Tanzania parchi del nord: per uno scatto…felino

Dal cratere di Ngorongoro ai grandi Parchi dei safari, sogno di turisti e appassionati di fotografia in cerca dello scatto unico, la Tanzania offre le sue meraviglie. Cercando di fare convivere il turismo e le sue risorse economiche con il rispetto dell’ambiente in un difficile equilibrio.

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Il punto di partenza di tutti i safari è Arusha, porta d’accesso ai parchi nazionali. Simon, driver e guida con anni di esperienza tra i parchi di Tanzania, Mozambico e Malawi, mi accompagnerà a bordo di una jeep perfettamente attrezzata per i safari. Parla un inglese dall’inconfondibile accento africano e lungo la strada racconta un po’ del suo paese, dei famosi parchi e di ciò che la Tanzania ha da offrire. Il Parco Nazionale Tarangire prende il nome dal fiume che lo attraversa, che in lingua Mbugwe significa fiume dei facoceri. Lungo la strada è un continuo alternarsi di villaggi composti da case in legno e piccoli mercati, in una pianura abbastanza desolata. La vista dei primi baobab illuminati dai colori del tramonto fa tornare alla mente mente quella leggenda che racconta di quando il baobab era il più bell’albero della terra ma si lamentava sempre con Dio perché voleva essere ancora più bello. Dio sopportò a lungo finché un giorno, stanco delle lamentele, prese l’albero per la folta chioma e la infilò nel terreno lasciando le radici verso il cielo.

Vedere i primi branchi di gnu e zebre seguiti da una mandria di elefanti con i piccoli è un’esperienza difficile da raccontare, solo chi l’ha vissuta può capire. Un brivido che colpisce inaspettato come sentire, improvvisa, una voce impossibile da dimenticare ma subito riconoscibile: il ruggito di un leone maschio che attraversa il letto del fiume in secca con due cuccioli.

Il cratere di Ngorongoro occupa una superficie di 300 kmq lungo i quali si alternano ambienti differenti come la savana, la palude e la foresta, in questo modo ogni specie riesce trovare l’ambiente favorevole alla propria sopravvivenza. Gli elefanti, ad esempio, hanno l’abitudine di risalire le pendici del cratere durante la notte per cercare di riposare appoggiandosi sul fianco contro le pareti della montagna. Rinoceronti ed ippopotami risiedono in questa natura incontaminata mentre gli erbivori transitano da Ngorongoro solamente durante la grande migrazione.

Decine di jeep dei vari operatori locali si affollano sulle ‘prede’ più interessanti e il solo fatto che ci sia un gruppo di macchine ferme rappresenta il segnale che c’è qualcosa da vedere. Dalle auto spuntano teste, mani e decine di macchine fotografiche, obiettivi, cannocchiali e telefonini. È un po’ sconfortante rendersi conto di come la grande Africa sia alla portata del turismo di massa, paradossalmente però è anche attraverso i fondi che quei turisti portano che passa la salvezza di questi ambienti. All’interno del parco le regole sono molto rigide. Non è consentito scendere dalle auto, non si possono lasciare i sentieri tracciati e nessuna jeep è ammessa dopo il tramonto, alle sei del pomeriggio, infatti, tutte le auto devono lasciare il cratere. Essendo la Tanzania di poco al di sotto dell’equatore, l’oscurità avvolge velocemente il cratere che offre ogni giorno, al momento del tramonto, uno spettacolo di colori osservabile dall’altura dove si trovano tutti i lodge. Sono tati costruiti a 2300 metri d’altitudine e l’escursione termica è notevole, soprattutto dal tramonto fino all’alba, quando il termometro segna 2-3 gradi sopra lo 0, mentre di giorno è facile raggiungere il 30 °C.

Jumbo (ciao), Hakuna Matata (nessun problema), Karibu (benvenuto) sono le parole in lingua locale che risuonano sulla bocca di tutti. I locali le usano per dimostrarsi amichevoli mentre i turisti per dar prova di aver appreso qualcosa sulla cultura locale. La realtà però è che in entrambi i casi se ne abusa privando della sua tipica magia il straordinario suono della lingua Swahili.

Prima di iniziare la discesa verso la pianura sottostante, bisogna percorrere il rim, l’anello, del cratere. La zona che si attraversa è coperta di foresta primaria umida, che la mattina è sempre avvolta dalla nebbia e dalle nuvole basse che restano intrappolate dalle cime degli alberi, zona in cui è facile incontrare pastori Maasai con le loro mandrie di bestiame. Una presenza che si fa più costante maggiormente ci si avvicina alla pianura. Alti, con lo sguardo austero, avvolti nelle loro coperte rosse per proteggersi dal freddo pungente della notte, sono gli unici che hanno il permesso di condurre attività produttive all’interno dei parchi Nazionali. Vivono in villaggi circolari protetti da arbusti e, per assicurarsi qualche entrata in più, hanno pensato di aprire i loro villaggi ai turisti (possono chiedere fino a 50 USD a persona per entrare e assistere a uno spettacolo di danze tribali) che quindi sciamano in massa tra le capanne di sterco e paglia con zainetto in spalla e macchina fotografica al collo, spesso vestiti come Alberto Sordi nel film ” Riusciranno i nostri eroi…” Non è un bello spettacolo, è vero, ma se pensiamo alle molte necessità di questa popolazione bisogna riconoscere che i soldi degli stranieri contribuiscono a portare avanti un’economia altrimenti incerta. Il denaro viene infatti raccolto da un responsabile dei villaggi e poi ridistribuito secondo le necessità ed equamente a tutte le comunità della regione.

La Olduvai Gorge, che viene definita dalle guide locali la “culla dell’umanità”, vale una sosta. Si tratta un canyon che riporta tracce di presenza umana e animale antiche di due milioni di anni, un vero paradiso per gli archeologi. Annesso si trova anche un piccolo museo ben organizzato, considerando che si trova nel mezzo del nulla, ed abbastanza curato. Il parco nazionale di Serengeti, che in swahili significa pianura infinita, occupa 15 mila chilometri quadrati, ben tre volte la superficie della Liguria. Una distesa infinita a perdita d’occhio dove si alternano ambienti diversi tra loro, la piana arida, il bosco di acacie, la palude con macchie di palme e pozze di fango che rappresentano il regno di ippopotami e stormi di uccelli. Serengeti è uno dei pochi spot di tutto il continente africano dove c’è la certezza di vedere i grandi branchi di erbivori al pascolo e, spesso, i predatori in azione. La vita è ovunque, basta saperla scorgere tra vegetazione e radure. Ogni animale ha straordinarie capacità mimetiche, le giraffe ad esempio, nonostante siano tra i più grandi erbivori della savana, non è semplice notarle mentre si nutrono di gemme tra le chiome delle acacie. Per fortuna Simon, ha una vista infallibile, talvolta sorprendente e mentre guida riesce a individuare una sagoma a centinaia di metri.

All’interno dei parchi sono disponibili molte soluzioni per passare la notte, si va dai campi tendati ai lodge di lusso. Il Lobo Lodge, ad esempio, è una costruzione dalle ardite forme architettoniche perfettamente integrata con la natura, in legno e pietra e costruita sulla sommità di un gigantesco Kopje, uno dei cumuli di roccia dove spesso si appostano i predatori per scrutare i movimenti di zebre, gnu e gazzelle. Osservare dalla sua terrazza la piana del Serengeti, al buio, ed ascoltare le voci degli animali dà una sensazione di magica quiete.

Il Parco Nazionale del Lago Manyara, infine, comprende l’omonimo lago, famoso per le acque alcaline e per ospitare una grande colonia di fenicotteri rosa. Il parco è abitato anche da erbivori, elefanti e da moltissimi ippopotami. Particolarità di questo luogo è data dall’abitudine dei leoni che vi risiedono di arrampicarsi sugli alberi per sfuggire alla calura della pianura. Non è così facile avvistarli ma gli scenari selvaggi di questa parte d’Africa non possono che rimanere impressi nei ricordi di chiunque vi abbia poggiato gli occhi.

Testo e foto di Lucio Rossi

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