Tempo di Tartufi

Gli ‘Ottanta’ sono arrivati e stanno già galoppando verso sconosciuti traguardi. Sono stati ricordati e festeggiati da una valanga di Amici (reali, anche quelli di FB) e adesso è il momento di dargli un taglio. Non che non mi abbiano fatto piacere le espressioni di augurio e le manifestazioni d’affetto, ma debbo ricordare più a me stesso che ai miei ventisette lettori (di manzoniana memoria) di dover soddisfare l’obbligo settimanale che questa rubrica impone: cercare di interessare chi legge con proposte sempre varie; da quelle dei ‘massimi sistemi’ (oh là, là. Bum!) alle altre in sintonia con le piccole avventure del vivere quotidiano, le curiosità verso personaggi della storia e della cronaca, eccetera. In altre parole: temi impegnati quanto basta (come per il sale e il pepe delle ricette) e notiziole che non mettano in ansia i lettori; di ansia ne circola sin troppa, mentre la serenità è privilegio di pochi. Amen. A questo punto, ecco il soggetto della settimana: non molto estetico, corposo, profumo di carattere, gusto paradisiaco: sua maestà il tartufo, riconosciuto re delle tavole italiane e internazionali. È la stagione giusta per scovarlo; dopo il grande sole e la non poca pioggia di questi ultimi giorni, sotto i piedi di querce, tigli, lungo i corsi d’acqua ombreggiati da salici e pioppi, con un po’ di fortuna e abilità (e con l’aiuto dei cani) si può trovare e raccogliere questo ‘tubero di terra’, come lo chiamavano i Romani. Il terreno ideale per i tartufi è quello calcareo o argilloso-calcareo; nell’humus sotterraneo il tubero cresce e la dispersione delle spore – per colonizzare altre zone del bosco – avviene con l’aiuto di animali, attirati dall’odore intenso (maiali, cinghiali, tassi, ghiri, volpi).

L’occasione per dire poche cose sul tartufo mi è stata offerta da un comunicato di Tipicità, un’Associazione che raccoglie il meglio delle attività eno-gastronomiche delle Marche, nella persona del suo direttore, Angelo Serri. È grazie ai suoi ‘inviti’ che ho conosciuto questa splendida regione e degustato nel tempo i piatti e i prodotti della tradizione e quelli di una cucina creativa e innovativa. Di ‘viaggi-scoperta’ (nelle Marche) non ne faccio più da molti anni, ma la passione che Angelo mette nel proprio lavoro e le iniziative che organizza, mi arrivano puntualmente attraverso i suoi comunicati. L’ultimo riguarda proprio il tartufo; nella località di Apecchio (Pesaro Urbino) si terranno – nei giorni 29, 30 settembre e il primo ottobre, la Mostra Mercato del Tartufo e il Festival dell’Alogastronomia, termine quest’ultimo coniato appositamente per indicare l’abbinamento fra la birra prodotta artigianalmente, il cibo di qualità e il territorio. Non sono un idnologo (studioso o esperto di tartufi) ma non è difficile prevedere una grande affluenza di amanti di questo prodotto della terra (e di veri ‘esperti’) nel comune marchigiano ricco di boschi e di pianori verdeggianti, quasi al confine con l’Umbria. Zona perfetta per i tartufi. E a proposito di ‘zone’ d’Italia più favorite di altre, eccole: per il tartufo bianco pregiato: Alba, Asti, alcune aree del torinese, in Piemonte; colline dell’Oltrepò pavese; vaste zone dell’Appennino emiliano e romagnolo; Pesaro e Urbino nelle Marche, Perugia in Umbria, Siena e Pisa in Toscana, oltre ad alcune aree dell’Abruzzo e del Molise. Il tartufo nero, meno pregiato ma ugualmente squisito, lo si trova un po’ dappertutto, in modo particolare nell’Umbria e nelle Marche.

Ha scritto quasi due secoli fa il famoso Anthelme Brillat-Savarin: ‘Verso il 1780, i tartufi erano rari a Parigi. Al momento in cui scrivo (1825) la gloria del tartufo è al culmine. Non si osa dire che ci si è trovati a consumare un pasto in cui non sia stata servita almeno una pietanza tartufata. Il tartufo è il diamante della cucina’. Diamante in tutti i sensi, se si considera che in occasione di una recente asta un esemplare di 750 grammi è stato battuto, dopo una serie di concitati rilanci, per la strabiliante cifra di 100mila euro! L’acquirente? Un facoltoso estimatore di Hong Kong. Il tartufo si abbina a una grande quantità di cibi, naturalmente, anche grazie alla fantasia interpretativa di rinomati Chef. Va bene con gli antipasti, i primi e secondi piatti, va bene come contorno. Il grande Pellegrino Artusi suggeriva: ‘Se avete dei tartufi che abbiano profumo, chiudeteli in una scatola di latta con una o due uova fresche. Lasciate così un paio di giorni e mangiatele alla coque’. Molti buongustai sostengono che la ‘morte’ ideale di un tartufo sia quella di ricoprire con le sue scaglie due uova cucinate all’occhio di bue o, come dicono a Milano ‘in cereghin’, per richiamo alla chierica o tonsura praticata un tempo ai novizi dei vari ordini religiosi. Ma i modi per gustarlo e apprezzarlo sono, naturalmente, infiniti.

del ‘Columnist’ Federico Formignani |Riproduzione riservata © Latitudeslife.com

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