Stefano Pensotti, visioni d’autore

Come nascono le fotografie? Stefano Pensotti ci conduce in un racconto visionario attraverso le immagini più significative prodotte nei suoi numerosi viaggi. Le pagine a seguire sono un invito a scoprire l’idea, le storie, l’esperienza che sottendono il lavoro di un bravo fotografo nella sua interpretazione del mondo.

Il proliferare di “fotografi istintivi” (l’ho visto, mi piace, scatto), evidenzia un aspetto legato non alle conoscenze tecnico – linguistiche, ma ad aspetti più personali, ai motivi per cui si fotografa. La gran parte dei “fotografi” opera senza porsi il problema dall’idea, del progetto fotografico: continua a scattare senza farsi alcuna domanda, senza interrogarsi sul cosa, il come ed il perché. Quello che manca è l’intento di comunicare, con logica e chiarezza, l’idea scelta dal fotografo, attraverso un complesso coerente di immagini fotografiche finalizzate a esprimere la propria idea.

Il nostro immaginario è ormai saturo di inquadrature e soggetti che per questo diventano modelli per le nostre fotografie: è l’occhio che si abitua a certi tipi di composizione, e così, inconsapevolmente, produciamo immagini ripetitive, simili tra loro, immagini noiose. La verità è che parole come creatività, individualità, talento e originalità non si applicano facilmente in un mondo dove chiunque scatta fotografie. La fotografia ha un senso quando trova soggetti davvero originali, quando è la narrazione del mondo, la vera arte della fotocamera sta nello svelare qualcosa di nuovo, di personale, di rivelatorio.

La narrazione non è mai il riportare fedele della realtà, in quanto la percezione di quest’ultima è soggetta all’interpretazione dell’osservatore. Ciò che è nella mia realtà è una selezione interpretativa della realtà. Non esiste una realtà universale ed un unico modo di percepirla; la realtà è relativa alla percezione che ognuno ha di essa e il suo significato è strettamente personale, sociale e culturale. Narrare rappresenta, quindi, un’operazione di consapevolezza in quanto equivale a costruire una propria visione di se stessi e del mondo: sono io come narratore che, nel momento in cui racconto qualcosa, opero una selezione, un’organizzazione del materiale disponibile. La maggior parte dei fotoamatori pensa che la propria missione consista nel fotografare dei soggetti, ma quelli stanno lì, basta passare e fare clic. La fotografia è ben altro, è scoprire il lato oscuro del mondo, dare rappresentabilità alle emozioni, espandere l’immaginario e il sogno, e per far questo non occorre poi tanta tecnica, occorre soprattutto lavorare su se stessi, esercitarsi a pensare. Scegliere soggetto e momento, determinare consapevolmente l’emozione che l’immagine può trasmettere, dare significato alle cose.

Questo è uno dei possibili approcci creativi alla fotografia, dell’uso di uno apparecchio fotografico che vada oltre alla piana documentazione. In questo modo la fotografia va ben oltre all’esercizio puramente tecnico, si propone come mezzo per penetrare al fondo delle cose, per enucleare quanto sfugge alla visione, per creare magiche sintesi del mondo.

Ma le idee purtroppo non si comprano nei negozi di ottica come gli obiettivi ultra luminosi o le fotocamere ultra sensibili. Occorre cercarsele, con fasi di studio, di riflessione, di approfondimento, da condurre con la lettura, la discussione, il confronto, l’analisi. Faticoso ma tutto ciò rappresenta la base imprescindibile per la riuscita di un discorso.

Solo dopo aver studiato a fondo il proprio soggetto, dopo aver chiarito l’idea guida che deve giustificare un certo approccio, dopo esserci lungamente confrontati con essa, dopo aver vissuto, solo dopo questo sarà possibile iniziare a costruire una impalcatura sufficientemente organica che giustifichi il fare.

Occorre avere delle idee, dicevo, possibilmente molte. Ma spesso troppe idee rischiano di rivelarsi contrastanti e di creare confusione: occorre dunque scegliere quelle che meglio si adattano allo scopo che si vuole ottenere. Come fare?

Ci sono incontri, visioni, che si possono raccontare con una fotografia e altre che ne richiedono 30. E’ indispensabile prima di mettersi a fotografare, predisporsi uno schema, uno storyboard nel quale ogni idea e ogni momento ha la sua giusta collocazione, dimensione e opportunità.

Nella qualità estetica di una fotografia c’è anche l’intensità di uno stile, è vero anche che un rifiuto cosciente dello stile può diventare qualità estetica. Comunque resta il fatto che lo stile ha la sua parte, ma non porta a nessuna conclusione a priori. Alla fine, sarà la somma degli ingredienti opportunamente trattati dal fotografo a determinare il carattere della sua comunicazione. Un processo del genere è implicito, è un’abitudine acquisita, cosciente e soprattutto costante. Si può anche aggiungere che ogni scatto deve avere una giustificazione e deve esprimere qualcosa in modo chiaro, comprensibile a tutti. Occorre che l’immagine proposta sia universalmente comprensibile entro l’ambito della cultura in cui ci si colloca evitando artifici che tendono a porsi al di fuori di un linguaggio universale. L’uso dei mezzi espressivi dovrebbe essere finalizzato alla massima efficacia nei confronti della tipologia di spettatore a cui ci si vuole comunicare. Forme, masse, chiaroscuri, colori, linee, luci ed ombre, toni devono essere armonizzati sia nell’ambito del servizio che in consonanza con il tema affrontato.

Oltre tutto ciò importante è la concisione che richiede una fotografia senza fronzoli, la sincerità che è la diretta corrispondenza tra l’animo di chi fotografa e l’idea espressa, l’eleganza che è fatta soprattutto di discrezione, di semplicità, di adesione al tema affrontato, di naturalezza anche di fronte ad interventi operativi ardui.

Quando ammiriamo una “buona” immagine fotografica difficilmente immaginiamo tutto lo studio della scena che il fotografo ha fatto prima di scattare. Abbiamo smesso di pensare, ci affidiamo al nostro super apparecchio fotografico e alla buona sorte, ritornando al vecchio concetto in cui era la buona fotocamera a fare buone foto. Purtroppo non è così, l’immagine quella buona nasce prima nella nostra testa, e per realizzarla davvero, quella buona, ci sono molte azioni, molte scelte che dobbiamo fare prima di scattare. Le buone fotografie a differenza di quello che la maggior parte della gente crede, non nascono per casualità, e nemmeno all’inseguimento dell’attimo irripetibile, né tanto meno grazie alla super photocamera ultimo modello. Una buona immagine nasce nella testa, anche quando è del tutto casuale e improvvisa, come durante un reportage, dove non sempre si è consapevoli di cosa può apparire svoltando l’angolo.

Questo racconto delle storie dietro le fotografie vuole esplorare il modo in cui nascono le immagini, racconta degli spunti, delle idee, l’esperienza e gli eventi che si nascondono dietro ogni scatto, svelando una nuova e affascinante visione del lavoro del fotografo.

Uno sguardo sul “dietro le quinte” delle storie raccontate con le fotografie. Il come, gli spunti, le idee, la ricerca, l’esperienza e gli eventi che si nascondono dietro lo scatto, tutto quanto a svelare una diversa lettura del lavoro di un fotografo, frutto di incontri, di persone e luoghi, appunti per immagini raccolti duranti i suoi viaggi. Il perché e il come, il metodo operativo, ma anche le storie dentro le fotografie. Molti dei racconti sono spesso sorprendenti, se non hai ben presente come sia il lavoro di un fotografo di viaggio. Ti accorgi di come attorno ad una bellissima foto ci sia moltissima fatica fisica, tanto fango ed un pizzico di fortuna. Non troverai i dati tecnici delle foto (gli exif, o considerazioni sull’esposizione) trovi invece i racconti di come organizzare i viaggi e relazionarsi con le persone, e di quanta curiosità ed empatia provi per i soggetti e e le situazioni fotografate.

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Testo e foto d Stefano Pensotti | Riproduzione riservata Latitudeslife.com

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