Ecuador: gli occhi della foresta



Attraversata dall’Equatore, da qui deriva il suo nome, la Repubblica dell’Ecuador è un Paese che ammalia. Soprattutto se si desidera farsi abbracciare dalla foresta.

Si chiama Domingo e mi farà da guida durante la mia prima visita alla foresta amazzonica. La foresta amazzonica. Un nome che evoca grandi suggestioni, un luogo inconcepibilmente vario e vasto che ho desiderato visitare a lungo ma di cui, come molti, ho solo sentito parlare fino a questo momento.
Sono giunto qua dopo un lungo viaggio. Da Los Angeles a Quito, capitale dell’Ecuador, poi un volo interno da Quito a Coca e infine un passaggio di circa 4 ore su una lancia a motore sulle torbide acque del Rio Napo, per raggiungere il cuore di una comunità Kichwa sul confine nord del Parco Nazionale Yasuni.


Ha lo sguardo dolce Domingo, lo sguardo sereno e mite di chi vive in pace a contatto con una natura, che gli è entrata così tanto dentro da renderlo indistinguibile da quella che è fuori, tutt’intorno. Sono ospite della comunità Sani, un gruppo indigeno che grazie ai proventi derivati dalla cessione di un pezzo di foresta a una compagnia petrolifera, ha fatto del rimanente territorio una riserva di primaria importanza per la biodiversità, costruendovi un eco-lodge e iniziando un programma di educazione e sostegno alla comunità locale che vive da sempre di agricoltura di sussistenza, di caccia e di pesca.
Parla poco Domingo, pochissimo. Comunica con gli occhi, con gli ammiccamenti, con pochi gesti controllati della mano, ai quali non occorre aggiungere altro. Lo guardi e gli leggi negli occhi la felicità di accoglierti nella sua casa, nel suo territorio. Ne percepisci l’emozionato stupore di scoprirti interessato al suo mondo che per molti invece è così distante e irraggiungibile che in tutta una vita non si degnano neanche di venire a vederlo una volta. Neanche godesse di ottima salute! Ma tu sei arrivato fin lì, hai percorso molta strada e gli hai dato finalmente la possibilità di fare le presentazioni, mostrandoti il grande amore della sua vita: la foresta.

Ed è proprio la foresta a farla da padrone qui, scandendo i tempi e le abitudini degli abitanti del grande mare verde. Una foresta impenetrabile, rigogliosa e misteriosa. Questa zona è considerata tra i luoghi al mondo più ricchi di biodiversità. Ma 2274 specie di piante e arbusti, 550 specie di uccelli, 80 specie diverse di soli pipistrelli e innumerevoli anfibi, rettili e insetti (ne vengono scoperti di nuovi in continuazione) sono numeri che, per quanto impressionanti, non rendono da soli l’idea di cosa si celi in questo intreccio umido di verde e marrone. Si dice che la foresta ha più occhi che foglie, ma non è facile accorgersene. E’ così che Domingo mi viene in aiuto. Ha occhi e sensori diversi Domingo, a volte non pare neanche umano. Ti cammina davanti, poi si ferma e sussurra: “Là’” facendo un cenno minuscolo con la mano. “Là- dove?” non ti resta che chiedergli. Non ha fretta lui, aspetta che tu capisca, ma tu non capisci; allora prende un rametto, avanza di un paio di metri e rivolta una foglia, una come tante ai tuoi occhi, ma sotto la foglia, a ben guardare, scorgi finalmente una minuscola ranocchia dai mille colori o un millepiedi o un insetto stecco o una qualunque delle migliaia di forme di vita che vivono qui, sconosciute ai più.


Ma come avrà fatto Domingo? E come fa a conoscere e a riprodurre alla perfezione i versi di decine di scimmie e uccelli diversi? E’ possibile che parli più con gli animali della foresta che con me? Perchè io invece non so niente di questo mondo? Perchè non so fare il verso dei caimani nella laguna? Perchè non ho mai imparato? Cosa avevo di più importante da fare in questi ultimi quarant‘anni? Inizio a interrogarmi. E’ difficile non farlo di fronte a tanta impreparazione. E’ naturale mettersi in discussione. Certo, le mie conoscenze, la mia educazione tutta occidentale, il mio nozionismo da scuola del primo mondo mi vengono in aiuto. Sono abituato a pensare che siano importanti, ma a tratti mi rendo conto di quanto poco valgano qui. Capisco che senza Domingo probabilmente non saprei neanche tornare al villaggio. Faccio un rapido confronto tra una mia giornata tipo e la sua e inizio ad avere dei dubbi. Inizio a chiedermi quante cose ci perdiamo ogni giorno sacrificandole al nostro inutile correre. Il solo star fermi in questo luogo, ascoltando in silenzio, sembra mettermi in contatto con un mondo diverso, con una dimensione nuova e sconosciuta, che però è sempre stata lì, a portata di mano. Sono io che l’ho sempre ignorata fino a quel momento.

E’ un salutare bagno di umiltà. Al di là dei mille colori, dei tramonti mozzafiato sulla laguna, degli emozionanti richiami delle howler monkeys durante la notte e di mille altre piccole cose che hanno reso questo viaggio indimenticabile, questa foresta mi ha insegnato che spesso è proprio ciò che non si conosce che ci aiuta a capire meglio noi stessi. Questa foresta incute rispetto ed esige attenzione. Vorrei che tutti la vedessero almeno una volta nella vita, perchè è solo camminandovi dentro, respirandone l’umido odore e osservandola da vicino che se ne apprezzano appieno l’inestimabile valore e il fascino segreto. E sono uomini come Domingo coloro che possono fare da ponte tra culture e mondi tanto diversi. Da una parte la natura selvaggia e fragile di questa parte del nostro pianeta e dall’altra il mondo occidentale, responsabile del suo declino e allo stesso tempo suo potenziale salvatore.

Sono giunto alla fine del mio viaggio, che come tutti i viaggi è stato soprattutto un viaggio interiore. E’ giunta l’ora di salutare Domingo. Vorrei dirgli tante cose, ma non trovo le parole giuste. Allora lo abbraccio a lungo e gli sorrido, dicendogli: “Domingo for president!”, lui ride di gusto e mi batte il cinque. Poi si volta e s’incammina tranquillo. La foresta se lo riprende. E’ suo.

Testo e foto di Giorgio Trucco

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