Viaggio a Cuba in famiglia

In Europa si pensa a Cuba per il turismo, quello dei nostalgici della rivoluzione e quello sessuale. Per noi non è stato né l’uno né l’altro. Ma un viaggio di famiglia con figli al seguito.

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Un suonatore di tromba nelle strade de La Habana ©Shutterstock

L’idea ci è venuta dopo che avevo letto un reportage del quotidiano inglese The Guardian e immaginato, insieme a Chiara, di andare in un posto che fosse “speciale”.

Una sera d’estate a Sarteano, in una bella chiacchierata sulle vacanze ci siamo detti (io e mia moglie): “O ci andiamo davvero e prenotiamo subito i voli, o alla fine non ci andremo più”. O meglio, se attendiamo ancora chissà cosa troveremo. Il sogno di Cuba, del mito del Che Guevara e di Fidel Castro, ormai sempre più irreale, viene da lontano, dalla mia formazione e cultura, dopo 30 anni.

Ma è ormai passato. E la domanda sempre ricorrente: se resista o meno ancora oggi in Italia il mito del Che e della rivoluzione cubana, ha varie risposte.

Forse per molti giovani penso ancora di si. Ma per noi era un modo per andare a vedere di persona cosa è rimasto a 57 anni dalla morte del Che e a 15 da quella di Fidel.

Il mito di Cuba

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Una frase di Josè Martì sui muri de La Habana, Cuba ©Lucio Luigi Rossi

Cuba nella mia memoria manteneva alcuni fatti ideali della storia: la Terra che Colombo incontrò nel suo viaggio, i grandi reportage di Minà, gli atleti cubani che si vedevano solo alle Olimpiadi.

La storica visita di Giovanni Paolo II nel 1998, quando Fidel aprì intelligentemente al cattolicesimo, candidando Cuba ad essere poi “isola di pace” (qui Francesco incontrò nel 2016 Kirill il Patriarca Ortodosso, amico di Putin), hanno fatto il resto. Il sogno di Cuba, della perla dei Caraibi, ci rincorreva, ed eccoci qua.

L’inizio dell’avventura

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Il Monumento a Jose Martì in Plaza de la Revolucion, La Habana ©Eugenio Bersani

Ci imbarchiamo il 26 dicembre da Roma alle 10.30, tappa intermedia Madrid. Sul Boeing 787 per l’Avana, accanto a noi si siede un attempato italiano che da anni traffica lì in attività turistiche. Rientrato quest’anno per il Natale in Italia è ripartito subito per tornare ai suoi affari. Ci racconta di una Cuba in difficoltà ma pur sempre bella e affascinate, dove il sogno dell’italiano medio (singolo o in famiglia) si avvera con facilità (con 30 dollari al mese si vive).

Solo all’Avana si conta una comunità di più di 20 mila nostri connazionali, impegnati in attività turistiche e del food. Non mancano caffè, gelaterie e ristoranti/pizzerie che richiamano alla nostra cultura. L’Italia, anche qui a Cuba, è prevalentemente cibo.

Dopo un lungo viaggio arriviamo all’aeroporto Josè Marti (eroe della seconda e ultima guerra d’Indipendenza della patria, emancipata dagli spagnoli) alle 20 di sera (ora cubana). Ci accoglie un pittoresco controllo documenti alla frontiera con molti addetti che spulciano le autodichiarazioni sanitarie e poi i militari il passaporto.

Più di un ora e mezza per ritirare le valige, con la corrente elettrica che va e viene e pochi addetti al lavoro per smaltire i bagagli dell’unico volo serale in arrivo dall’Europa.

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Una vecchia auto americana e il suo guidatore in Parque de la Fraternidad, La Habana, Cuba ©Eugenio Bersani

In entrata non mettono più il timbro, ci impedirebbe di andare per due anni negli USA. Eh si gli USA sono il primo pensiero che ti viene in mente guardando le condizioni in cui vivono i cubani. Che senso ha oggi l’embargo? Proprio due mesi fa e per l’ennesimo anno, le Nazioni Unite lo hanno dichiarato sbagliato ed iniquo. Lo capiremo meglio più avanti percorrendo questa lunga terra da ovest a est.

All’uscita ci accoglie Carletto con un bel sorriso ed una calorosa stretta di mano (una costante tipica dei cubani). Sarà lui ad accompagnarci nei prossimi giorni che passeremo nella capitale cubana di oltre 2 milioni di abitanti. La prima cosa che ci fa vedere all’uscita dell’aeroporto è che solo da qualche settimana sono state aperti dei chioschi di cibo e bevande (uno più piccolo vende gelati) da privati. Ha da poco finito di mangiare un gelato, buono ma carissimo.

Si, attività private, impensabili fino a pochissimo tempo fa e autorizzate dal governo del popolo. “Anche il capitalismo aggiunge subito Carletto – arriva quando non te ne accorgi”.

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Mobili anni ’50 e oggetti di medernariato: l’interno di una casa particular a Trinidad ©Lucio Luigi Rossi

Caldo e umidità sono la prima sensazione che proviamo, nel breve tragitto che ci separa all’auto che ci porterà nel cuore dell’Avana vecchia dove ci aspetta la casa particular. Arredata con vecchi mobili degli anni sessanta, fresca e pulita, e molto particolare… è stata da subito la nostra scelta per vivere pienamente Cuba. Ci immergiamo così, subito in abitudini e costumi, nella loro cultura.

La strada, sono circa 20 km, che separa l’aeroporto dal centro è poco illuminata, ma è comunque l’unica percorribile decentemente e piena di semafori. Lungo il tragitto troviamo un solo benzinaio aperto con una fila lunghissima di auto in attesa. Ne vedremo altre di queste lunghe file, anche per tutta la notte, per fare rifornimento.

La situazione nel Paese

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Il mercato del sabato lungo il Malecòn di Baracoa, estremo oriente cubano, Cuba ©Lucio Luigi Rossi

La protezione garantita dall’Unione Sovietica non c’è più da molto tempo, l’embargo americano è sempre più stringente. Dopo l’apertura di Obama e Raul Castro, con Trump tutto è tornato come prima; poi Biden sta concludendo il suo mandato con un nulla di fatto.

La situazione economica e sociale sempre più complessa che attraversa non solo Cuba ma l’America centrale e latina, ha portato l’inflazione alle stelle e il “peso” (la moneta locale) fluttua al mercato nero tra i 200 e 270 per un euro (dipende dove cambi). Al cambio ufficiale del governo vale 130.

Nel cuore de L’Avana vecchia ci aspetta la proprietaria della casa particular, Teresa Gomez Perez, con acqua fresca, che ci tiene a dirci che è stata bollita per qualche minuto.

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Uno dei banchi del mercato di Santiago de Cuba, Cuba ©Lucio Luigi Rossi

L’acqua a Cuba è potabile, ma per gli anticorpi cubani, per noi italiani meglio di no. Teresa ha una casa grande e accogliente arredata in stile coloniale. Il tempo di rinfrescarci e cambiarci, poi subito a letto per assimilare il fuso orario (le 6 ore si iniziano a sentire).

La mattina al nostro risveglio insieme alla gentilezza di Teresa troviamo la colazione già pronta: frutta tropicale, pane tostato con burro e marmellata e uova strapazzate sono sul nostro tavolo.

Quasi tutto arriva dal mercato nero con il quale ormai si vive costantemente. È bene saperlo, anche per dare un valore più attento a quello che stiamo mangiando. I generi di prima necessità sono razionati, come i medicinali di base. È la vita che rapidamente perde valore e dignità.

La prima passeggiata

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Lungo il Malecon de La Habana, Cuba ©Eugenio Bersani

Carletto arriva con qualche minuto di ritardo sulla tabella di marcia. Ha cambiato al mercato nero 200 euro con più d’una difficoltà per trovare pezzi da 500 pesos. Partiamo subito per la nostra prima passeggiata nella città. Si alternano racconti storici a fatti di vita quotidiana, la nostra guida risponde a tutte le nostre tante domande ed anche i ragazzi partecipano incuriositi.

Attraversiamo un pezzo di città vecchia e poi sul Malecon, il bellissimo lungomare, dove in particolare d’estate per trovare sollievo dal gran caldo tutti i cubani possono rinfrescarsi “democraticamente” sulle grandi panchine in muratura che delimitano la strada dal mare.

Dall’altra parte della strada si alternano case coloniali ristrutturate ed altre decadenti, veri e propri ruderi. Costante che troviamo anche nelle vie del centro. Ogni tanto qualcuna di queste viene giù. Che peccato, tutte le volte è come se cadesse un pezzo di storia.

Mangiamo qualcosa di tipico in un posticino di buona cucina e qualche vezzo di novità (ordinazioni al computer e robot che porta i piatti) che l’amico muratore ha consigliato a Carletto e che prova con noi per la prima volta.

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Vecchie auto americane di fronte al Campidoglio de La Habana, Cuba ©Eugenio Bersani

Poi un caffè in Piazza del Cristo, a due passi dal Capitolio (ritrovata casa dell’assemblea del popolo). Il nome del locale è tutto un programma “Dandy” ma l’ambiente piacevole e il caffè buono.

Un cartello informa che per la cena dell’ultimo dell’anno con 60 euro (senza bevande) puoi passare una bella serata. Non costa poco ed è solo per una clientela straniera. Ci lasciamo un paio d’ore di libertà in giro (facendo una tappa al nostro alloggio in Compostela 120). Alle ore 16 di nuovo con lui in giro per la città.

La scoperta della città storica dietro la cattedrale e la fortezza spagnola è davvero una bella sensazione. È la parte più curata, dove si vede lo stratificarsi della storia sin dalla dominazione spagnola.

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La fortezza spagnola Castillo de los Tres Reys del Morro, conosciuto come “El Morro”, La Habana, Cuba ©Eugenio Bersani

Qui l’intervento negli ultimi anni della conservazione architettonica e dello sviluppo dell’iniziativa pubblica e privata ha portato alla messa in sicurezza di una vasta area a ridosso della dogana vecchia. Non mancano aree pedonali e piazze (come quella del mercato vecchio) ritornate all’antico splendore.

Alberghi di gran pregio e locali tornati a lucido fanno dimenticare, nel giro di poche centinaia di metri, la parte della città vecchia più caotica e compromessa, dove a vincere è l’abbandono e dove trovi migliaia di persone impegnate tutti i giorni nell’arte di arrangiarsi.

A cena andiamo in un locale tipico dietro la cattedrale solo per mangiare qualche antipasto e un po’ di frutta. A nanna presto così da smaltire definitivamente il fuso orario (a nostra figlia Margherita ci vorrà ancora una mezza giornata). Domani ci aspetta un’auto americana decappottabile, in giro ancora per la città.

Il secondo giorno

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Una Chevrolet viola nelle strade di Trinidad, Cuba ©Lucio Luigi Rossi

Ci svegliamo con una fitta pioggia, io ho un po’ di febbre, ma non ho nessuna intenzione di fermarmi. Mancano i venditori di verdura ed il solito traffico di auto, moto e la musica a tutto volume mischiata al vociare della vita quotidiana.

Carletto ci chiama e posticipiamo alle ore 12 il suo arrivo, appena il meteo sarà più clemente. Ma un successivo ritardo nell’individuare l’autovettura ci porta a partire alle 14.

Quando piove anche l’Avana va in tilt. Così, intanto, decidiamo di andare a vedere il mausoleo della rivoluzione, è a 400 metri dalla nostra casa, dietro il Museo, in restauro da 5 anni e già abitazione di Batista.

È aperto e si può vedere qualche tank sovietico, qualche camionetta e la mitica Granma (letteralmente nonna) utilizzata da Fidel per ritornare dall’esilio con un manipolo di rivoluzionari e trionfare. Tutto qui. Poi rientriamo per mangiare sotto casa, al delizioso cafè Antonia.

L’autista Mario, un cubano vero, ci accoglie con un gran sorriso appoggiato a questa auto d’epoca che, tiene con orgoglio a precisare, si tratta del modello Impala della Chevrolet del 1958: è l’unico a L’Avana.

Dice che ce l’ha soltanto lui. Un’auto affascinate ma assolutamente improbabile. Inizia il nostro giro (non supereremo mai i 50 km di velocità). Passiamo sotto la baia in un grande tunnel costruito dai francesi sul finire degli anni Cinquanta, orgoglio del governo cubano, e andiamo nella parte alta de L’Avana, dove le fortificazioni di epoca spagnola hanno lasciato il posto alle guarnigioni militari castriste.

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Monumento a Ernesto ‘Che’ Guevara in Plaza de la Revolucion, La Habana, Cuba ©Eugenio Bersani

Poi attraversiamo la parte vecchia della città per dirigerci in Piazza della Rivoluzione, la stessa riempita di gente da Giovanni Paolo II nel 1998 (solo Fidel ci è riuscito tutti i 1° maggio di ogni anno).

Finiamo all’Hotel Nacional su richiesta di Chiara. E facciamo bene. Costruito nel 1930 con soldi dei gangster italo americani, che a Cuba vennero a investire per aggirare gli anni del proibizionismo, è situata a due passi dall’ambasciata USA sul lungomare.

È un edificio imponente che prima era stato albergo e casinò negli anni d’oro e poi fortezza militare per finire oggi ad essere un albergo di lusso. Le contraddizioni di Cuba sono anche tutte qui, in questo hotel.

Torniamo alla nostra casa particular per un caffè da Teresa e per prepararci alla serata a teatro presso la comunità di San Egidio in piazza Belem, ci andremo con Teresa curiosi di sentire Carletto ed il suo gruppo teatrale. In questi giorni lui ci ha tanto parlato di questo evento, soprattutto ai ragazzi.

Arrivederci L’Avana

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Lungo la Carretera Central di Cuba è frequente incontrare mezzi agricoli e carri a trazione animale ©Lucio Luigi Rossi

La mattina seguente dopo colazione salutiamo Teresa, stiamo per lasciare con emozione L’Avana e le sue molte contraddizioni.

L’immagine che abbiamo inizia ad essere quella di un Paese chiuso in una scatola del tempo. Certo che ci sono le macchine americane anni Cinquanta, i carri armati della Baia dei porci in piazza 13 settembre, tutti i fantasmi della guerra fredda. Solo che quella guerra non è più fredda e, se è vero che si combatte in Ucraina come in Medioriente, i suoi effetti arrivano fino al bellissimo lungomare de L’Avana.

Ci spetta Antonio che ci accompagnerà prima a Viñales e poi a Santa Clara, Remedios e Trinidad. Il suo taxi è spazioso e comodo, ma appena usciti da L’Avana possiamo capire davvero le condizioni stradali. Le carreteras sono in condizioni pessime.

Lunghe lingue di asfalto (quel che resta ormai di superfici senza alcuna manutenzione), con scarso traffico di auto e camion (ci si muove per necessità con la scarsa benzina a disposizione) dove si sorpassa a destra come a sinistra, ma non si sentono clacson e dove puoi imbatterti in una mucca che ti attraversa la strada.

O trovare un calesse che marcia nella tua stessa carreggiata a bordo strada in senso contrario perché a necessità di deviare verso un sentiero di campagna.

Alla scoperta di Viñales

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Panorama sui mogotes della Valle de Viñales, Pinar del Rio, Western Province, Cuba ©Lucio Luigi Rossi

Viñales è la nostra meta, una cittadina della provincia della Pinar del Rio. Siamo nella parte più occidentale dell’isola tra una vegetazione fitta che si apre su grandi punti panoramici.

Alloggiamo in una delle case che affacciano sulla strada. Ci aspetta Emma ,biologa, lavora per il governo e privatamente fa pure la guida naturalista. Ci porterà a vedere le piantagioni di tabacco, la coltivazione e anche la sua lavorazione, cioè come si realizza a mano un sigaro. I

o mi fermerò a riposare; è un paio di giorni che combatto con tosse e febbre. A fine giornata ceniamo in casa e mangiamo l’aragosta cucinata al sugo. I ragazzi, Giacomo e Margherita, con qualche incursione di Chiara (un pò “acciaccata” anche lei), mi raccontano del giro fatto nei campi di tabacco con Emma e dell’esperienza di veder fare un sigaro dal vivo.

In partenza per Remedios

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Ernesto ‘Che Guevara ‘ Memorial, Santa Clara, Cuba ©Lucio Luigi Rossi

La mattina seguente Antonio arriva puntuale e dopo una veloce colazione partiamo per il viaggio più lungo (alla fine ci vorranno quasi 8 ore) che ci porta sino a Remedios.

La strada ci riporta per un pezzo a L’Avana, poi giù per Cienfuegos per poi arrivare alla tanto attesa Santa Clara. Prima di lasciare il bivio per L’Avana ci fermiamo a un autogrill dove beviamo un caffè fatto con la moka e mangiamo qualche buon biscotto. Sono gestiti dal governo e tutto è un po’ razionato. Comunque l’ambiente è piacevole e l’ospitalità cubana vince su tutto.

In taxi ci accompagnano la febbre e la pioggia: due cose ricorrenti che ci trascineremo fino a Trinidad (dove inizieremo a vedere il sole, anche se la temperatura resterà fresca).

Preoccupati di non arrivare in tempo al mausoleo del Che a Santa Clara decidiamo di saltare la tappa a Cienfuegos (ci passeremo al ritorno quando andremo a Trinidad). Alle ore 16 arriviamo al mausoleo che ricorda la storica vittoria della rivoluzione (Batista proprio in quei giorni scappò da Cuba lasciando campo libero ai rivoluzionari).

Non c’è nessuno. Solo una voce di una guardia che ci grida “cerrado”. Pioggia battente ma indomiti saliamo a vedere il mausoleo e scattare qualche foto. Poi andiamo alla ricerca dei resti delle carrozze fatte saltare in aria dai rivoluzionari guidati dal Che, che portavano munizioni e soldati di Batista pronti a fermare la rivolta.

E per ultimo la sede provinciale del Partito comunista dove c’è la statua originale del Che, con in braccio un niño della patria.

Tutte immagini (icone) di un mondo finito, che non c’è più, ma carico di valori di uguaglianza e libertà e principi di solidarietà.

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Parque central, Remedios, Cuba ©Lucio Luigi Rossi

Andiamo a dormire a Remedios in una bella casa coloniale (a Viñales pur accogliente era un po’ anonima) gestita da una splendida signora che ci ha accolto con un sorriso grande, mettendoci a disposizione tutto quello che aveva.

Dopo un lunghissimo viaggio ci aspetta una doccia e una cena (riso bianco e pollo alla piastra) in un locale attiguo nella piazza centrale del paese.

Continuiamo a combattere con la febbre, ora è Chiara ad avere preso in mano il termometro, anche se io non l’ho completamente abbandonato. I ragazzi, invece, resistono molto meglio di noi. Si pensa che nei lunghi viaggi i ragazzi sotto i 16 anni mostrino fatica o stress e invece loro a 12 anni sono gli adulti e noi, i deboli del gruppo.

Verso Trinidad

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Edifici coloniali a Sancti Spiritus, nella provincia centrale di Cuba ©Lucio Luigi Rossi

La colazione della mattina del 31 dicembre è ricca di frutta, uova strapazzate e marmellata con burro. Tutti alimenti che un pò ci danno forza. Antonio ci aspetta sull’uscio della porta per portarci a Trinidad (impiegheremo un paio d’ore per arrivarci) facendo tappa a Sancti Spiritus, la città principale della provincia.

Anche lui è felice di rientrare e di passare l’ultimo dell’anno a casa (intorno ai 35 anni, ha una moglie e tre figli, e ne vuole altri; appassionato di musica cubana e di chupa chupa), dal giorno dopo lo aspetta un altro tour, il lavoro non si ferma.

Un’altra Cuba ci appare dinanzi ai nostri occhi, percorrendo la carretera che collega le due città. Siamo nella Valle de San Luis designata Patrimonio dell’umanità dall’Unesco.

Lunghe distese di canna da zucchero, con a destra la montagna e a sinistra il mare dei Caraibi. Siamo nella Valle de Los Ingenios dove un tempo oltre 40 imprese lavoravano lo zucchero, oggi tutto fermo per mancanza di pezzi di ricambio delle macchine produttive e per problemi energetici.

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Valle de los Ingenios, Trinidad, Cuba ©Lucio Luigi Rossi

Dalla caduta del Muro di Berlino manca poi il generoso mercato dell’Est Europa, pronto ad cogliere a prezzi concordati i prodotti cubani e ricambiare con petrolio e ingegneria meccanica dalla Germania dell’Est.

Arriviamo finalmente a Trinidad de Cuba per l’ora di pranzo, ci sistemiamo dal “Cino” e dalla sua famiglia (la moglie Rosi ci accudirà con sensibilità). Mangiamo qualcosa vicino casa e non ci perdiamo d’animo anche se abbiamo appena saputo dal nostro termometro che a me è tornata la febbre e Chiara continua ad averla alta.

Non basta più la tachipirina, non possiamo fare a meno dell’antibiotico. E da semi-eroi ci prepariamo all’ultimo dell’anno che passeremo mangiando qualcosa in casa e, cosa più strana, vivendo due cerimonie: quella degli europei (italiani in testa) alle ore 18 (la nostra mezzanotte) e poi alle ore 24 quella dei cubani, dopo aver sentito dal letto dove siamo sdraiati io e Chiara un po’ di musica dal vivo.

I ragazzi, che sono rimasti in piedi a giocare e ballare, mantengono l’impegno e vengono a chiamarci. Io e Chiara, mezzi insonnoliti e sotto l’effetto dei medicinali, arriviamo a fatica nelle altre stanze per scambiarci gli auguri.

Il primo giorno del nuovo anno

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La Plaza Mayor di Trinidad è il centro storico della città, Cuba ©Lucio Luigi Rossi

La mattina del primo giorno del nuovo anno ci sentiamo meglio, molto meglio. Facciamo una grandissima doccia (con l’augurio che spazzi via definitivamente le ultime ore del 2023) e poi un’ottima colazione. Alle dieci ci aspetta Osmani, professore di lingue, sarà una guida appassionata.

Parla un ottimo italiano, imparato ascoltando alcune radio private  italiane. Ci accompagnerà in un bellissimo tour di Trinidad, dopo L’Avana sicuramente la città più bella tra quelle che abbiamo visto.

Ma prima Osmani ci racconta di sua sorella che vive a Chianciano Terme con due figli e lavora nell’assistenza sanitaria. La vita da sola lì in Italia è difficile, ma con l’aiuto della madre arrivata da qualche mese da Cuba, le cose adesso sembrano andare meglio.

Trinidad è a 12 km dal mare, tra i primi 3 insediamenti a Cuba (50 mila abitanti oggi) costruita a ridosso della montagna che la protegge alle spalle, per controllare meglio le scorribande dei pirati che quando arrivavano qui facevano terra bruciata.

È Patrimonio Unesco e, di questo, Osmani è molto orgoglioso per due ragioni: la prima è che così il centro storico di epoca spagnola con le strade in ciottoli di mare e le case coloniali sono intoccabili (si possono solo riqualificare) e la seconda è che così questa città avrà un futuro storico e turistico (se ben gestita l’unica e vera economia dell’isola).

Le conseguenze del Covid

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I muri colorati delle case di Trinidad, Cuba ©Lucio Luigi Rossi

Basta pensare che solo a Trinidad c’erano 2 mila case particular prima della pandemia da covid, sempre tutte piene e con un turismo in grande ascesa.

Il lungo lockdown ha fermato tutto e dopo due anni circa, alla riapertura molte attività non ce l’hanno fatta. Oggi la crisi del turismo e i costi eccessivi dei voli aerei impediscono di vedere un futuro roseo nel settore.

Il governo cubano deve decidere cosa fare. Se aprire agli investitori stranieri (quali e come) e guidare un grande piano economico che aiuti i cubani a trovare un futuro, oppure continuare a pensare di potercela fare da soli (non mi pare con grandi risultati). Questo vorrà dire fare i conti anche con la storia recente e passata del partito comunista cubano, che deve uscire dall’illusorio bunker nel quale si è chiuso.

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Museo Romantico, Palacio Brunet, Trinidad, Cuba ©Eugenio Bersani

Osmani nel suo attento giro non tralascia dettagli o particolari, e così ci spiega del colore giallo e azzurro delle case, autorizzato dagli spagnoli per proteggere gli occhi dal bianco che era allora totalizzante.

O si sofferma sulla sede della massoneria molto presente a Trinidad, ma non solo qui, e da sempre nella storia cubana (lo stemma di Cuba viene da lì). Grandi cubani sono appartenuti alla massoneria ed il rapporto con Fidel alla fine c’è stato e da lui tollerato e forse pure usato.

O nel visitare una casa particular si sofferma sui pavimenti di marmo di Carrara, che spesso le adornavano o delle speciali verande con i patii interni e le finestre con le grate per arieggiare sempre dalle calure estive e per salvare i tetti delle case dagli uragani.

Finiamo il giro passando dalla chiesa di Sant’Anna, dove si fa messa solo tre volte l’anno e all’aperto, perché il tetto non c’è più. Da lì si arriva alla chiesa cattolica del centro città, con una piazza bella dove convivono culture diverse. Qui c’è la scalinata della musica, un locale dove andiamo a berci qualcosa al tramonto.

Tutti al mare!

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Playa Ancon, Trinidad, Cuba ©Eugenio Bersani

Il 2 gennaio si va al mare, siamo felici di esserci ripresi completamente. Giacomo nel pomeriggio del primo gennaio ci aveva dato qualche piccola preoccupazione, perché aveva smesso di ballare. Per lui, che balla sempre, sembrava un presagio di malattia. Noi pensavamo avesse beccato il febbrone, invece alla fine era soltanto un pò di alterazione.

Scegliamo la spiaggia di Maria Aguilar un posto fatato dove arriviamo alle 10.30. Ci siamo solo noi, con il mare azzurro bellissimo il cielo aperto e il sole che sta scaldando. Faremo un bagno da sogno in mezzo ai pesci e a ricci di mare, raramente visti così imponenti.

Il giorno successivo decidiamo di passarlo sempre al mare però qualche chilometro più a sud, lungo la spiaggia di Ancon. Un vecchio taxi del 1983 di fabbricazione sovietica viene a prenderci per percorrere i 14 km per il mare.

La spiaggia è bella ma non fatata come il giorno prima. Il tempo bello nella prima parte della mattinata, peggiora nella seconda col cielo velato. Comunque riusciamo a fare il bagno e mangiamo una splendida paella. Rientriamo per andare a cena in un posto con musica dal vivo, mangiamo degli ottimi spiedini e poi a nanna.

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Un mercato di oggetti vintage e usati nelle strade di Trinidad, Cuba ©Lucio Luigi Rossi

E siamo alla fine di un viaggio faticoso e indimenticabile. L’ultimo giorno è quello dedicato a comprare qualche ricordo da portare in Italia. Il mercatino di Trinidad è più bello dei negozietti visti nei giorni precedenti, è più vivo, anche se le facce dei venditori sono un po’ tristi.

Quasi tutti vendono le stesse cose: non mancano le magliette e i cappelli con la stella del Che. Si prende qualcosa e si scappa, quasi in punta di piedi, rispettosi delle loro storie e della loro dignità.

La Victoria non sembra fatta per sempre…

Testo di Alfredo De Girolamo|Riproduzione riservata © Latitudeslife.com