noto che non esistono supermercati ma solo piccoli produkti – alimentari – e ristoranti dai nomi italiani.

Chernivtsi fu parte dell’impero austroungarico fino all’inizio del XX secolo per quasi 150 anni, dopo che l’imperatore la tolse al Principato di Moldavia. Di quest’ultimo non rimane molto, ma le influenze dei nostri cugini d’Oltralpe sono molte. Il Teatro dell’Opera è molto simile a quello di Fuerth in Germania e di fronte c’è una “Casa degli ebrei” con scritte in tedesco ed ebraico. Sulla Via Russa c’è una “Casa dei tedeschi”, una sorta di fondaco che oggi ospita mostre fotografiche.

Tra i palazzi in Art Nouveau del corso principale fa capolino una chiesa armena dai tetti argentei a punta, come se qualcuno l’avesse trapiantata qui da una campagna dell’est. La Piccola Vienna, come è chiamata Chernivtsi dai locali, è uno dei centri culturali e universitari più importanti dell’Ucraina e questo si rispecchia soprattutto nella bellissima università. Ha la forma di una I latina in mattoni rossi e piastrelle decorate, immerse in un parco da favola, commissionata dall’Imperatore Francesco Giuseppe I in occasione del centenario dell’annessione della Bucovina.

A Chernivtsi visse la poetessa Olha Kobylianska, conosciuta anche per il suo impegno femminista. È possibile visitare la sua casa-museo, dove appare ritratta con gli illustri colleghi dell’Ovest del Paese. È come se esistessero due Ucraine, quella dei samovar e delle pianure che ha partorito Bulgakov e Gogol e guardava alla Russia, e quella di montagna che disdegna i fratelli orientali e si aggrappa al suo melting pot polacco e tedesco. Kiev è in un altro mondo e la distanza mentale è come quella che divide Palermo da Bolzano.

I castelli, baluardo contro l’impero Ottomano

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©Eugene Khablenko

Storicamente l’Ucraina è sempre stata divisa in due. Se di là del Dniper era Russia, di qua la terra veniva contesa tra popoli diversi. E infatti è in questa zona che sorgono i castelli, come quelli di Khotin e Kaminiets-Podolski. Da Chernivsti si raggiunge Khotin in bus e qua conviene conoscere un po’ di lingua, perché non c’è altro modo di raggiungere il castello se non aspettando che un taxi passi per miracolo.

Vale però la pena visitare la fortezza sulle sponde Bessarabiche del fiume Dniester, spartiacque tra il territorio difeso dai cosacchi e quello degli ottomani. Oltre il fossato si accede alla fortezza ricostruita a museo: vi sono una mostra sugli strumenti di tortura, una sugli abiti e gli utensili dell’epoca, sulle armi e le divise di entrambi gli eserciti corredati da spiegazioni e immagini della grande battaglia tra Polacchi e Turchi nel XVII secolo, finita con un trattato di pace che diede agli islamici potere de facto per 99 anni.

Per queste terre ci sono passati un po’ tutti dal XIV secolo a oggi: polacchi-lituani, moldavi, rumeni, ottomani, austroungarici e infine sovietici dopo la prima guerra mondiale. All’esterno delle mura di cinta l’unico ristorante aperto mette in mostra una fumosa griglia sulla quale sfrigolano gli shashlik – grossi spiedini di carne – salsicce e verdure arrosto, che gustiamo accompagnate dallo kvass, una bibita analcolica di pane o cereali fermentati. A mezz’ora di macchina sorge Kaminiets-Podolski con il suo più famoso castello.

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Sulla griglia sfrigolano gli shashlik – grossi spiedini di carne – salsicce e verdure arrosto ©Eugene Khablenko

La città è un centro importante per il turismo locale. È stata costruita tra due burroni e a un’estremità sorge il castello in posizione di difesa. Quest’ultimo è più largo di quello di Khotin e più turistico. Nel cortile infatti ci sono persone in abiti medievali che gestiscono gli stand di carne grigliata o la panetteria a legna che richiama quella antica fatta di sterco e paglia, e persino un laboratorio di terracotta. All’interno, anche qui, esibizioni sugli strumenti di tortura, le armi e i costumi. Il mio compagno vi è già stato 16 anni fa e mi racconta le differenze tra l’Ucraina di allora e di oggi.

All’epoca la città era sporca e disordinata, al contrario di adesso che è lustra e attrezzata per il turismo, mentre il castello era vuoto e una delle torri crollata a terra. Non era altro che un punto con una bella vista sulla campagna circostante dove scattare foto. Ora le torri svettano appuntite tra i due burroni, nuove e splendenti. In città, come a Chernivtsi, si vedono macchine d’un altra epoca ma i palazzi mitteleuropei sono ben tenuti e hanno perso la patina di sporco e disordine tipica dell’Unione Sovietica.

Ivano-Frankivsk

Nell’Ovest dell’Ucraina i trasporti sono difficili, specie se in tempo di pandemia, e per gli spostamenti usiamo autobus antidiluviani che traballano sulle strade distrutte e l’asfalto sgretolato. Passiamo tra due file di case di campagna dai giardini disordinati pieni di zucche appena colte, signore col fazzoletto in campo e galline al lato della vita. Kiev, che nulla ha da invidiare alle città europee, sembra lontana milioni di anni. La stazione secondaria dei bus di Chernivtsi è un quadrato con bus scassati, pozzanghere nell’asfalto distrutto, cani randagi, baracchini di merce varia e un’umanità disperata.

Cerchiamo la biglietteria e una donna di mezza età con una sigaretta tra le labbra tinte ci dice “la biglietteria sono io.” Le chiediamo dove è il bus per Ivano Frankivsk. “Aspettatelo in strada e quando passa fermatelo con un cenno.” Arriva quasi un’ora dopo e quando proviamo a lamentarci ci informa laconicamente di “non essere in ritardo”. Qui è così e quelle lamiere su ruote sono il suo regno. Rassegnati, affrontiamo tre ore e mezza di scossoni, buche e disordinate case di campagna per arrivare nella Galizia (la Galizia ucraina fu la più grande, più popolata e più settentrionale delle province dell’Impero Austro-Ungarico, con Leopoli come capitale).

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Il centro di Ivano-Frankivsk Foto di annalika170 da Pixabay

Ivano-Frankivsk, così chiamata nel 1962 in onore dell’omonimo scrittore, è una città molto più ordinata e moderna di tutte quelle viste finora. Le chiese greco-cattoliche, polacche e ortodosse e gli innumerevoli caffè si allargano in cerchi concentrici intorno al Municipio, un’oscena costruzione che ha rimpiazzato di recente tutte quelle precedenti e ben più carine che si sono susseguite nella piazza dal 1500 a oggi. Ivano Frankivsk ama commemorare.

Commemora i poeti in lingua ucraina che in queste terre forgiavano il loro idioma, commemora i morti del parco-cimitero in mezzo alla città che dal XVIII secolo agli anni ’50 ha accolto i corpi di 5000 persone, fino a che i Sovietici non lo hanno desacralizzato. Commemora i 100 beati della Rivoluzione di Maidan, con statue a grandezza naturale, foto e biografie. Commemora, infine, i 27’000 ebrei che vivevano qui.

Di questi, si salvarono dagli invasori tedeschi solo 228. L’Ucraina dell’Ovest non era mai stata sotto l’influenza russa, al contrario di quella orientale, e c’era chi accolse erroneamente i tedeschi come salvatori dal giogo sovietico che voleva cancellare l’identità Ucraina. Se il russo a Odessa e nell’Est è la lingua più usata, nell’Ovest è condannato come la lingua dell’usurpatore. Il fiume Dnipro che attraversa Kiev non divide l’Ucraina solo fisicamente ma anche nella storia e nella lingua.

I Carpazi

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Foto di SofieLayla Thal da Pixabay

Ivano-Frankivsk è ai piedi dei Carpazi, l’unica catena montuosa del Paese. Ci lasciamo indietro le strade Mitteleuropee, le librerie e i caffè e ci inerpichiamo in autobus fino alla prossima meta, Yeremche. L’usuale panorama ucraino cambia: ai lati della via si stendono foreste di aghifoglie, le case hanno i tetti a punta e si alternano a chiesette di legno. I monti sono nascosti dalla fitta caligine di fine autunno. Yeremche è un luogo molto turistico nei mesi estivi o in quelli invernali, ciononostante l’inospitalità di qui ci disarma.

La cittadina è lasciata a se stessa, con i negozi abbandonati, le case costruite a metà, gli autobus che passano quando gli va e che chiedono ogni volta un prezzo diverso. Alloggiamo in una bella baita tutta di legno, ma con la porta rotta. Nella notte, durante la tempesta, un albero cade sulla linea telefonica e rimaniamo tutto il giorno senza internet, nei ristoranti manca sempre metà del menù e i tassisti non perdono occasione per tirare sul prezzo.

Ospitalità sovietica”, mi racconta il mio compagno. “All’epoca ognuno aveva la sua parte, erano tutti pagati dal governo e non c’era bisogno di impegnarsi nel proprio business per guadagnare. Le opzioni erano poche e per i clienti era prendere o lasciare. Mentre Kiev cerca di mettersi al pari delle sorelle europee, qui è tutto fermo agli anni ’70.”

Non importa, siamo qui per goderci la montagna. Ignoriamo un tizio con un’aquila al guinzaglio per le foto e ci inoltriamo tra sentieri fangosi e pietrisco, in mezzo ai boschi e al silenzio. Potremmo tornarci a gennaio, se farà una bella nevicata e se non ci sarà un secondo lockdown, ci diciamo. La natura è splendida, tra il silenzio interrotto dal mormorio del torrente e i punti di luce della pioggia sugli abeti. Ci concediamo qualche giorno di aria fresca prima di ritornare nella trafficata Kiev.

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I tetti della città di Lviv Foto di enelene da Pixabay

Anziché andare diretti verso la capitale, devieremo per la bellissima Lviv, Leopoli, a quattro passi dalla Polonia, per perderci tra i suoi vicoli ricchi di storia, le case dai tetti stretti e le decine di locali ognuno con un tema particolare, dalla House of Legend con una Lada sulla terrazza al Masoch, dove le cameriere servono vodka al peperoncino e frustate agli avventori. Ma questa è un’altra storia.

Infoutili

Come arrivare: l’Ucraina Occidentale è facilmente raggiungibile in macchina. Ci sono anche molti autobus che la collegano tutte le zone di Italia. Per Leopoli ci sono voli di linea diretti e impiegano solo un paio d’ore. Si può anche volare a Kiev e da lì raggiungere l’Ucraina Occidentale in treno, autobus o con blablacar.

Quando andare – Clima: i periodi migliori sono l’estate, calda e mite, e l’autunno per ammirare il foliage. In inverno nevica molto ed è un ottimo momento per andare sui Carpazi.

Dove dormire: Airbnb è largamente utilizzato ed economico, ci sono anche hotel e ostelli prenotabili dai maggiori siti di alloggi.

Fuso orario: UTC/GMT +2

Documenti: Per gli italiani è obbligatorio il passaporto ma non serve il visto per soggiorni fino ai 90 giorni

Vaccini: Non sono necessari vaccini (adesso in periodo covid-19 è necessaria un’assicurazione che copra il virus)

Lingua: l’ucraino è la lingua ufficiale, ma tutti parlano anche il russo. In alcune zone dell’ucraina occidentale è parlato anche il polacco, mentre l’inglese è utilizzato solo nelle città principali.

Religione: in prevalenza cristiana ortodossa e cristiana cattolica.

Valuta: grivnia ucraina

Elettricità: 220 V

Linkutili: Visit Ukraine, Lviv Travel, Ivano Frankivsk  

Testo di Alessandra Nitti foto di Eugene Khablenko | Riproduzione riservata © Latitudeslife.com