Sing Sing. L’altra faccia di Papua

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Centinaia di tribù che parlano 800 lingue, circa un terzo degli idiomi indigeni di tutto il mondo: Papua conserva un patrimonio tradizionale ineguagliabile e ben conservato. A settembre le etnie tribali locali mostrano le loro danze, la loro musica e i loro costumi nel Sing Sing, un grande evento culturale, oggi vera e propria attrazione turistica.

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In termini geografici l’Oceania include l’Australia, la Tasmania, le isole maggiori di Nuova Guinea e Nuova Zelanda e un numero grandissimo di isole minori, arcipelaghi e atolli dispersi nell’immensità dell’oceano, raggruppati nella Melanesia, nella Micronesia, e nella Polinesia. Il popolamento umano di quest’area, iniziato intorno a 40.000 anni fa, si è articolato in ondate migratorie successive di gruppi provenienti dall’Asia sud-orientale. La grande varietà geografica di Papua Nuova Guinea è alla base di una ricca biodiversità, che a sua volta ha dato origine a un’immensa diversità culturale: in un paese grande all’incirca come la Svezia si parlano più di 800 tra lingue ed idiomi. Politicamente l’isola della Nuova Guinea oggi è divisa tra lo stato indipendente nel  Commonwealth inglese di Papua Nuova Guinea classificato come parte dell’ Oceania, e quello asiatico-oceaniano dell’ Indonesia cioè regione dell’ Irian Jaya.

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Colonizzata da Olanda, Prussia e Gran Bretagna, dopo varie vicissitudini la metà orientale ottenne l’autogoverno nel 1973 e la piena indipendenza, con il nome di Papua Nuova Guinea, il 16 settembre del 1975.  In quell’occasione fu adottato come inno nazionale ufficiale “O arise all you sons of this land “ cioè “Sorgete tutti, o figli di questa terra”.  L’evento in cui si possono conoscere a fondo le tribù della Papua Nuova Guinea  è il Sing Sing (il nome dato dai locali) o Goroka Show un meeting tribale  tenuto ogni anno a Goroka  a metà settembre. L’appuntamento è con circa 100 tribù che mostrano la loro musica, le loro danze, le loro decorazioni i travestimenti, ma anche i loro “war paint” o segni visivi di guerra. Penne luminose di uccelli tropicali, piercing, collane d’osso ornate di foglie e tintinnanti conchiglie, si mescolano nelle tradizioni e nei messaggi visivi di queste popolazioni; i volti dipinti determinano un linguaggio incomprensibile agli occidentali, ma suggestivo sapendo che ogni singolo elemento o colore determina uno stato d’animo, un presagio, una credenza, una superstizione, una posizione di predominanza maschile nel controllo della vita sociale e rituale.

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La cultura dei gruppi papua, infatti ruota intorno a rituali maschili che esaltano la fertilità virile e, con essa, il potere del gruppo: gli uomini si esibiscono in competizioni di prestigio sul numero di maiali da scambiare o da sacrificare, sulla grandezza dei tuberi con valenze falliche e in spettacolari danze in cui sfoggiano vistose maschere, pitture corporali e acconciature di piume.  Gli aspetti “ornamentali” caratterizzano e distinguono ciascun gruppo, e così le elaborate acconciature, le pitture corporali e le cromie facciali, maschere e costumi di varia foggia, monili, perline, conchiglie e l’uso di piume si rifanno a criteri peculiari di bellezza e di identità. Cacciatori per sopravvivenza e sostenitori di un percorso di vita con regole immodificabili. Superstiziosi e vanitosi allo stesso tempo. Creatori di modifiche corporali con frammenti di conchiglie, fiori e piante ornamentali.

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Tessitori di tessuti con fibra naturale e creatori di file interminabili di perline colorate. Gli ornamenti stessi, incisi sui corpi, o le perforazioni dei lobi o della cartilagine del setto nasale, sottolineano e ribadiscono le differenze tra generi, così come possono indicare l’appartenenza a un clan o le destinazioni di rango. E i “wigmen” o “uomini-parrucca” per via delle imponenti acconciature, vere e proprie parrucche che ogni guerriero inizia ad approntare con i propri capelli negli anni di preparazione alla vita adulta,  indicano che la perseveranza e la dedizione non ha età. Così come la semplicità delle protezioni in fibra vegetale non teme paragoni con la modernità.

 

Testo di Giuseppe De Santis foto di Gianni Barili http://www.giannibarili.it/

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