Didjeridoo, tronco suonante

Questa è la quarta e ultima testimonianza dedicata al mondo fantastico degli aborigeni d’Australia. Molti di essi vivono nei Territori del Nord, spesso con evidenti difficoltà d’integrazione in una società che viaggia a ritmi di vita totalmente differenti dai loro, vecchi di millenni. Su Libertas Dicendi abbiamo parlato degli animali donna, dell’uomo lucertola, della tribù Mala; tutti attori del fantastico mondo aborigeno che gravitava e ancora gravita – nella memoria – attorno al superstite monolite di Uluru e dei non lontani fratelli di roccia di Kata Tjuta. Oggi diamo uno sguardo a uno strumento simbolo della musicalità aborigena: il diedjridoo. Questo tronco o bastone cavo, che emette suoni quando viene soffiato, era uno strumento musicale impiegato inizialmente nell’Australia del nord, tra Kimberley ad occidente e il Queensland, oltre il grande golfo di Carpentaria. Adesso lo strumento musicale è comune a quasi tutte le tribù superstiti e non sono pochi anche gli estimatori e i suonatori di “pelle” bianca, sia australiani che di altre nazionalità. Il didjeridoo viene suonato soffiando nello strumento con l’ausilio di ramoscelli o bastoncini per le percussioni, ma anche battendo le mani sui boomerang, come accade per esempio durante i corroborees, danze rituali aborigene di festa o di guerra, il cui nome deriva dal termine inglese dialettale caribberie, con il quale gli inglesi chiamavano i nativi australiani. Per produrre i suoni, chi impiega lo strumento prova talvolta a scandirne il tempo percuotendo dei piccoli bastoni o le stesse dita su un lato del didjeridoo.

31La leggenda sulla nascita di questo strumento è fantastica, come quasi tutte le storie degli aborigeni che si rifanno a riti ancestrali, molto lontani – proprio per l’alone di magia che possiedono – dalla civiltà degli uomini bianchi. Tutto ha avuto inizio nella Terra di Arnhem, bagnata dal Mare di Arafura, in una tribù che viveva felice tra feste e attività tribali. Due sorelle bellissime, che vagavano alla ricerca di cibo nei terreni prossimi al villaggio in cui vivevano, vengono catturate da un gigante di una differente tribù che percorreva la zona per cacciare. Subito porta le due donne nella sua grotta e qui le tiene segregate.  Le donne a più riprese cercano di fuggire, senza successo. Quando già pensano di rassegnarsi a divenire le mogli non consenzienti del gigante aborigeno, si presenta loro una nuova occasione di fuga, lui assente per nuove battute di caccia. Lasciata la grotta, raggiungono la loro tribù ma non possono gioire perché vengono a sapere che il gigante è di nuovo sulle loro tracce; evidentemente erano troppo belle! Gli anziani della tribù delle due donne gli riserbano però una sorpresa: scavano una grande buca e mettono davanti ad essa le ragazze, facile esca per l’uomo. Il gigante cade nella buca e viene trafitto da un nugolo di frecce e di lance; nello spasimo della morte, si raggomitola su sé stesso e istintivamente comincia a soffiare il proprio pene, pensando di alleviare il dolore. Ed è in questo momento che tutti, sbalorditi, sentono il suono che ne esce. Solo dopo aver tagliato alcuni tronchi di diverse misure ed averli svuotati all’interno, gli anziani della tribù delle due donne riescono a creare lo stesso suono prodotto dal gigante.

Tra gli aborigeni australiani esistono almeno una trentina di storie – diverse da questa – circa l’invenzione del didjeridoo; per analogia, anche gli strumenti realizzati possono essere molto diversi uno dall’altro. Il “bastone o tronco suonante” è un pezzo di legno diritto, cavo all’interno e leggermente affusolato. Viene suonato come una tromba e l’imboccatura stessa fa parte del tronco. In genere viene ricavato da rami o tronchi d’albero opportunamente svuotati dalle termiti che contengono. La lunghezza dello strumento varia dal metro al metro e mezzo, anche se ci sono didjeridoo lunghi più di due metri, per solito usati nelle cerimonie del Rainbow Serpent, uno dei tanti spiriti della mitologia aborigena.

Il tronco, quasi sempre d’eucalipto, viene tagliato nel punto prescelto, si stacca la corteccia e si applica a una cera d’api sul bordo dell’imboccatura, per agevolarne l’uso. Poi si decora lo strumento a piacere, con disegni di totem o cibi, usando il color ocra. E il didjeridoo è pronto, con i suoi timbri sordi e possenti, a rievocare e accompagnare le infinite storie delle genti aborigene.

del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com