Petra dei Nabatei

I beduini1 amano narrare leggende. Uno shaikh, dagli occhi di velluto, incontrato in quella evanescente valle della luna in Giordania che è Wadi Rum, offrendoci il the, ci raccontò che sulla luna – al-qamar – viveva una giovane cavalla dal mantello nero; dal suo incontro d’amore con il possente stallone d’oro, che pascolava nei prati del sole – ash-shams – nacque, ultimo di sette, un puledro immortale, dal manto dorato e con la criniera e la coda nere, che avrebbe accompagnato i re di settecento anni di storia, rendendoli invincibili. La sua forza, bellezza ed eleganza sono ancora proverbiali e si dice che sia proprio il suo magico nitrito quello che si può udire nelle notti di luna nuova, quando le stelle riempiono lo sguardo sulla catena montuosa che racchiude Petra.

Finalmente avrei sperimentato di persona il fascino che quell’antica metropoli del deserto mi aveva evocato, da quando lessi dello stupore dell’esploratore svizzero Burckhardt, imbattutosi nel 1812 in quella rossa gemma dimenticata. La tribù dei Nabatei – figli di Nabayot, della stirpe di Ismaele – allevava cammelli, cacciava e predava. Vivendo nel punto strategico di incontro tra le principali vie commerciali2, ebbero l’astuta l’idea di farsi pagare una tassa ad ogni transito per ottenere protezione: da qui l’inevitabile ricchezza. Petra fu la capitale designata, ricca d’acqua e di provviste, sicura e imprendibile, essendo racchiusa, come perla in un’ostrica, in una fortezza naturale celata alla vista. I Nabatei non furono mai sconfitti, eppure la storia si è quasi dimenticata delle loro gesta3; Petra, sola, risorta dall’oblio, testimonia e rivendica la preziosa magnificenza della loro cultura.

Il cielo azzurro dell’inizio di primavera pareva diluirsi in infinitesime particelle di colore che restavano impigliate tra le montagne. Come i re Areta, Oboda o Rabel ero a cavallo, estasiata, curiosa ed eccitata, lungo la gola di as-siq, stretta ed ombreggiata fenditura tra altissime mura di pietra. Rari arbusti. Canali per l’acqua piovana. Rumore ovattato di zoccoli sul sentiero polveroso. E nel pulviscolo dorato un rimando di luci e ombre, in cui Petra sogna ancora di comportarsi come la sfolgorante capitale che fu. Sotto un sole abbagliante, emerge finalmente come da un volume magico di fiabe. Un’emozione rarefatta e improvvisa mi strappa dal senso di irrealtà che mi suggestionava: s’intravvedeva la sontuosa architettura di al-khazneh, il “tesoro”4. Colonne di finissima fattura e finestre intagliate come pietre dure su una struttura venata di tutte le possibili gamme del rosa, scolpita con maestria somma in una dinamica fluente. Stavo davvero bene dentro quell’illusione di sentirmi una di loro, una nabatea. Continuavo a percorrere la Strada delle Facciate ed ero sopraffatta dalla bellezza di quella profusione di case decorate a pinnacoli, di tombe, dell’anfiteatro romano5, dell’inaudito contrasto tra il deserto e quella cultura raffinata. Asserragliata nel perimetro di quelle pareti fiammate, d’arancio e d’oro rosso, mi perdevo ad osservare le macchie della roccia ora giallo zolfo, ora color del rame, o la sabbia finissima e variopinta che tenevo tra le mani e che i beduini componevano in disegni entro piccole bottiglie. Il tempo perdeva significato.

L’orgogliosa dignità nabatea vivrà per sempre in me e un ricordo indelebile manterrà impresse nelle mie retine quelle facciate, quei capitelli d’acanto, quei templi mirabilmente tracciati, quelle nicchie accoglienti per le statue degli dèi, quelle luci di corallo, quella venerabile città costruita di colori. Nell’indelebile dimensione araba del sogno, la magia dell’opulenta capitale dell’Arabia Petrea, continuerà a stupire. Ardente di sole, Petra si chiudeva lentamente dietro di me, nuovamente protetta dalla sua buia, profonda e stretta gola. Sopra di me il suo cielo cobalto. Pensai allora che, se mi fossi fermata fino al sorgere delle stelle, avrei forse udito il nitrito del puledro della leggenda.

Testo e foto di Chiara Rossi

Note

1 “Beduini”, dalla radice semitica “bada” = comparire. Tribù in perpetuo cammino, alla ricerca di acqua e nuovi pascoli.

2 La “Strada dei re” si dice fosse la via commerciale più antica del mondo. Collegava il Nilo a Babilonia. A Damasco entrava in contatto con la “Via della Seta”, che arrivava fino alla Cina. La “Via dell’Incenso” invece collegava Petra con il Regno di Saba, sito nella mitica Arabia Felix (odierno Yemen). Oro, mirra, pietre preziose, spezie e perle venivano esportate verso il Mediterraneo insieme con l’incenso, preziosa resina degli arbusti di Boswellia, di cui si faceva largo uso nei templi e nei riti funerari.

3 Strabone per es. nomina quali abitanti della celebre Arabia Felix i Nabatei insieme con i Sabei. Marib sarebbe stata la capitale dello stato.

4 Così detto perché creduto nascondiglio di un tesoro favoloso, per altro mai ritrovato, mentre in realtà non era che una magnifica tomba.

5 Di Traiano sarebbe la strada lastricata; di Adriano la porta monumentale del tempio.

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