La serata non serata di Torino

©torino.circololettori.it

Pensiero iniziale: è tutto già scritto nelle stelle … è una vita che volevo iniziare un pezzo con questo incipit. È una frasetta che mi è sempre piaciuta perché dà senso all’infinito, esalta la poetica dell’imponderabile e richiama l’ineluttabilità dei fatti che accadono proprio perché tutto è stato scritto negli astri.

Quando poi le stelle decidono di reiterare i loro interventi, non resta che accettarli serenamente come è avvenuto nel mio caso: l’azzeramento pandemico di due incontri programmati con il pubblico a Torino, nel prestigioso Circolo dei Lettori; il primo in aprile e il secondo (a rimpiazzo del primo) lo scorso 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne e data del mio previsto viaggio nel capoluogo piemontese con l’amico e collega Claudio e rispettive consorti, una delle quali (la mia) avrebbe festeggiato in trasferta il suo onomastico.

Che bello sarebbe stato sedersi nelle accoglienti ed eleganti Sale del Circolo per il codificato rito di presentazione di un libro, dando vita ad una delle infinite, piccole e raccolte cerimonie laiche nel corso delle quali si perpetua l’amore della gente per questo palpabile e insostituibile strumento di cultura e di aggregazione sociale. 

Cronaca di una serata immaginaria

Non mi resta che ripercorrere, a questo punto, lo svolgimento mentale della serata torinese, a cominciare da una domanda che mi sono fatto spesso: perché deve sempre esserci una seconda persona (un altro scrittore, un giornalista, un accademico o comunque un uomo o una donna di cultura) ad assolvere il compito di parlare del libro che si presenta e di chi lo ha scritto.

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La presentazione di un libro al circolo di Torino ©torino.circololettori.it

Evidente il motivo: facendolo in autogestione, si verrebbe tacciati di scarsissimo senso scenico e di sicura presunzione, dato che in due o più persone è più facile interagire e rendere la serata meno noiosa. Un secondo rischio, sempre possibile, è l’arrampicata sugli specchi da parte di chi accompagna l’autore, perché non ha letto nulla o quasi del libro del quale deve parlare e conosce poco o niente dell’autore che l’ha scritto; situazioni queste che finirebbero per generare quei famosi “vuoti sospesi”che inducono la gente a guardarsi la punta delle scarpe piuttosto che il tavolo nel quale siedono i conferenzieri.

Altra riflessione: se il personaggio presentatore è più noto dell’autore (magari è stato scelto per questo!) non è improbabile che si corra il rischio di sentirlo sdottorare più del dovuto, col sicuro risultato di mettere in ombra il vero protagonista dell’incontro: il libro. Meglio allora avere un amico come presentatore (Valerio): lo si conosce, c’è stima reciproca e persino confidenza della quale tuttavia non abusare; situazione questa che potrebbe preludere un’eccessiva disinvoltura verbale, decisamente fuori luogo in circostanze simili.

Il senso del viaggiare sta nelle piccole storie

Alla fine ci sono le domande del pubblico. Invitati ad esprimersi, segue il proverbiale silenzio per nulla parente dell’assenso. Rotto comunque il ghiaccio (d’obbligo per l’autore evitare la presenza di claque amica) ecco che arriva una domanda degna di La Palisse: non so cosa chiedere, dato che il libro non l’ho letto.

L’autore, Federico Formignani, in navigazione sul Mekong Foto Lucio Rossi

Giusto, signora, però ne abbiamo parlato diffusamente per quasi un’ora e un’idea se la sarà pur fatta; per il libro non ci sono problemi, se vuole; l’editore ne ha spedite un certo numero di copie, comprensive di sconto speciale. Volti di donne e uomini che, lo intuisco, hanno dimestichezza con i libri e con i variegati argomenti che recano stampati.

E allora il sogno, dichiarato solo in queste righe, sarebbe quello di un ampio e articolato dibattito che verta sul senso del viaggiare, sul viaggiare come metafora della vita, sulla geografia emozionale così attuale e sul perché in ultima analisi l’essere umano avverta questo insopprimibile bisogno d’evasione, acuito dal tragico periodo che stiamo vivendo.

Invece, come suggeriscono quasi tutte le chiuse di tali incontri, emerge il desiderio di conoscere le piccole storie che hanno contribuito a confezionare un libro; e nel mio non mancano: ad esempio l’incontro con la figlia del medico di Van Gogh il cui ritratto, dono dell’artista, era stato inizialmente impiegato per chiudere la stia di un pollaio; oppure le emozioni dei luoghi dai quali sono forzatamente partite le genti africane verso le Americhe (Gorée in Senegal e Juffureh in Gambia, paese d’origine dello scrittore americano Alex Haley).

Tra le esperienze“leggere”, ecco il gatto finlandese che con un morso mi ha inoculato la cadaverina o ancora gli incontri (trattenendo il fiato) con una leonessa africana e un formichiere gigante del Sud America. Per finire, magari, con un salto a ritroso nella storia visitando le tombe di Ibn Battuta a Tangeri e quella di Ciro il Grande a Pasargade. Qualche sorriso in più del previsto, qualche intervento o paragone con esperienze personali vissute e vorrà dire che la serata è andata bene. Cin-cin!

Libertas Dicendi n°289 del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com 

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