Questo è il ricordo di una piccola ma gradevole esperienza di viaggio di molti anni fa, quando ancora avevo molte cose per la testa e un futuro tutto da sondare e, soprattutto, da vivere.

Esperienza nata d’estate, stagione delle vacanze, in Liguria. Un giorno da navigatore e da pescatore dilettante con l’amico Pino, proprietario-gourmet di un albergo-ristorante e con il capitano (padrone della barca a motore) Gioachino detto Giuachin, che significa (ci tiene a dirlo) “dio riporta sulla retta via”. Lui nell’occasione si è limitato a portarci ad Alberga via mare, ignorando la via Aurelia.
Ma sì, con la barca!

Cosa si fa nelle giornate d’estate, quando il mare è come un olio e dai monti dell’entroterra ligure scende una brezza leggerissima che non scompone il pelo delle onde ma le accarezza sollevando impercettibili folate di salsedine profumata? Si va in barca.
L’idea di trascorrere un pomeriggio a pescare è venuta all’amico Pino; al mattino presto ha fatto una scappata al mercato del pesce di Genova, ha scelto quello che doveva scegliere per soddisfare la clientela del suo hotel; clientela che trascorre le vacanze qui non tanto per dormire e nuotare, quanto perché lui è un maniaco della cucina ed è specializzato in piatti di pesce.
Consegnato alla cucina il pescato di giornata e date le disposizioni del caso, dice che possiamo partire subito con la barca a motore del Giuachin che ci aspetta alla spiaggia dei Bagni Impero per far rotta verso Albenga, lungo l’ampio golfo che parte da Borgio Verezzi e allinea i vari centri della costa: Pietra Ligure, Loano e Toirano (il luogo delle famose grotte), quindi Borghetto Santo Spirito, Ceriale con la piccola pianura ampiamente coltivata specie nelle frazioni di San Giorgio e di Rollo, per giungere alla cittadina sul fiume Centa.
Partiamo, con una provvista di pane ruvido, piccole olive taggiasche, un po’ di capperi, sarde fresche che arrostiremo sul fornelletto a spirito che Giuachin ha sempre con sé e birra in abbondanza nella borsa-ghiaccio.
Pesca a piccola traina con filo a dito

Non saprei come altro descriverla, ignorante come sono in materia. Giuachin deve guidare la barca e non pescherà, quindi saremo io e Pino a legare all’indice di una mano il lungo filo che verrà rilasciato in mare con amo ed esca (un pesciolino metallico) alla fine.
Non aspettatevi di prendere grandi pesci, ammonisce Giuachin; qui non ce ne sono più molti. Profezia centrata al massimo, perché non ne prenderemo nemmeno uno piccolo, in due. Quand’anche avessimo pescato un minuscolo muovi-coda, l’accordo era di rimetterlo subito in acqua; tanto c’erano le sarde del mercato di Genova da gustare.
Che bella la pesca (si fa per dire) in mare! Siedo rilassato e alterno lo sguardo al sole d’occidente con quello sulla Riviera; i centri abitati orlano la costa e sembrano un unico grande agglomerato urbano; l’entroterra, con i monti, alterna zone illuminate ad altre buie e il cromatismo che ne deriva è perfetto.
Io continuo imperterrito a controllare il filo legato al mio dito e vedo, a una distanza di una ventina di metri, il pesciolino metallico che ogni tanto emerge dal pelo dell’acqua per subito scomparire di nuovo. Meno male che a una cert’ora leghiamo i fili agli scalmi della barca e Pino si mette a friggere le sarde, gustate poi in compagnia con tutto il resto, a motore spento, cullati dal dondolio discreto del natante.
Attorno all’isola di Gallinara

A inizio tramonto raggiugiamo l’isola di Gallinara, al largo di Albenga, di fronte ad Alassio. Giuachin ci informa che in questi fondali, a circa 40 metri di profondità, giace il relitto di una nave romana che trasportava oltre diecimila anfore, non si sa se di olio o di vino, aggiunge dubbioso; e la navigazione procede.
Gallinara sembra un piccolo igloo con l’ingresso a proboscide, oppure una specie di grossa tartaruga in cammino; ora appare molto grande, sotto costa. Un tempo l’isola sarà stata un rifugio sicuro per i Saraceni che razziavano gli abitati liguri, azzardo.
È molto di più, dice serio Giuachin; l’isola ha ospitato per quattro o cinque anni un personaggio del calibro di San Martino di Tours; quello che si è tagliato la veste per darla a un povero che aveva freddo? chiede veloce Pino. Si, lui, riprende Giuachin e subito traccia le tappe fondamentali della vita del Santo; una vita sempre in fuga, sino alla quiete di Gallinara.
Nato in Pannonia (l’odierna Ungheria) Martino ha combattuto tenacemente l’eresia Ariana condannata dal Concilio di Nicea (anno 325); per questo motivo ha dovuto lasciare anche altri paesi e città (la Francia, Milano) sino all’anno 357 quando raggiunge Gallinara, l’isola delle galline selvatiche e delle piante di elleboro.
Vi rimane per quattro anni in compagnia di un prete di grandi virtù e per un certo periodo anche di Ilario di Poitiers. Una leggenda locale racconta che avendo mangiato l’elleboro, ignorando fosse una pianta velenosa, Martino scampòla morte grazie alle sue intense preghiere. Cent’anni dopo la sua scomparsa, sull’isola ha trovato sede l’Abbazia di Santa Maria e San Martino.
Sbarco ad Albenga

Giuachin lega la barca a motore al molo del porticciolo del fiume Centa e se ne torna a casa, perché lui vive ad Albenga. Io e Pino, mentre ci dirigiamo verso il centro della città, dissertiamo sull’origine del nome di Albenga: dall’Albium Ingaunum dei Romani, ai successivi nomi di Albigauno, Albingano, Albengana, mamma quest’ultima dell’attuale Albenga.
Tu, gli dico, potresti essere un Ingauno, dato che i progenitori di questa tribù ligure abitavano la costa sino a Verezzi e alla Caprazoppa; ma potresti anche discendere da un Sabazio, tribù che risiedeva un po’ più in là: nel savonese; non potresti comunque discendere dai Vediantii che abitavano l’attuale zona di Nizza; troppo chic, per te!

Tra una risata e l’altra, reduci da una pesca infruttuosa, godiamo passo passo delle bellezze di Albenga: le Torri, la piazza Leoni, la cattedrale di San Michele, il battistero; in altre parole, il centro storico suggestivo e le molte architetture di epoca medievale.
Prima del ritorno in autobus a Borgio, gustiamo in un ristorantino del centro le frittelle di gianchetti, la focaccia col vino bianco Pigato e per finire qualche biscotto con semi di finocchietto, chiamati in dialetto “baxin” (bacini) di Albenga. Dal bus, le molte luci della costa e a destra, il buio intenso del mare.
Libertas Dicendi n°386 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com
Caro lettore,
Latitudes è una testata indipendente, gratis e accessibile a tutti. Ogni giorno produciamo articoli e foto di qualità perché crediamo nel giornalismo come missione. La nostra è una voce libera, ma la scelta di non avere un editore forte cui dare conto comporta che i nostri proventi siano solo quelli della pubblicità, oggi in gravissima crisi. Per questo motivo ti chiediamo di supportarci, con una piccola donazione a partire da 1 euro.
Il tuo gesto ci permetterà di continuare a fare il nostro lavoro con la professionalità che ci ha sempre contraddistinto. E con lo stesso coraggio che ormai da 10 anni ci rende orgogliosi di quello facciamo. Grazie.