In una sfolgorante giornata d’estate mi sono addentrata in Valnerina. Il sole meridiano incendia come tante scaglie d’argento l’acqua dell’allegro e frettoloso fiumicello, la Nera, che presto però rallenta la corsa: da cristallino diventa biancheggiante per le acque del fiume Velino che vi ricade dentro formando le cascate delle Marmore. Qui il paesaggio è idilliaco ridente di mille colori: le acque cadono a piombo per ottanta metri e poi per altri ottanta si frantumano in cascatelle, levigando le rocce e vestendole di piccolo muschio.
Alle cascate ci si arriva da Terni, città amena e accogliente posta nel mezzo della fertile pianura con intorno l’anfiteatro dei monti d’Amelia, i Martani e le colline di Narni. La città è ricca di antichità. Fu splendido municipio romano e ancor oggi sono visibili i resti dell’anfiteatro e delle mura che se ne possono seguire un lungo tratto. Il trascorre dei secoli, passeggiando per le strade del centro storico, è palpabile dalla vista dei suoi edifici: medievali, rinascimentali, seicenteschi e molti altri nobiliari. Il giardino pubblico è magnifico, molto grande e nel momento del tramonto, quando tutto il cielo si colora di rosa e l’oro, le colline intorno brillano e l’aria è fresca e piacevole.
Lasciata la città, la valle offre rocce, prati, boscaglie, casolari, ruderi fino a giungere a Ferentillo dove, poco lontano, mi viene incontro l’Abbazia di S. Pietro in Valle, antico eremo del IV sec. Ferentillo ha due antiche personalità una di fronte all’altra e il fiume Nera è l’argentata riga di separazione. Una dorsale si chiama Matterella, circondata da un fitto bosco e mura difensive mentre l’altra Precetto, ha un borgo di casette montane e strette vie erte e sassose.
Visito la Collegiata di Santa Maria, il rinascimentale palazzo Motholon e la Chiesa di Sento Stefano che si erge ai piedi della gran montagna. Questa chiesa racchiude, in una lunga cripta che prende luce da finestrelle, un museo noto in tutto il mondo di corpi perfettamente mummificati naturalmente e conservati in polverose vetrine. Tornata all’aperto mi scrollo di dosso l’aria mortifera poco prima respirata e parto per Narni, dove mi fermo alcuni giorni. Il fiume Nera mi accompagna passando ai piedi del colle sul quale si erge la cittadina: nel punto più largo e pittoresco scorgo l’avanzo imponente del ponte romano di Augusto sopra il quale vi passava la via Flaminia.
La strada sale a tornanti fino a giungere nel cuore dell’abitato: nella vasta Piazza Garibaldi costruita in pendenza. Vicino c’è l’antico Duomo dedicato a San Giovenale. In prossimità di Porta della Fiera mi indicano la casa natale del capitano di ventura Erasmo da Narni detto il Gattamelata per i suoi modi garbati e la grande furberia: fu un grande condottiero e Donatello gli fece uno dei più spettacolari monumenti equestri in Padova.
Narni fa sfoggio di tante vie pittoresche nelle quali perdersi per tornare indietro nel tempo così, salgo in cima per raggiungere la Rocca Albornoz. Arranco lungo una viuzza stretta tra casupole antiche e affumicate: quando giungo lassù mi pare di toccare il cielo e si domina mezzo mondo. La Rocca è poderosa anche se non più intatta nei muri e fu costruita dal terribile Cardinale Albornoz a minaccia delle città soggette al dominio papale. La Rocca ha il carattere di una classica fortezza militare: luogo di potenza e terrore che ancor oggi sprigiona. All’interno dei vasti locali vuoti risuona solo il mio passo e dai grandi finestroni filtrano fasci polverosi di luce.
Mi avvicino ad uno di questi: il mio sguardo incontra un cielo di un pallido azzurro e in fondo, tra la verde campagna, il correre lento della Nera che più avanti gira il colle per scomparire alla mia vista. Questa valle con i suoi antichi paesi, le chiese, i palazzi, le piccole vie, le piazze soleggiate, ha il linguaggio della bellezza eterna che si sprigiona ad ogni colpo d’occhio, invitandomi a sostare per donare al mio spirito un più largo respiro.
Testo e foto di Patrizia Berardo