Racconti d’Irlanda. Parla l’autrice Vanessa Marenco

Racconti d'IrlandaClasse 1980 e passione incondizionata per i viaggi. Vanessa Marenco è una scrittrice esordiente ma la sua penna conquista sin dalla prime righe. Trasparenza, schiettezza, immediatezza, questi i tratti dei suoi racconti, tutti nati da storie vere e da esperienze vissute sulla propria pelle.
Conosciuta sul Web grazie al suo blog Skadorina’s Travels, Vanessa ha visitato mezzo mondo, ma l’Irlanda, dove ha vissuto per 8 anni, le ha migliorato la vita e come dice lei stessa le ha “insegnato a guidare dell’altra parte della strada”. Metafora, si, ma anche pura realtà.
Il suo libro “Racconti d’Irlanda”, di recente pubblicazione Polaris, sta ottenendo consensi a destra e a manca. Una delle ragioni è sicuramente l’entusiasmo che traspare dai suoi racconti di vita quotidiana e dalla dote naturale di passare dai toni leggeri di un aneddoto al pub, alle riflessioni sui cambiamenti politici in corso. A tu per tu con Vanessa.

Partiamo dal principio. Perché questo libro?

“Racconti d’Irlanda” è una lettera d’amore per una nazione che ho visto cambiare nel corso degli anni. L’Irlanda mi ha migliorato la vita e mi ha donato possibilità che, in quei precisi momenti, l’Italia forse non mi avrebbe potuto dare. Il mio libro è quindi anche una professione di entusiasmo nella vita all’estero: fai fatica con la lingua, almeno all’inizio, ma ti impegni e le cose cambiano, ed impari valori e tradizioni che altrimenti ti sarebbero precluse. “Racconti d’Irlanda” narra di quotidiani e grandi cambiamenti, come ad esempio imparare a guidare “dall’altra parte della strada”, oppure il confrontarsi con vicende storiche complesse come quelle dell’Ulster.
Questa lunga esperienza irlandese è stata per me il dono di una, due, tre, mille vite differenti che mi hanno cambiata per sempre. In inglese, si parla di inbetweenness: un po’ paradossalmente, io dentro sarò sempre un po’ italiana, ed un po’ irlandese.

Beara Peninsula-foto di Vanessa MarencoCom’è nata la tua passione per l’Irlanda?

Il legame con l’Irlanda inizia presto. Fino alla fine del liceo, ho vissuto in un piccolo comune della provincia savonese, ma a 18 anni parto e vado a Dublino per frequentare un corso estivo di lingua. È l’agosto del 1998, il 15 scoppia ad Omagh l’ultima bomba dell’IRA. Poi, l’università a Torino, dove studio lingue perché mi era già ovvio allora che la vita non sarebbe stata immobile. Durante le pause estive dagli esami, faccio la ragazza alla pari a Limerick, dove non solo faccio l’Erasmus ma dove torno a vivere per 8 anni nel 2004.

L’Irlanda non solo mi fa crescere professionalmente, ma mi fa letteralmente perdere la testa: lì incontro alcuni dei miei più cari amici che restano ancora nonostante le distanze geografiche; lì vedo il Burren, lì c’è l’oceano Atlantico, e c’è la musica ovunque. Sulla mia Punto nera, molto scassata, vado ovunque in Irlanda e sotto i suoi cieli mi perdo, ma forse alla fine mi sono anche trovata.

Limerick-foto di Vanessa MarencoPerché viaggiare?

Perché secondo me viaggiare vuol dire essere curiosi, credere nell’Altro, avere speranza che quello che c’è al di là del confine sia interessante e così incredibilmente simile a te. I momenti più belli dei miei viaggi – inclusi quelli in Irlanda – sono stati proprio quelli in cui mi perdevo volontariamente:  come racconto in una delle storie incluse nel libro, per imparare bene l’inglese i primi tempi che ero a Limerick prendevo dei bus a caso e giravo finché era valido il biglietto. Stavo a sentire le persone. Cercavo di imparare nuovi termini. Forse perdendomi alla fine mi sono anche trovata.

Qualche aneddoto divertente da raccontarci qui su due piedi?

Sicuramente il rapporto con la lingua. I bambini sono stati i maestri più spietati: mi correggevano l’accento, la grammatica, la sintassi senza alcun timore. Il più tenace di tutti è stato Colin, che ora ha quasi vent’anni e che considero come un fratello minore, ma che non sopportava che io non pronunciassi il suo nome in modo corretto, oppure che non sapessi cos’era un banana sandwich. La sua frase preferita era “I am not sure I know what you mean”. Era un killer senza cuore che però nel giro di un paio di settimane riuscì a insegnarmi molto di più di quanto era riportato in quell’ostile libro di grammatica contro cui sbattevo da anni.

Costa nordirlandese-foto di Vanessa MarencoIl racconto dedicato a Belfast ha qualcosa di diverso rispetto agli altri. Ti va di spiegarci perché?

Il terzo racconto si intitola “Frammenti di Belfast” ed  è un po’ strano se lo paragoni agli altri, perché faccio parlare in prima persona chi ha vissuto quelli che sono definiti i “Troubles” in Irlanda del Nord, e poi parlo io. Vorrei che venisse fuori dall’articolo – se vorrai e potrai – che il libro affronta anche temi più impegnativi.

Nell’Ulster, ci sono stata molte volte nel corso degli anni – da sola, con amici della repubblica irlandese e con chi mi veniva a trovare dall’estero. Racconto dei cambiamenti che, da una parte della guerra e dall’altra, possono piombare addosso alle famiglie, racconto dei miei dialoghi con i taxisti di Falls Road e quelli di Kendal Street, del Muro della Pace, dei piccioni che si appoggiano sulla statua della regina Victoria.

Citazioni del racconto:

It’s all good”.Va tutto bene.
Sembra un po’ una presa in giro, no? E’ una frase dipinta in rosso, che mi compare davanti quasi ogni giorno durante la mia passeggiata pomeridiana alla fine, dopo tutti i murales, lungo il Muro della Pace.
Loro. Noi.
Mi ricordo ancora quando qui non c’erano tutti questi turisti che girano attorno alle nostre case e fanno foto probabilmente sfocate ai murales e alle placche che ricordano le nostre stragi, le loro morti. Chissà cosa pensano, mi chiedo spesso. Chissà se l’hanno compreso fino in fondo il motivo di tutta questa distruzione. Io non l’ho mai capito.

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