Popolo
Ci sono parole che si incrociano molte volte nella vita. Alcune si conoscono subito, altre no. Popolo è una di queste e, anche se risulterà difficile però darne una definizione precisa, specialmente in Cina, si capisce molto bene. Popolo qui non è sostanzialmente un numero, anche se 1.341.900.000 è un bel numero, ma una realtà, è stato un problema, e forse lo sarà di nuovo un domani. Popolo è una macchina da soldi, è una fabbrica sempre aperta, sempre funzionante, mai stanca, mai sazia. Popolo è un ideale sul quale s’è basata un inscindibile politica, un intera classe dirigente e un integrale unico ideale, per di più monocromatico. Popolo è nelle foglie di te che si rilassano e girano nei thermos pieni d’acqua calda, sempre a portata di mano. Popolo è nei loro occhi a mandorla, visi puliti, senza nessun accenno di barba; è nei capelli nero grafite, della stessa consistenza delle spazzole da scarpe o di qualche spaghetto. Popolo è nelle loro unghie, la cui lunghezza non è più un esclusiva femminile ma, per un uomo, segno di eleganza e ricchezza derivante dall’aristocrazia di una volta che si teneva le unghie lunghe in segno di nobiltà (con le unghie lunghe non era possibile fare lavori pesanti o umilianti). Popolo è nella parola Volkswagen (trad. “auto del popolo”), casa automobilistica tedesca che, non a caso, ha nella Cina il suo più grande acquirente: 4 su 10 ne possiedono almeno una. Popolo in Cina non è solo un numero, nemmeno solo una parola, non seconda a nessun’altra.
2. Lavoro.
Vi è una storia che tutti conoscono: in principio Dio creò il cielo e la terra, ci mise sei giorni per compiere la sua opera e il settimo giorno si riposò. Quello stesso giorno sicuramente almeno un cinese su due stava invece lavorando, e nei sei giorni precedenti aveva già prodotto la quantità di merce che produce una piccola impresa del Veneto in un mese. La Repubblica Popolare di Cina è ufficialmente atea. La popolazione non credente si attesta sul 60% mentre il resto è diviso tra un 35% fedele alla tradizionale associazione di Buddhismo e Taoismo, il Cristianesimo (3,0%) e l’Islam (1,5%). Vi ricordate quel 60% ateo? Ecco quelli credono nella religione del lavoro.
3. Leader.
La Cina è leader. Sicuramente una potenza economica mondiale che, con ogni probabilità, avrà un effetto devastante sulle politiche economiche del resto del mondo. Ma alla Cina leader, che per ora ha avuto soltanto capi di Stato, manca la figura di un leader. Così si cerca il futuro nelle glorie del passato. Per visitare la mummia di Mao Zedong, nel suo sepolcro di Pechino, bisogna condividere circa tre ore di coda con altre migliaia di cinesi. Molti mostrano le loro reliquie: fotografie, vecchi esercizi di calligrafia e poesie, fogli che inneggiano a un ritorno della patria ai valori maoisti. Ma nessuna critica, dopo oltre sessant’ anni. Tra la gente, il mito di Mao si rafforza, assieme alla domanda di adottarlo come esempio per combattere le ingiustizie. Un vecchio rischia il linciaggio della folla per averlo appena insultato pubblicamente. La contraddizione è d’obbligo: la figura del dittatore non è mai piaciuta a nessuno, e quasi in tutti i casi esistiti ha portato all’abuso di potere sul popolo e alla sua autodistruzione; ma ovunque si vedono statue e mausolei dedicati a quest’uomo, il grande leader che la Cina si ricordi. La liberazione dalla dominazione straniera fu senz’altro una buona mossa che portò alla Repubblica, ma in pochi sanno che l’invasione del Tibet, l’uso sistematico di repressione e lavori forzati, lo sterminio dei contadini nella riforma agraria del ‘51, la carestia del 1958-61 e la violenza della Rivoluzione Culturale, portò ad una cifra stimata tra 13 e i 46 milioni di vittime. Quel vecchio proveniva da un laogai (letteralmente “riforma attraverso il lavoro”) ovvero un campo di lavoro del tutto simile a quelli di concentramento e sterminio utilizzati dai nazisti. Quel vecchio magari c’era finito perché non condivideva la politica filo marxista creata da Mao, perché non condivideva la sua dittatura o perché si lavava i denti. Il “Quattro volte grande”: “Grande Maestro, Grande Capo, Grande Comandante Supremo, Grande Timoniere” non se li lavava i denti, ma si limitava a sciacquarli con te verde. Questo preoccupava i suoi medici che lo invitavano almeno all’uso dello spazzolino. “Avete mai visto una tigre lavarsi i denti?” rispondeva. Ma, a dire il vero, una tigre non fumava nemmeno una sigaretta dietro l’altra come invece faceva lui. Il risultato di tale ambizione e egocentrismo fu la caduta dei denti e del suo operato. Così da allora nessun leader, ha mai difeso il padre della repubblica, mentre i cinesi venerano la loro icona defunta, basando il suo successo sulla sua negazione.
Numeri
Conto le gru dalla finestra della mia stanza: ventiquattro. Un’America senza americani forse, ma più nuova. Penso: bisogna organizzarsi. Bisogna alzare ripari contro lo stupore, difendersi dalle scariche di cifre e numeri, che non si contano su due mani. Parlano la quantità di ragazzi dietro un banco, l’infinità di piatti su un menu, la massa di oggetti nei negozi oppure il numero di automobili in circolazione, che è pari agli abitanti di Berlino, o di Barcellona se vi piace di più, insomma 3 volte gli abitanti di Amsterdam. Ma le cifre sono anche il tasso di crescita annua (+10%), la produzione industriale (+16%), un esercito che conta quasi tre milioni di soldati, oppure sono i 500 milioni di cinesi che ancora non ce la fanno, che vivono con due dollari al giorno, ma che contano prima o poi di farcela (il 70% di loro si dice ottimista). 9.596.986 kmq è la superficie, che la rende il terzo paese del mondo per estensione dopo la Federazione Russa e il Canada. È talmente grande che enumera al suo interno ogni genere di clima vi possa venire in mente. Dal sud, con l’isola di Hainan e il suo clima sub-tropicale, al freddo Tibet, da Pechino, che sebbene sia alla stessa latitudine di Napoli presenta il clima di Belluno. L’Europa sarà una civiltà letteraria, ma a numeri i cinesi ci mettono fuori combattimento. Eppure, bisogna resistere allo stupore, con la stessa determinazione con cui si resiste al fuso orario. E all’odore di olio di semi di girasole proveniente dalle cucine.
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