Northern Territory, una storia vecchia come il mondo

La parola aborigena “Tjukurrpa” sta per “sogno, storia, legge”; tutto ciò che nasce e gravita attorno ai monoliti di Uluru e Kata Tjuta. Ma lungo il fantastico tragitto che conduce ad Alice Spring, sono molti altri i luoghi magici di questa terra antichissima…

 

 

 

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Il volo da Alice Spring ad Ayers Rock dura meno di un’ora. Per arrivare nel “cuore” storico ed etnico d’Australia (si ritornerà ad Alice con un fuoristrada) il breve tragitto è necessario e consente di dare uno sguardo al terreno che si sorvola. L’altezza non è eccessiva, il sole splende e di tanto in tanto l’aereo si infila in grosse nuvole bianche e soffici per subito uscire nella luce piena del pomeriggio. Il terreno, dunque. Deserto? Si, così è definito per convenzione, ma che splendido deserto! Il color grigio-beige è quello dominante, dappertutto, ma cambia tonalità man mano che il velivolo procede. L’uniformità cromatica viene d’improvviso spezzata da grosse cicatrici bruno-rossastre in corrispondenza di piccoli rilievi rocciosi, così come, sorvolando larghissimi torrenti in secca, i bordi di terra rossa sfumano in mille gradazioni differenti, interrotte da aree verdi: alberi, cespugli; ora macchie scure, ora di un verde tenue e appena percettibile. Ogni tanto, strisce di bianco si alternano ad altre color marrone e violaceo. I minerali contenuti e affioranti dalla terra sembrano un’immensa tavolozza pronta, con le sue innumerevoli tonalità, per essere impiegata nel dar vita a quello che impropriamente viene definito deserto. L’aereo scende e la striscia d’asfalto della pista appare quasi come un corpo estraneo, rispetto al panorama circostante. Ecco Ayers Rock, il luogo d’Australia che tutti conoscono per via dei celeberrimi monoliti. Siamo nell’ombelico del continente nel quale le “storie” e le infinite leggende di questo grande paese sono nate; dapprima non comprese e quasi derise, oggi oggetto di studio, di culto e di orgogliosa identificazione collettiva. Qui, nel centro Australia, il caldo si fa sentire, anche perché l’estate è ormai vicina.

  

 

 

Le emozioni di Uluru

Sono emozioni vissute e ripetute all’infinito nel corso degli anni, da milioni di persone arrivate qui da tutto il mondo. Gli uomini e le donne osservano il “monumento” naturale stando in piedi, binocolo fra le mani, oppure seduti su panchette di legno a ridosso dei fili metallici che delimitano l’area che racchiude Uluru. Quasi tutti scattano foto a questo panettone di roccia rossa che sarà stato fotografato miliardi di volte; molti di loro sembrano assorti, quasi a seguire pensieri personali; non è poi così difficile arrivare a  percepire fisicamente l’atmosfera di  partecipazione che anima gran parte di questi moderni pellegrini protesi alla ricerca di segnali, visibili e invisibili, che permeano l’aria e pare provengano dal monolite, irradiandosi nel silenzio del tramonto. E’ questa l’ora magica nella quale il sole si diverte a dipingere di tinte fantasmagoriche la caratteristica montagna. Niente turba la sacralità personale del momento, anche se spesso la gente è quasi folla; anche se le auto e i pullman stazionano alle spalle dei visitatori e piccoli gruppi di aborigeni girano fra i turisti offrendo le solite cose: bevande come minuti oggetti propiziatori. Nella mente di ognuno prende corpo il fascino misterioso di questa collina massiccia, sulla quale e attorno alla quale innumerevoli generazioni di uomini e donne hanno lasciato i segni incisi nella roccia e le tradizioni orali di una vita primordiale e rigorosamente codificata, malgrado le apparenze. L’ultimo gruppo di aborigeni autenticamente “isolati”, è stato individuato nell’Australia occidentale attorno agli anni Sessanta del secolo scorso.

 

 

 

Parco Nazionale Uluru-Kata Tjuta

A una quarantina di chilometri da Uluru si trova Kata Tjuta. Nella lingua Anangu Pitjantjatjara significa “molte teste” e sono infatti 36 le rocce che emergono da un terreno lievemente ondulato e denso di alberi e cespugli; sono più basse rispetto ad Uluru e più estese, essendo collegate le une alle altre a formare piccole valli interne una delle quali, la Valle dei Venti, è percorribile per lunghi tratti e mai, consigliano quelli del parco, nelle ore più calde della giornata. Suggerimento valido in qualunque circostanza. La stessa roccia di Uluru è per così dire “prigioniera” delle mutazioni climatiche; il sole cocente, le sensibili variazioni di temperatura fra notte e giorno, modificano col trascorrere del tempo la superficie rotondeggiante della montagna. L’acqua poi, si raccoglie nelle coppe delle superfici più elevate e scendendo riga i costoni sino a formare laghetti interni fra le gole della base. Questo fenomeno naturale è visibile lungo il sentiero Mala Walk, specie nella suggestiva Kantju Gorge. Queste rocce sono sacre per gli aborigeni. La sacralità del luogo impone alcune forme esteriori di rispetto (niente foto, soste o passaggi in determinate aree segnalate) perché qui, da millenni, i progenitori hanno vissuto e seguito rituali di vita e di comportamento, tramandati attraverso innumerevoli generazioni sino ai nostri giorni.

 

 

 

Cultura Aborigena

Gli aborigeni Anangu sono i “proprietari”, dal 26 Ottobre del 1985, per riconoscimento formale del Governo Australiano, dell’area del Parco che si estende per 1325 chilometri quadrati. Ed è una proprietà che spetta loro di diritto, se consideriamo che la loro presenza in questa zona risale a ben 20, 30mila anni fa! E’ stato, naturalmente, un cammino lunghissimo in presenza di continui mutamenti geologici e climatici, di necessari adattamenti alla natura selvaggia dei luoghi. Gli inglesi sono giunti in Australia verso la fine del Settecento; gli studiosi hanno stimato che a quel tempo le differenti “lingue” aborigene fossero circa 300 e ben 250 le varianti dialettali. Oggi, nell’ intero continente, sono all’incirca 70 le varianti linguistiche impiegate. Qui, nei Territori del Nord, hanno avuto modo di “resistere” più che altrove, perché la presenza dei bianchi, che in altri luoghi ha annacquato l’idioma delle varie comunità, risale a un’ottantina d’anni fa. Tjukurrpa, parola tradotta talvolta impropriamente col vocabolo “sogno”, per gli Anangu sta ad indicare i periodi ancestrali nei quali il mondo era formato e popolato da esseri mitici “eruttati” dalle fenditure del terreno, emigrati poi per migliaia di chilometri prima di stabilirsi a Uluru, progenitori e padroni di uomini e territori. Il Centro Culturale del Parco condensa, per mezzo di un piccolo ma ben organizzato museo, questa lunga storia. Vi sono pannelli che mostrano le migrazioni e le presenze aborigene nell’area; sono in mostra oggetti di vita e d’uso quotidiano, filmati  e diorama che riproducono scampoli di vita, usanze, cerimonie. Un’altra cerimonia, spesso ripetuta per i turisti in visita, cerca di condensare la magia di questa terra e di questa gente. La “Sounds of Silence Night” (notte dei suoni e dei silenzi) si dipana al cospetto di un cielo stellato, mentre l’animatore racconta – illuminando con fasci di luce le costellazioni lontane – la favola sempre attuale di questo mondo esclusivo. Non manca il suono insieme lugubre e dolcissimo dello didjeridoo, il lungo corno, voce di richiamo e di preghiera degli aborigeni.

 

 

 

Sulla strada per Alice Spring 

Se Uluru e Kata Tjuta rappresentano il famosissimo “must” di questa immensa area dei Northern Territories, i percorsi montagnosi e vari che da Ayers Rock conducono ad Alice Spring costituiscono un’ulteriore elettrizzante esperienza di viaggio. Sono i monti MacDonnel Ranges che si sviluppano attorno alla Lasseter Highway e alla Luritja Road. Il fuoristrada è garanzia di comodità e sicurezza, anche quando la strada asfaltata lascia spazio a enormi nastri di terra rossa battuta e, con le necessarie deviazioni, a percorsi molto più accidentati e sassosi quanto basta! Tra le prime meraviglie naturali incontrate, ecco il Kings Canyon. Una catena di rocce che disegna una specie di ferro di cavallo, difficile e faticosa da percorrere, ma prodiga di panorami di intensa bellezza. E’ d’obbligo affrontare la camminata con le prime ore del mattino, perché quando il sole è alto, il continuo saliscendi fra le pietre di un sentiero appena tracciato, diventa, per molti, proibitivo. Alla base di questo canyon, c’è poi un secondo percorso che scorre fra una vegetazione rigogliosa e alcuni piccoli specchi d’acqua; itinerario, questo, accessibile anche per i diversamente abili.

 

 

 

Watarrka National Park 

Questa zona d’Australia è davvero incantevole. Non c’è traccia di abitazioni né di presenza umana per chilometri e chilometri; anche le auto che si incrociano sono rare. Chi la fa da padrone è una natura difficilmente riscontrabile altrove; selvaggia e nel contempo attraente. Nella vasta valle che si percorre, l’occhio spazia di continuo sulla grande muraglia di pareti di pietra che la delimitano sui due lati. Strapiombi vertiginosi formati da rocce dai cento colori che alla base della loro corsa verticale, affondano nella vegetazione essenziale del “bush”. La Mereenie Loap Road è tutta così; chilometri di strada sterrata e panorami resi vivi dalla presenza di un’avifauna ricchissima, nella quale è abbastanza frequente vedere anche aquile e falchi. Nei campi, oltre ai canguri che tuttavia prediligono le ore del tramonto o della notte, si vedono gruppi di cavalli in libertà. Per osservare i piccoli animali ogni sosta è buona; un’infinita varietà di piccoli pappagalli dai molti colori, una varietà incredibile di uccelli, quindi lucertole, iguane minute e curiosissime. Il Watarrka National Park, il cui nome in aborigeno si riferisce alla pianta a ombrello che qui cresce, è la terra dove abita la popolazione dei Luritja da oltre 20.000 anni; questa zona è stata scoperta nel 1872 dall’europeo Ernst Giles.

 

 

 

L’impressionante caldera della Tnorala 

Una deviazione di pochi chilometri conduce nel bel mezzo di una vera meraviglia della natura. Il fondo stradale è tortuoso e molto accidentato. La vegetazione è più fitta e cresce addirittura fra le crepe delle rocce che si alzano poi a formare un grande, imprevedibile cerchio. Non si ha immediatamente l’esatta percezione del luogo in cui ci si trova; tutt’attorno, alzando lo sguardo, si vede la cresta circolare dei monti che formano la caldera naturale. Mancassero le piante e gli arbusti, al contrario presenti in abbondanza, ci si troverebbe nel bel mezzo di uno spiazzo rotondo che misura circa cinque chilometri di diametro. Migliaia di anni addietro, il diametro era di una ventina di chilometri; questo grande “buco” è stato creato dalla caduta di un mostruoso meteorite o, sostengono alcuni esperti, da una stella cometa, entrambi attirati dalla gravità terrestre. Il Gosse Bluff, la caldera, è un vero spettacolo della natura e dà l’esatta dimensione della nostra pochezza.
 

 

 

 

Altri luoghi “incantati”, prima di Alice

La strada ora è più movimentata. Ai lunghi rettilinei si sostituiscono tratti di percorso più sinuosi, mano a mano che la valle si restringe. C’è un intermezzo imprevisto e graditissimo: la visione di un arcobaleno “doppio”, dato dalle rifrazioni di un cielo grigio cupo nello sfondo e da un altro in pieno sole che lo incalza. Naturalmente, con effetti grandiosi, come la natura impone! Alice Spring è sempre più vicina. E i luoghi che meritano una sosta sono davvero tanti. Ad esempio le gole di Glen Helen, scavate dal fiume Finke, sovrastato a sua volta da una bellissima cortina di rocce brunite. Oppure il lago di Ellery Creek Big Hole, frequentato dalle famigliole nella stagione calda, con l’acqua bordata da canneti palustri abitati da aironi. Oppure ancora la Ormiston Gorge, una montagna spaccata in due che alla base ha dato spazio a un laghetto dalle acque trasparenti. A poca distanza da Alice, infine, ecco la Simpson Gap, una gorgia che si infila tra le pareti torturate di roccia lungo il River Red Gums; grandi massi ai lati del fiume che presenta tuttavia ampie zone di finissima rena. L’arrivo ad Alice Spring, una cittadina moderna che è conscia del ruolo “guida” che la recente storia le ha assegnato, completa questa escursione memorabile. La natura, in tutte le sue più genuine e integre manifestazioni, è la grande attrazione di questo itinerario. E’ una parte vasta e affascinante dei Northern Territories, ma è pur sempre una piccola parte dell’immensa Australia. Ed è un vero privilegio aver potuto “viverla” così intensamente.
 

 

 

Testo di Federico Formignani       Foto di Lucio Rossi

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