Arunachal Pradesh, montagne illuminate dall’alba

di Federico Formignani

È lo stato indiano più orientale. Infinite vette, immense foreste, popolazioni mistiche e magiche, sulle orme del Buddha. Terra di confine e di contrasti, alla ricerca di uno stabile equilibrio che non esclude un futuro aperto al turismo.

L’Arunachal Pradesh è uno stato ‘meno’ indiano degli altri. L’influenza tibetana e birmana è notevole, l’animismo fronteggia con successo il buddismo e la natura è più incontaminata che altrove. Si passa dalle zone calde e umide dell’Assam, lungo il Brahmaputra e del suo affluente Kameng, a quelle temperate delle medie altitudini con foreste sempreverdi, sino alle alte vette montane dove prevalgono le conifere. L’Arunachal Pradesh è anche un immenso zoo libero, che ospita (grande motivo d’attrazione per i turisti) una notevole varietà di animali: tigri, leopardi, panda rossi, orsi bruni, gatti e bufali selvatici, cervi di palude, gibboni bianchi, cinghiali, aquile a coda circolare, numerose varietà di rettili e una fauna avicola difficile da descrivere. Ai confini con la Cina, si elevano maestose le ultime grandi vette della catena himalayana.

Il viaggio verso Tawang, centro monastico situato nell’angolo più occidentale dell’Arunachal Pradesh, incastonato fra Bhutan e Tibet (ora Cina) ha inizio a bordo di un piccolo elicottero che pare sproporzionato alla lunghezza della pista dell’aeroporto di Guwahati, il Lokpriya Gopinath Bordoloi. Eppure, raggiunta una quota di una decina o ventina di metri, l’elicottero imbocca la pista dopo aver ricevuto il permesso dalla torre di controllo. Prosegue tranquillo per un po’ per poi abbandonarla e cominciare un’ascesa continua verso nord. Le case sotto diradano sempre più e la campagna è rigata da numerosi corsi d’acqua, canali, piccoli laghi e da paesini sempre più distanti uno dall’altro. Sinché il manto sottostante diviene di un verde intenso e uniforme. ‘Qui sotto ci sono le tigri’ dice il capitano, per poi aggiungere che oltre le ‘colline’ che si stanno avvicinando ‘entriamo nel Bhutan’. Le ‘colline’ sul confine superano i mille metri e sorvolando il Bhutan, per oltre un’ora e mezza, le vette si alzano in proporzione. Il panorama si dispiega in tutta la sua maestosità; i monti, fra i 1500 e i 3000 metri verso la fine del viaggio, si ergono su vallate verdi e profonde; le pareti di queste montagne appaiono talvolta biancheggianti di pietre scavate e rimosse; probabili lavori di viabilità. Tutt’attorno, boschi e prati d’altura a non finire; ogni tanto, quattro case raggruppate denunciano la presenza umana e rade righe bianche di strade serpeggiano sui costoni dei monti. Il sole che splende non fa che ingigantire e dare luminosità alla bellezza del paesaggio. L’elicottero vola sicuro seguendo il filo dei rilievi e sfruttando i passaggi naturali delle valli. Sino a raggiungere, a 3500 metri di quota, il villaggio di Tawang, in territorio indiano.

Templi indiani

Tawang, casa dei Monpa

Lungo i numerosi e faticosi percorsi cittadini di Tawang, i Monpa – la popolazione locale di origine tibetana – occupa e anima i pochi tratti di strada asfaltata, quelli di terra e sassi e i molti tratturi che si insinuano tra le case, costruite queste in piena libertà edilizia, non di rado sull’orlo di preoccupanti precipizi. I Monpa sono abituati all’altura e hanno buone gambe; molti si spostano  tagliando i numerosi tornanti per abbreviare i percorsi da un’altitudine all’altra (il Paese si sviluppa dai 2800 metri ai 3500 e oltre) magari governando un paio di capre. Le vie del centro, con i loro negozi e le merci esposte sui gradoni che fungono da marciapiedi, sono molto trafficate da auto, moto, carretti, bici e da gente sempre in movimento. Certo, sono persone abituate all’aria un po’ rarefatta, ma la vitalità di uomini e donne, dai tratti somatici tipicamente asiatici, è significativa. Non c’è il torpore degli abitanti dei climi caldi e densi delle pianure; qui, semmai, i gesti e i movimenti più lenti, riflessivi, sono prerogativa dei monaci buddisti e dei molti giovani novizi che tentano l’identico percorso religioso, frequentando le scuole dei monasteri. Sono numerose, tra la popolazione, le ‘macchie’ rosse date dalle vesti lunghe dei monaci; sembra che il colore sia stato scelto perché il rosso è un colore che ‘scalda’: forse più gli animi che il corpo! I Monpa di Tawang sono gli stessi che vivono, più a sud, nel vicino Bhutan; c’è infatti un interscambio continuo, dovuto ai commerci, alla frequentazione di festival religiosi (Tawang, India e Chorten, Bhutan). Chi vive in questa zona indiana ha il permesso di entrare in Bhutan senza alcuna formalità; regola che vale anche per gli abitanti del Bhutan per il tragitto inverso.

Terra di frontiera

A Tawang c’è uno ‘st?pa’ (monumento buddista che conserva reliquie) dedicato agli eroi indiani che hanno combattuto, nel 1962, contro l’esercito cinese, nella breve e cruenta guerra di difesa dell’Arunachal Pradesh, territorio rivendicato dall’altra grande potenza asiatica. Il Tawang War Memorial fronteggia una grande caserma militare. D’altra parte, l’intero stato orientale indiano è fortemente militarizzato. È per consentire ai molti camion da trasporto truppe e per il movimento delle armi che in zona si sono costruite strade difficili anche solo da ‘progettare’ – più che costruire – proprio per rendere possibile il movimento dei mezzi e per un migliore controllo della regione. Tante sono le basi militari in tutta l’area e quindi molti sono i piccoli o grandi templi votivi dedicati ai caduti. Sulla via che conduce da Tawang a Bomdila e quindi a Guwahati in Assam, un secondo monumento (Jaswant Gahr) lo si trova,  dopo una infinita serie di tornanti in salita, poco dopo aver oltrepassato l’arco quadrato che delimita i 4170 metri del Se-La pass, a contatto con le nuvole! Qui i fucilieri indiani opposero una feroce resistenza alle truppe cinesi, con numerosi caduti. Oggi quella fra India e Cina è una guerra ‘sospesa’; un armistizio che dura nel tempo e che non ha impedito un miglioramento notevole dei rapporti fra i due grandi stati. È divenuta quindi una piccola meta turistica la visita, oltre Tawang, del confine con la Repubblica Popolare di Cina. Non c’è molto da vedere, per la verità. Quattro case sparse, le garitte di qua e di là dal confine, le guardie cinesi. Ma ai non molti turisti che qui arrivano, l’emozione è assicurata! La zona di Tawang è ancor oggi uno dei pochi territori dove la cultura tibetana non ha subito il trauma della devastazione cinese (come nel Tibet) ed è quindi un microcosmo particolarmente interessante da visitare e conoscere.

Un mondo di preghiere

Dai suoi 3500 metri d’altitudine, il Monastero di Tawang (Tawang Gompa) domina la vallata del fiume Tawangchu e i monti dell’omonimo distretto. Il monastero, originato dalla setta dei Gelukpa, è stato fondato nel 17.mo secolo da Mera Lama Lodre Gyaltso, contemporaneo del quinto Dalai Lama. Quello di Tawang e il secondo più grande Monastero d’Asia, dopo il Potala di Lhasa, e il maggiore fra i 17 Gompas della regione. Per un occidentale, visitare questo luogo significa assorbire, una dopo l’altra, le fantastiche visioni di monaci che modulano, con canti dai toni bassi e ripetuti, le loro invocazioni al Buddha; le strade d’accesso al monastero sono attraversate da festoni di bandierine votive fluttuanti nel vento e processioni di fedeli si inerpicano facendo roteare, con colpi delicati e ripetuti, le thangkas, le ruote della preghiera. Il Gompa è costituito da un gran numero di piccoli edifici arroccati attorno ad un grande spiazzo su cui si affacciano il tempio principale (Dunkhang) la libreria (Parkhang) e il Rumkhang, che ospita le cucine; il Dunkhang è finemente affrescato e contiene molte statue di ottima fattura, inclusa una gigantesca raffigurazione (alta 9 metri) del Buddha storico. Nel Perkhang sono custoditi un gran numero di preziosi testi antichi scritti con caratteri d’oro e molti altri oggetti di notevole valore artistico. I Gompas del distretto di Tawang sono numerosi, ma due in particolare, non molto distanti dal centro principale, meritano di essere visti: il primo è il monastero di Taktsang a 45 chilometri da Tawang. L’altro è un monastero di suore situato a una decina di chilometri sopra Tawang, a quasi 4000 metri d’altitudine. Questo ‘nunnery’ (convento) ospita una cinquantina di suore dal capo rasato che offrono un tè molto forte, accompagnato da deliziosi biscottini, anch’essi figli del convento.

Foto Stefano Tesi | Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

Sfoglia il magazine – Vai alle info utili

Caro lettore,

Latitudes è una testata indipendente, gratis e accessibile a tutti. Ogni giorno produciamo articoli e foto di qualità perché crediamo nel giornalismo come missione. La nostra è una voce libera, ma la scelta di non avere un editore forte cui dare conto comporta che i nostri proventi siano solo quelli della pubblicità, oggi in gravissima crisi. Per questo motivo ti chiediamo di supportarci, con una piccola donazione a partire da 1 euro.

Il tuo gesto ci permetterà di continuare a fare il nostro lavoro con la professionalità che ci ha sempre contraddistinto. E con lo stesso coraggio che ormai da 10 anni ci rende orgogliosi di quello facciamo. Grazie.